Mettiamo subito le cose in chiaro: amo l’Italia e sono orgogliosa di essere italiana.
Fatta questa doverosa premessa, però, sento questa settimana l’esigenza di dedicare questo spazio di riflessione proprio a noi, il popolo che vive nel Belpaese, un popolo di santi, poeti, navigatori ma – ahimè – soprattutto di furbetti.
Ad attivare i miei pensieri in tal senso, nei giorni scorsi, è stato un episodio banale, direi minore rispetto alle grandi notizie di cronaca, che ha avuto diffusione, in maniera per lo più ironica, soprattutto sul web. Un tifoso “disabile” si reca a vedere la sua squadra del cuore – il Foggia – allo stadio e raggiunge la prima fila degli spalti a bordo di una sedie a rotelle. Una volta guadagnato il suo legittimo posto in prima fila, però, accade qualcosa. L’uomo si alza dalla carrozzina come se nulla fosse e ben dritto sulle sue gambe cammina e tifa serenamente la sua squadra, mentre dagli spalti ironicamente qualcuno grida al miracolo. Ma non c’è nulla da gioire, non ci troviamo purtroppo di fronte ad alcun miracolo della Madonna dei Sette Veli, santa protettrice della città pugliese, ma come prevedibile a una bravata tutta all’italiana del classico furbetto nostrano.
Forse molti di voi avranno sorriso davanti a quella scena, altri staranno pensando in questo momento che non c’è da scaldarsi tanto per una questione di così poco conto. E avete ragione, perché è quello che ho pensato anche io. Ma poi mi sono fermata a riflettere un po’ più attentamente sulla questione ed ecco che ho iniziato a vedere le cose con più lucidità. Quel tifoso rappresenta l’esempio di un problema ben più grande che attanaglia il nostro Paese: la convinzione che tutto sia concesso, il principio della supremazia del furbo contro l’onesto, la certezza che molte cose tanto resteranno impunite.
Il tifoso foggiano rappresenta – nel suo piccolo, per carità – un fenomeno che in Italia ha purtroppo dimensioni da lasciare senza fiato. Nel nostro Paese gli invalidi assistiti dall’Inps sono circa 3 milioni, ma negli ultimi anni sono ben 100 mila i falsi disabili che sono stati stanati dalle forze dell’ordine. Un numero impressionante che si riferisce solo a coloro che, come dicevamo, sono stati smascherati. Ma quanti furbetti continuano a rubare soldi pubblici per pensioni di invalidità, pensioni di accompagnamento e prestazioni sanitarie non dovute? Soldi che non solo potrebbero essere destinati a chi davvero è costretto a fare i conti con il dramma della malattia o dell’invalidità ogni giorno, ma che potrebbero anche restare tranquillamente nelle tasche di noi contribuenti che siamo vessati ogni anno di più dalle tasse.
Parliamo di tasse, ed ecco che un altro problema all’italiana salta fuori in tutta la sua drammaticità: l’evasione fiscale. Stando agli ultimi dati del settembre 2017, l’evasione nel nostro Paese vale circa 270 miliardi di euro, un valore pari a circa il 18% del Pil. A detenere il triste primato è un paese del trapanese, Castelvetrano, noto per essere la città d’origine del boss mafioso Matteo Messina Denaro, dove il buco fiscale ammonta addirittura a 42 milioni di euro. Un record se si considera che il Comune ha poco meno di 30mila abitanti e una mancata riscossione di circa il 65%. A scoprire questa situazione sono stati i commissari inviati dopo lo scioglimento del Comune per mafia, ma a sentir parlare i residenti è questa la normalità e non c’è proprio nulla di cui meravigliarsi.
La normalità, dicevamo, quella stessa “normalità” di migliaia di persone che lavorano in nero, o dei furbetti del cartellino che timbrano l’ingresso a lavoro per poi andare a fare la spesa, frequentare palestre o andare a pesca, o di quegli insegnanti (sì, proprio loro che dovrebbero educare) che approfittano del bonus scuola per comprare elettrodomestici. O più semplicemente di chi utilizza i mezzi pubblici senza pagare il biglietto o delle copisterie che fotocopiano interi libri infischiandosene del limite massimo del 15% previsto per legge.
Sono solo alcuni degli infiniti esempi che potrei fare, tutti molto diversi tra loro, ma che rientrano in un’unica comune mentalità: “Lo fanno tutti, perché non dovrei farlo anche io?”.
Del resto, come ha detto – a ragione – il giornalista Beppe Severgnini: “In Italia le norme non vengono rispettate come in altri Paesi: accettando una regola generale, ci sembra di far torto alla nostra intelligenza. Obbedire è banale, noi vogliamo ragionarci sopra. Vogliamo decidere se quella norma si applica al nostro caso particolare”.
Alla luce di quanto appena detto, quel tifoso vi fa ancora ridere? A me, onestamente, no!
Il direttore
Vignetta di copertina: Freccia.