Come abbiamo avuto modo di vedere in precedenti approfondimenti, lo sviluppo locale costituisce un capitolo essenziale nel vasto quadro delle partnership pubblico-private. Ma a quali ambiti territoriali si applicano le strategie di sviluppo? Le politiche di coesione, sostenute sia da finanziamenti nazionali che comunitari, si sono concentrate, a volta a volta, su aspetti diversi, a partire da un comune denominatore: la condizione di “ritardo di sviluppo”. Probabilmente tra le molte esperienze che si sono succedute nel corso dell’ultimo ventennio, la prima ha riguardato le “aree rurali”. In proposito basti pensare alla lunghissima stagione degli interventi LEADER e dei Gruppi di Azione Locale. Quando poi ci si è dovuti misurare con ampi e diffusi processi di crisi industriali l’attenzione è stata focalizzata sulle “aree in declino industriale” o, più genericamente, sulle “aree di crisi”. Sempre nel quadro delle aree in ritardo di sviluppo, soprattutto in alcuni paesi europei, si è fatto riferimento anche alle aree insulari, alle regioni con scarsa densità di popolazione e alle cosiddette “aree ultraperiferiche”.
In Italia, nella fase di preparazione della programmazione 2014/2020, è stata posta un’attenzione particolare alle “aree interne”. Naturalmente non si tratta di un tema del tutto nuovo; anzi, nel recente passato la questione delle aree interne ha “incrociato” quella delle aree montane e delle aree rurali svantaggiate. Tuttavia le motivazioni apportate, le caratteristiche identificate e le strategie proposte presentano indubbi elementi di novità.
A partire dall’approfondimento odierno intendiamo proporre ai lettori un breve itinerario alla scoperta delle “nuove aree interne”, così come vengono definite nei più recenti documenti nazionali e comunitari, nella convinzione che lo sviluppo di questa parte del paese costituirà un impegno di lunga durata e uno degli ambiti privilegiati su cui misurare l’efficacia della politica di coesione.
Il primo testo preso in esame è rappresentato dalla Premessa alla Relazione annuale sulla Strategia nazionale per le aree interne, ai sensi del comma 17 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, presentata al Cipe nel luglio scorso dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti.
Premessa: aree interne, un interesse nazionale
L’Italia delle aree interne è vasta, affidata a pochi di noi ma importante per tutti noi ed è sospesa fra grandi opportunità e grandi rischi. Si tratta del 30,6 per cento del territorio nazionale lontano più di 40 minuti (talora più di 80) da centri che offrono un sistema completo di servizi di base (scuola, salute e mobilità). Ci vive il 7,6 per cento della popolazione italiana (4 milioni e mezzo di cittadini). È ricca di diversità naturale, produzioni agro-alimentari specializzate, patrimonio culturale, sapere locale. Attrae visitatori e nuovi residenti, anche giovani. Ma nel complesso vede una caduta demografica (1,4 per cento fra 2001 e 2011), un progressivo invecchiamento della popolazione e una forte riduzione del presidio e della manutenzione del suolo, dei boschi e degli edifici, con effetti gravi anche sugli altri territori del paese.
Per il potenziale di sviluppo inutilizzato di queste aree e per i costi sociali che una cura appropriata e continua potrebbe evitare, il loro destino non è solo interesse dei residenti ma è interesse nazionale. Sta qui la ragione della Strategia nazionale per le aree interne lanciata dal Piano Nazionale di Riforma dell’Italia e dall’Accordo di Partenariato concluso con la Commissione Europea.
La Strategia per le aree interne si prefigge di fermare e invertire nel prossimo decennio il trend demografico negativo di queste aree attraverso una duplice azione: promozione del mercato e ripristino di cittadinanza. Da un lato si vuole sospingere lo sviluppo locale, intensivo ed estensivo, nei punti di forza di questi territori: agroalimentare, cultura e saper fare, turismo, energia. Dall’altro, si vuole riequilibrare l’offerta dei servizi di base: scuola, salute, mobilità e rete digitale, innanzitutto. Le risorse finanziarie per intervenire vengono dai fondi comunitari gestiti dalle Regioni, per l’intervento sul mercato, e da risorse espressamente destinate dalle Leggi di Stabilità 2014 e 2015, per l’intervento sulla cittadinanza.
Per raggiungere l’obiettivo non bastano le risorse finanziarie. Molte ne sono state spese in queste terre negli ultimi trenta anni senza che il declino fosse arrestato. Serve un metodo nuovo. La Strategia per le aree interne lo sta realizzando. Su sei fronti che hanno registrato progressi significativi nel corso del 2014:
- Adattare le politiche nazionali per scuola, salute e mobilità alle specificità delle aree interne. Le azioni per riequilibrare l’offerta di servizi di base non possono avere natura straordinaria, come è spesso avvenuto in passato. Non servono interventi occasionali se le politiche di settore per i servizi di base non tengono conto della specificità di questi territori. Con la nuova Strategia Stato centrale e Regioni possono impiegare i fondi della Legge di Stabilità per “sperimentare” interventi di riequilibrio concordati con le comunità: se il loro monitoraggio indicherà efficacia, quegli interventi diverranno permanenti. Nel caso di scuola e salute si stanno disegnando interventi che costituiscono l’attuazione mirata di strategie nazionali di settore (il Patto per la Salute e il Piano per la Buona Scuola).
- Costruire sistemi intercomunali permanenti. I Comuni sono il soggetto pubblico di riferimento della Strategia. Per svolgere questa funzione devono allearsi fra loro in modo non estemporaneo – secondo la vecchia logica perdente di “intercettare” e dividersi risorse finanziarie – ma permanente, per condividere un disegno di sviluppo e di miglioramento dei servizi, secondo l’indirizzo della normativa nazionale di riorganizzazione degli enti territoriali. La Strategia prevede che i Comuni partecipanti organizzino in forma associata i propri servizi sul territorio, indipendentemente dalla loro dimensione.
- Concentrare e selezionare. L’efficacia della Strategia dipende dalla capacità di concentrare risorse finanziarie e umane scarse nelle aree dove si combinano elevati bisogni, opportunità e capacità di coglierle. Nel 2014 è stato realizzato un processo di selezione pubblico e aperto, che è partito dalle proposte dei territori e delle Regioni – relative anche a Comuni di aree interne cosiddette “intermedie” (fra 20 e 40 minuti di distanza dai centri di servizio). La selezione ha comportato l’analisi di un sistema di indicatori demografici, economico-sociali e ambientali costruiti allo scopo ed è culminata in verifiche di campo da parte di un Comitato nazionale aree interne e delle Regioni. Sono state così individuate 55 aree-progetto, con 1 milione e 647 mila cittadini, distribuiti in 855 Comuni, per il 53 per cento in zone periferiche e ultraperiferiche. Per 21 di queste aree-progetto la selezione è formalmente terminata. È urgente completare tale formalizzazione e che gli atti di Programmazione regionale di tutti i fondi comunitari esplicitino tali scelte.
- Sperimentare e valutare. Le forti innovazioni della Strategia hanno suggerito di procedere in modo graduale e valutando gli esiti di ogni passo per apprendere dall’esperienza. Nel processo di selezione si è quindi proceduto a identificare fra le aree-progetto, per ogni Regione o Provincia Autonoma, anche un’area-progetto prototipo (alle quali si aggiungono due aree prototipo sperimentali selezionate dal centro, una in Lombardia e una in Sicilia) sulla quale avviare gli interventi durante il 2015. Per il settembre di questo anno è prevista la scadenza per l’avvio della fase attuativa di questi prototipi. Seguirà l’estensione della Strategia alle altre aree.
- Partecipare e co-progettare. L’intervento in ogni area-progetto non sarà una sommatoria di “progetti cantierabili” distribuita sul territorio. Per evitare questa deriva del passato le aree-progetto scelte come prototipo sono impegnate prima di tutto a elaborare un documento breve di intenti, una “Bozza di idee per la discussione”, che indichi un’idea-guida per indirizzare il cambiamento. Il documento sarà fondato sull’identificazione dei soggetti innovativi e dei centri di competenza dell’area e indicherà come si intende dare loro impulso. La preparazione di questo passo sarà costruita attraverso un confronto aperto e serrato nel territorio.
- Risultati attesi, misurazione degli esiti, valutazione e open government. Non un euro potrà essere speso dalla Strategia, né di fondi comunitari né delle risorse della Legge di Stabilità, se le aree-progetto non indicheranno i risultati attesi con riferimento agli obiettivi della Strategia, misurabili attraverso indicatori appropriati. Il sistema di indicatori costruito per la selezione delle aree rappresenta la base di riferimento da cui partire per scegliere risultati attesi e indicatori e poi per valutare gli esiti.
Ogni passo del lavoro fin qui svolto è descritto e documentato in un sito e i relativi dati sono disponibili in formato open.