Nel 2004 Jeremy Rifkin ha scritto The European Dream, volume immediatamente tradotto in italiano dalla casa editrice Mondadori. Il sottotitolo recita: come l’Europa ha creato una nuova visione del futuro che sta lentamente eclissando il sogno americano.
È un testo complesso, ricchissimo di argomentazioni e riferimenti, di cui è difficile proporre una descrizione sintetica. Tuttavia la tesi di fondo è estremamente chiara. Il Sogno americano è stato grande perché l’America è sempre stata aperta ai nuovi venuti, ha offerto a tutti una seconda possibilità, crede che ciascuno sia responsabile della propria vita e che, in fondo, ciascuno possa fare ciò che vuole, a condizione che lo voglia con tutte le proprie forze. Oggi però il Sogno americano, per come lo abbiamo conosciuto finora, è in fase di declino. È diventato, improvvisamente, un sogno vecchio, legato a un’idea della frontiera che ormai, da tanto tempo, non esiste più. “Il Sogno americano (…) promuove l’autonomia a tutti i costi, il consumo eccessivo, la soddisfazione di ogni appetito, lo spreco dei doni della terra; gli americani incentivano la crescita economica senza vincoli, premiano i potenti e marginalizzano i deboli”.
Di contro si sta facendo strada un nuovo sogno, costruito con pazienza a partire dalla fine della seconda guerra mondiale: il Sogno europeo. Per usare una felice espressione di Rifkin, “l’Europa è diventata la nuova città sulla collina”. “Il Sogno europeo, con l’accento che pone sull’inclusività, la diversità, la qualità della vita, la sostenibilità, il gioco profondo, i diritti umani universali, i diritti della natura e la pace, è sempre più affascinante per una generazione ansiosa di essere connessa globalmente e, nello stesso tempo, radicata localmente”.
Senza neppure rendersene conto fino in fondo gli europei hanno costruito un modello di assoluto interesse, a cui il mondo guarda con speranza. Il Sogno europeo è un sogno contemporaneo che indica una nuova strada, anche per lo stesso continente americano.
Sono passati 12 anni dall’analisi di Rifkin e, nel frattempo, l’Europa ha dovuto fare i conti con la più lunga e intensa crisi economica dal dopoguerra e con le grandi migrazioni degli ultimi anni. Il clima si è fatto cupo e i valori che hanno caratterizzato l’avventura europea sembrano dissolversi. Dapprima la crescita delle diseguaglianze laddove si erano fatti strada diritti e buon lavoro; poi la diffusione della povertà di massa, fenomeno in precedenza quasi del tutto sconosciuto; e ancora, la paradossale vicenda della Grecia, dove miopia politica e difesa di interessi finanziari hanno portato alla disperazione un Paese simbolo dell’Europa; e infine l’incapacità di accogliere i migranti, siano essi richiedenti asilo o persone in fuga dalla povertà. La risposta, finora, ha la forma di muri ai confini e di rotoli di filo spinato. Per non parlare della ripresa di movimenti politici che fanno dell’intolleranza e del razzismo la loro bandiera.
Cos’è successo? C’è ancora spazio per il Sogno europeo oppure era solo un’illusione durata meno di un decennio?
L’altro ieri papa Francesco, in occasione della consegna del Premio Carlo Magno, parlando ai grandi dell’Europa, ha fornito la sua analisi, sostenendo che l’Europa sembra “stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali (…) sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice”.
Allora, la scommessa è definitivamente persa?
Non credo, anzi, proprio nelle parole del Papa, il Sogno europeo prende nuova forma. “Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, un costante cammino di umanizzazione, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.
C’è una differenza profonda tra il Sogno di Rifkin e quello di papa Francesco: è nella differenza che intercorre tra il 2004 e il 2016. Nel 2004 Rifkin usa il termine “sogno” riferendosi a un modello condiviso, in gran parte realizzato, che tiene insieme valori, obiettivi, sentimenti e impegni di un Continente che si rinnova anno dopo anno con l’adesione di nuovi Paesi. Nel 2016 papa Francesco parla di un sogno ancora da realizzare, di aspirazioni che si contrappongono alla pochezza del presente, di impegni per gli uomini di buona volontà. Il primo è un Sogno realizzato, il secondo è un Sogno ancora lontano.
Eppure tutti e due hanno ragione. Non possiamo dimenticare che l’Europa, nonostante tutte le sue contraddizioni, ha costruito il sistema economico, politico e sociale più ricco, democratico ed equo che sia mai stato realizzato su larga scala. La felice sintesi delle grandi esperienze socialdemocratica e popolare ha davvero realizzato un Sogno di valore inestimabile. I temi della sostenibilità, dell’inclusione, dell’accoglienza, dell’innovazione, della responsabilità sociale delle imprese, della tutela del lavoro, delle pari opportunità nascono e trovano nutrimento in questo fertile humus.
Ma percorsi di questo tipo hanno una caratteristica precipua: non possono essere interrotti. Qualsiasi pausa determina un arretramento e ogni passo indietro può pregiudicare i risultati raggiunti. Abbiamo promesso che all’unione economica avrebbe fatto seguito quella politica ma non abbiamo rispettato l’impegno e, alla prima occasione, gli interessi delle lobby hanno preso il sopravvento e hanno ripristinato il dominio del più forte. Contemporaneamente la lunga pausa nel percorso di integrazione politica ha lasciato spazi di manovra ai presunti interessi nazionali, più immediati, diretti, stringenti di quelli comunitari. E una politica dal respiro corto si è adattata alle nuove circostanze.
Oggi, Festa dell’Europa, dobbiamo decidere. Il Sogno europeo ha storia e contenuti ma non può vivere di ricordi e neppure di aspettative e speranze. Siamo andati troppo avanti per poterci fermare o per tornare indietro senza procurare danni irreparabili. Abbiamo una sola chance: riprendere il cammino con grande forza e determinazione, senza nessuna incertezza, nella consapevolezza che la strada percorsa ci indica la direzione da intraprendere.