Ci sono documenti che vanno sottratti all’urgenza della cronaca o, quanto meno, vanno ripresi in mano qualche tempo più tardi, a mente sgombra, per andare più a fondo. E’ il caso della Relazione annuale al Parlamento per l’anno 2014 presentata il 2 luglio scorso alla Camera dei Deputati dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) Raffaele Cantone. Si tratta di un testo ricco di considerazioni che vanno soppesate e valutate con attenzione nelle loro implicazioni. Per questo ne proponiamo ampi stralci, in più puntate, all’attenzione dei nostri lettori.
La prima parte è dedicata alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza. La riflessione di Cantone, a partire dalle funzioni e dai poteri delineati dalla Legge n. 190 del 2012 e dai relativi decreti attuativi, individua tre ambiti di intervento:
Un rischio su tutti sembra attraversare le argomentazioni del Presidente: evitare che, ancora una volta, anche le nuove procedure di lotta alla corruzione siano ridotte a mero adempimento burocratico, riducendone l’efficacia e limitandone la capacità di modificare comportamenti e stili di governo.
(….) Il primo aspetto di cui si tratterà è quello relativo alle funzioni ed ai poteri delineati dalla legge n. 190 del 2012 e dai decreti di essa attuativi, n. 33 e 39 del 2013 che individuano le tre direttrici di intervento in materia di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, articolandole nella responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni, nell’implementazione della trasparenza dell’attività amministrativa, nella garanzia dell’imparzialità dei funzionari pubblici. (…)
Scendendo, invece, nello specifico, l’obiettivo della responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni poggia, soprattutto, sulla redazione di un Piano triennale per la prevenzione della corruzione (PTPC).
Il PTPC, di cui tutte le amministrazioni devono dotarsi in conformità al Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), è modellato su quello adottato dalle imprese private ai sensi del d.lgs n. 231 del 2001, sia pure con non poche varianti, tra cui la nomina obbligatoria di un responsabile della prevenzione della corruzione (RPC), a cui è affidato proprio il compito di predisporre il PTPC da sottoporre all’organo di indirizzo politico-amministrativo.
Il PNA è un vero e proprio atto di indirizzo alle amministrazioni che nel sistema originario della l. 190/2012 doveva essere adottato dal Dipartimento della funzione pubblica ed approvato dalla CIVIT/ANAC; dopo la riforma del d.l. 90/2014 sarà adottato direttamente dall’ANAC; quello attualmente vigente risale al settembre del 2013 e su di esso sono stati modellati i primi PTPC, che per legge dovevano essere approvati entro il 31 gennaio del 2014.
L’Autorità ha scelto di non aggiornare il PNA per il 2015 e di rinviare questo adempimento, utilizzando l’anno trascorso e parte di quello attuale per una lettura dei piani adottati, in collaborazione con il Formez e l’Università di Roma “Tor Vergata”, in modo da comprendere l’effettivo stato di applicazione della normativa e le sue criticità.
Le prime analisi, condotte su oltre 1.300 amministrazioni, evidenziano un risultato in chiaro scuro; un livello pressoché generalizzato di adozione e pubblicazione dei PTPC (il 90% delle PA ha, infatti, adottato il PTPC e tra queste, più del 50% ha aggiornato il documento nell’ultima annualità) avvertito, però, come un adempimento burocratico; la qualità dei documenti, infatti, in termini di metodo, sostenibilità ed efficacia è, in molti casi, insufficiente. Il risultato può spiegarsi in gran parte con la novità della disciplina anticorruzione, con la varietà delle amministrazioni e del livello di competenze presenti nelle medesime ma anche con la scarsa preparazione che non sempre ha fatto comprendere l’importanza dell’adempimento. Varie sono le criticità che stanno emergendo; la sostanziale assenza di un’analisi del contesto esterno in cui opera l’amministrazione (in oltre l’80% dei casi); la scarsa mappatura dei processi interni (puntuale solo nel 10% dei casi); l’inadeguata propensione ad applicare metodi di ponderazione del rischio (nel 35% dei casi non è stato previsto alcun metodo) o l’applicazione di metodi inefficaci (nel 45% dei casi); la scarsa integrazione con altri strumenti, quali il ciclo di gestione della performance (riscontrata solo nel 15% dei casi) o il PTTI ( nell’80% dei casi viene solo richiamato); la bassa propensione a prevedere misure specifiche rispetto a quelle obbligatorie previste dal PNA, e nei casi in cui ciò avviene (il 40%), una menzione generica.
L’esame in corso si è poi concentrato non solo sulle misure obbligatorie – e cioè la formazione, il Codice di comportamento e la rotazione del personale, presenti in più del 90% dei PTPC analizzati, anche se la rotazione e la formazione sono poi pianificate solo nel 40% dei casi – anche sulla predisposizione dei sistemi di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti nell’ambito del rapporto di lavoro (c.d. “whistleblower”).
Un primo campione di 155 relazioni dei RPC confermano un giudizio non particolarmente positivo; l’applicazione di misure di rotazione è ancora molto differenziata e assai limitata anche in amministrazioni medio-grandi (la misura è applicata dal 32% delle regioni e delle province autonome, dal 40% delle università e dal 45% delle aziende sanitarie locali campionate); sul whistleblower, il dato è pure non è incoraggiante: solo il 61% delle PA ha provveduto ad attivare procedure per la raccolta delle segnalazioni, mentre oltre il 30% non ha neppure previsto la misura nel PTPC, e – rispetto al campione attenzionato – risultano solo 90 segnalazioni, per una media di 0,6 segnalazioni per ciascuna di esse.
Il sistema del whistleblower stenta, quindi, a decollare sia perché la tutela normativa non viene ritenuta efficace, sia per la scarsa propensione alla segnalazione (spesso concepita come “delazione”).
Un segnale incoraggiante è emerso, però, dalle non poche segnalazioni (oltre 20 nei primi due mesi di attività) che sono pervenute all’Autorità da quando è diventata destinataria di queste, con il d.l. n. 90, e per stimolarne un utilizzo più frequente da parte di tutte le pubbliche amministrazioni, l’Autorità ha emanato, dopo un’ampia consultazione pubblica, linee guida ad hoc (determina 6/2015) per fornire alle amministrazioni medesime indicazioni su come predisporre meccanismi di tutela adeguata dei potenziali segnalanti, sensibilizzandole a dotarsi di adeguati sistemi di tutela.
Anche sulla rotazione, l’Autorità si è espressa, partendo da un caso specifico (delibera 13/2015 relativa al Corpo di Polizia di Roma Capitale) ed ha fornito alcuni principi e indicazioni applicative (fra cui quella di considerare legittima anche la rotazione “territoriale”), programmando linee guida più puntuali e precise nel prossimo anno.
L’Autorità ritiene che lo strumento dei piani sia una scelta da perseguire, e sia necessaria, in questa prospettiva, un’adeguata sensibilizzazione delle amministrazioni, accompagnata anche da una semplificazione della struttura dei piani stessi.
Proprio per questo fine, è stata programmata un’iniziativa con i RPC di tutta Italia per il prossimo 14 luglio c.a., intesa come una prima occasione di confronto stabile con gli operatori del territorio.
Il secondo ambito è l’implementazione nelle attività pubbliche della trasparenza che, anche secondo gli studi internazionali più accreditati, può ritenersi l’argine principale alla corruzione; gli affari illeciti preferiscono il buio e non amano la luce della trasparenza che, però, per essere realmente utile, deve essere di qualità e non solo di quantità e cioè consentire al cittadino di accedere alle informazioni utili con semplicità e chiarezza e, quindi, stimolare partecipazione civica e democratica.
Il d.lgs. n. 33 del 2013 che si occupa di trasparenza, prevedendo, tra le altre cose, l’adozione da parte di tutte le amministrazioni di un Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità (PTTI), va nella giusta direzione sia pure con qualche limite; impone alle amministrazioni di creare uno spazio nel proprio sito istituzionale, denominato “amministrazione trasparente”, nel quale devono essere contenute e facilmente reperite le informazioni ritenute più importanti relative agli organi, ai dirigenti e alle attività svolte.
L’Autorità, a cui è attribuito potere di vigilanza e controllo, ha rilevato, nel complesso, un livello di pubblicazione dei dati molto elevato e quasi prossimo alla totalità delle amministrazioni, con riferimento alla grande maggioranza degli obblighi previsti dalla legge; la valutazione positiva si scontra, però, con la scarsa attenzione alla qualità e alla completezza dei dati da parte di alcune pubbliche amministrazioni.
Anche in questo caso, bisogna sensibilizzare le amministrazioni a non vivere l’adempimento come un obbligo formale-burocratico, ma come un dovere “civico” e di accountability. I controlli svolti dall’Autorità in materia hanno dimostrato, inoltre, efficacia; la vigilanza attivata su segnalazione, ad esempio, intervenendo in più occasioni nell’arco di un tempo breve, ha ottenuto risultati soddisfacenti in termini di percentuale di adeguamento delle amministrazioni, pari all’ 80% di adeguamento totale ed al 90% di adeguamento parziale; la scelta, quindi, di accompagnare e stimolare le amministrazioni all’adempimento si sta rilevando vincente.
Anche positiva è la risposta di “consapevolezza” dei cittadini; la gran parte delle segnalazioni all’Autorità (circa il 68%) viene inviata a “titolo personale”, non solo da dipendenti pubblici ma anche da professionisti, e riguarda in modo particolare i comuni e gli enti pubblici locali (oltre la metà dei casi), cioè i soggetti istituzionali più vicini ai bisogni dei cittadini; è un segnale che dimostra come i cittadini si stanno impadronendo ed apprezzando la novità.
Il terzo aspetto della strategia di prevenzione della corruzione riguarda la garanzia, in attuazione dei principi costituzionali (artt. 97, 98 e 54, soprattutto), dell’imparzialità soggettiva degli eletti o funzionari pubblici perseguita soprattutto con due tipologie di misure; quelle cd pre-employment – che mirano, cioè, a prevenire l’accesso o la permanenza nella carica di coloro che per varie ragioni la legge non ritiene adatti allo svolgimento imparziale della funzione – e quelle post- employment che tendono ad evitare situazioni che, verificandosi durante la carica o dopo lo svolgimento di essa, comunque ne minano l’imparzialità.
Le misure in questione sono contenute soprattutto in due decreti legislativi, entrambi attuativi della l. n. 190/2012, relativi uno (il d.lgs. 235/2012) alle incandidabilità per le cariche elettive e l’altro (il d.lgs. n. 39/2013) alle inconferibilità ed incompatibilità soprattutto nelle funzioni amministrative; solo in quest’ultimo caso, però, è previsto un potere di vigilanza dell’ANAC, mentre per il primo i poteri di controllo spettano o al Prefetto o all’Autorità Antitrust. L’importanza di questa normativa, come strumento preventivo della corruzione, sembra essere stata colta non solo dalle PA ma anche da cittadini comuni, associazioni ed esponenti della politica soprattutto locale che inviano numerose segnalazioni o richieste di parere all’Autorità, la quale in più occasioni è intervenuta con precisi orientamenti esplicativi.
Per citarne solo alcuni, lo ha fatto con riferimento all’incompatibilità fra presidenza di ordini professionali e cariche di parlamentari (delibera n. 8 del 2015) o stabilendo l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 39 a tutte le strutture del servizio sanitario che erogano prestazioni assistenziali che hanno anche forma diversa dalle ASL (delibera n. 149 del 2014 con riferimento in particolare gli IRCCCS).