In queste settimane più volte ci siamo soffermati sul tema dell’agricoltura sociale, a partire dall’approvazione della legge n. 141 del 18 agosto 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 208 dell’8 settembre scorso. Vale la pena ricordare, in proposito, la definizione fornita dall’art. 2 del testo di legge: “per agricoltura sociale si intendono le attività esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, in forma singola o associata, e dalle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, nei limiti fissati dal comma 4 del presente articolo, dirette a realizzare:
- inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e di lavoratori svantaggiati, definiti ai sensi dell’articolo 2, numeri 3) e 4), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, di persone svantaggiate di cui all’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, e di minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale;
- prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;
- prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
- progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica”.
Ieri abbiamo dato notizia del progetto Cibo Civile Toscana, recentemente presentato a Milano in occasione dell’Expò. Ci è sembrato opportuno andare più a fondo per cercare di comprendere meglio da quale percorso nasca il progetto toscano e, soprattutto, quali ne siamo i principi ispiratori. Abbiamo trovato risposta consultando il sito www.cibocivile.it. Di seguito proponiamo all’attenzione dei lettori una breve nota sull’origine e le caratteristiche principali del progetto e, soprattutto, la Carta dei Principi che guida l’attività dei promotori.
CIBO CIVILE
“Il concetto di Cibo Civile nasce da una ricerca intervento realizzata in accordo tra Università di Pisa e Coldiretti Torino a partire dal 2010 e ancora in corso sul territorio torinese. In questo arco temporale sul territorio di Torino si è costituita una rete di 35 imprese e 15 cooperative sociali attive sul tema dell’agricoltura sociale, sulla produzione, trasformazione e commercializzazione dei relativi prodotti. La rete opera all’interno di una governance innovativa con associazioni di volontariato e con gli attori pubblici di territorio responsabili dei servizi e delle politiche socio-sanitarie. In tre anni sono state create nuove opportunità di lavoro stabili o temporanee per 38 persone a bassa contrattualità e offerti servizi innovativi per circa 200 persone del territorio di Torino. In questo percorso è stato coniato il termine “cibo civile”. Un cibo inclusivo e attento ai bisogni di comunità. Di comune accordo Università di Pisa e Coldiretti Torino hanno ritenuto opportuno mettere a disposizione di altri territori ed esperienze il concetto di “Cibo civile” attraverso la registrazione con Licenza creative common – non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale i cui requisiti sono quelli indicati al link http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/.
La rete del Cibo Civile in Toscana nasce a seguito di questa disponibilità e con l’impegno degli operatori che partecipano attivamente e/o sostengono il concetto e le pratiche ad esso collegate.
LA CARTA DEI PRINCIPI
Il Cibo civile opera in una logica di innovazione sociale e mobilizza le risorse disponibili nelle aziende agricole, nel Terzo settore, nel sistema pubblico, a supporto dell’innovazione dei sistemi di welfare attraverso la promozione di processi di inclusione sociale attiva, lo sviluppo di servizi innovativi di tipo co-terapeutico, di azioni di educazione e formazione per soggetti a bassa contrattualità, e servizi civili per fasce specifiche di popolazione, favorendo la definizione di sentieri innovativi di solidarietà e inclusione a supporto della rete di protezione sociale senza derogare alla finalità della promozione della salute in un sistema universalistico.
Il Cibo Civile concorre alla preservazione del patrimonio ambientale dei territori dove le persone vivono e lavorano contribuendo a generare premesse di salute secondo quanto codificato in ambito internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Gli attori del Cibo civile danno vita a nuovi modelli di welfare più attenti a una sussidiarietà promossa e facilitata dagli attori pubblici capace di coinvolgere oltre alla cittadinanza attiva e il Terzo settore, l’imprenditoria privata attenta ai destini della comunità in cui opera. Le attitudini dei partecipanti alla rete del cibo civile pongono attenzione alla piena valorizzazione dei cicli biologici, al rispetto delle risorse naturali, all’ascolto degli utenti dei servizi inseriti nei percorsi inclusivi o fruitori dei servizi, alla collaborazione con gli operatori professionali che svolgono azioni di tutoraggio, mediazione e assistenza in campo sociale, a un dialogo aperto, franco, trasparente e leale con i consumatori che si avvicinano al tema del cibo civile interessati dalla sua possibile ricaduta pubblica.
Gli operatori del Cibo Civile si impegnano ad assicurare e promuovere:
Universalismo
L’offerta del Cibo civile è per tutti i cittadini, senza discriminazioni di sesso, età, razza, religione, politiche o di altro genere.
Integrazione
Una più forte integrazione tra pubblico, privato sociale e di impresa, società civile per garantire servizi di supporto e accompagnamento delle persone inserite.
Sostenibilità
Cibo Civile nasce con una logica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica intesa come capacità di realizzare interventi duraturi senza compromettere le opportunità delle generazioni future.
Solidarietà
La filiera del Cibo civile dà vita a vere e proprie reti solidali che si sostengano a vicenda negli ambiti della produzione, del consumo e delle pratiche inclusive.
Flessibilità
I progetti di agricoltura sociale si riferiscono ad azioni di co-terapia, educazione, formazione, inserimento, accoglienza.
Centralità della persona
Al centro della filiera del Cibo civile c’è la persona, nella sua unicità e individualità, portatrice di diritti e potenzialità.
Continuità
Il Cibo civile tende a stabilire continuità sia nell’ambito dei percorsi terapeutici che di quelli di inserimento lavorativo grazie alla collaborazione coordinata del mondo dei servizi, del terzo settore e delle imprese.
Multifunzionalità agricola
La pratica agricola è un’opportunità per promuovere l’inclusione sociale e lavorativa delle fasce deboli di popolazione e per rafforzare i servizi e la rete di protezione sociale.
Partecipazione
Gli attori della filiera del Cibo civile assumono la metodologia partecipativa come metodo in grado di garantire servizi realmente corrispondenti ai bisogni del territorio
Creazione di valori
I percorsi di produzione di cibo civile si caratterizzano per la capacità di creare valore economico e sociale, gettando le basi per fornire risposte alternative alla crisi delle politiche assistenziali sostenute dal welfare pubblico”.