L’ennesima contraddizione del nostro Paese: 4.700 cave attive e 14.000 in stato di abbandono non coincidono con alcun aumento occupazionale. Però si continua a scavare – l’export va molto bene – con buona pace per il notevole impatto ambientale, soprattutto ne confronti di paesaggi ora deturpati.
Questo è quanto emerge dal nuovo rapporto Cave di Legambiente che spiega a chiare lettere come da nord a sud della Penisola, siamo indietro quanto a economia circolare e, più in generale, in termini di innovazione. Se è vero che la crisi del settore edilizio, dominante negli ultimi anni, ha causato una riduzione obbligata delle cave attive, resta il fatto che quelle attuali sono tantissime, come succitato.
Un’aggravante è costituita dal fatto che sono ben 9 le Regioni a non disporre di piani cava: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Abruzzo, Molise, Calabria, Basilicata, Sardegna e la Provincia autonoma di Bolzano.
La Lombardia detiene il primato per quantità di sabbia e ghiaia cavata (19,5 milioni di metri cubi), segue la Puglia (circa 7 milioni), il Piemonte (quasi 5 milioni), il Veneto e l’Emilia Romagna (4 milioni). Si cava anche per le pietre ornamentali e in questo ambito le zone con maggiori aree di prelievo sono la Sicilia, la Provincia autonoma di Trento, Lazio, Toscana.
Quanto guadagnano i cavatori? Legambiente stima 3 miliardi di euro all’anno che provengono dal ricavato della vendita di inerti e pietre ornamentali, complici anche i canoni di concessione dati a prezzi ridicoli, senza contare che in alcune regioni la concessione è gratuita (Valle d’Aosta e Basilicata). Così se il 2015 è stato l’anno record per quanto riguarda il prelievo e la vendita di materiali lapidei di pregio, con al contempo una crescita esponenziale delle esportazioni, non si comprende bene la riduzione del lavoro in Italia in questo settore.