Il Cilap Eapn Italia (Collegamento italiano Lotta Povertà), sezione italiana dell’European Anty Poverty Network (EAPN), ha recentemente stilato un rapporto di ricerca sulle donne in stato di povertà in Italia e in Spagna, finanziato dalla Commissione Europea.
Per analizzare la disuguaglianza, il rapporto si basa sull’indice di uguaglianza di genere, elaborato dall’Eige (European Institute for Gender Equality) che consente di comparare Italia e Spagna con altri Paesi dell’Unione Europea.
Per quanto riguarda la qualità del lavoro, nei suoi aspetti di durata, salute e sicurezza gli indici sottolineano una certa distanza tra Ue (69), Spagna (61,3) e Italia (60,6). Ma più preoccupante è certamente il rischio di povertà a cui entrambi i Paesi sono sottoposti rispetto al resto d’Europa.
Infatti, se le donne spagnole guadagnano il 22% in meno rispetto ai colleghi uomini, in Italia lavora solo il 46,6% delle quote rosa, non a caso il Belpaese ha la più alta percentuale di famiglie monoreddito.
Il che potrebbe motivare la media di 36 ore settimanali impiegate dalle donne per i lavori domestici, contro le sole 14 degli uomini oppure sottolineare una “lentezza” culturale da parte dei Paesi dell’Europa meridionale dal momento che in Spagna le donne dedicano alla cura della casa il doppio del tempo rispetto agli uomini.
A sostegno di questi dati, va aggiunto che le madri lavoratrici, sia italiane che spagnole, sono poche: le prime, nel 50% dei casi, abbandonano il lavoro già dopo il primo figlio, le seconde rappresentano una percentuale meno grave ma tutt’altro che allegra del 38% circa.
I dati relativi alla disoccupazione sono, se possibile, ancora meno confortanti: in Spagna le donne rappresentano il 47% circa del tasso di disoccupazione totale, un punto percentuale in più rispetto alla medesima categoria in Italia.
Lo stridente divario tra uomini e donne è senza dubbio tangibile, molto probabilmente aggravato dalla crisi economica e dalle successive politiche di austerità cui sia l’Italia che la Spagna hanno preso parte.
Bisogna aggiungere inoltre anche la riduzione del reddito disponibile che ha coinciso con l’aumento dei prezzi in generale.
Ciò che però meno piace, tra tutte le riflessioni disponibili, è certamente l’ipotesi che la disoccupazione crescente abbia accentuato la discriminazione di genere, permettendo ai più furbi di sfruttare la componente femminile del mercato del lavoro perché più disponibile – dato lo stato di bisogno – ad accettare compensi economici irrisori, impieghi precari e tutele ridotte.