Diritti e Rovesci

Abolire il carcere? Sì, perché non funziona.

di Francesco Lo Piccolo.

Dopo molti anni come volontario in carcere, dopo aver incontrato decine, anzi centinaia di detenuti, e dunque con qualche conoscenza in più (anche se non è mai abbastanza) di chi sono le persone finite dietro le sbarre, sommessamente mi viene da dire che il sistema carcere e a monte il sistema penale non funzionano. Addirittura oso un concetto forse forte: carcere e sistema penale fanno più guasti che altro.  Non ho certo la presunzione di avere la soluzione a portata di mano, ma la realtà, il fatto che sette detenuti su dieci una volta liberi tornino in carcere, chi prima chi dopo, mi basta per dire che il carcere oggi, questo carcere, non assolve in alcun modo alla sua funzione o al suo fine ultimo che secondo la Costituzione non è la punizione (in nessun modo, è bene ripeterlo, nonostante la cultura cancerogena che avanza e la voglia di rivalsa contro chi compie atti di violenza, contro chi uccide, truffa, ruba il prossimo) ma la rieducazione, o per adattare le parole alla nostra epoca alla responsabilizzazione, alla presa di coscienza, al reinserimento nella società..

Come volontario io con i detenuti parlo, mi confronto e litigo anche. E alla fine esco con una convinzione: dentro il carcere diventano peggio. Non tutti, certo, ma molti. E molti arrivano a pensare che  il carcere e la pena che patiscono dentro le celle e lontano dagli affetti (moglie-marito, figli, amici) sono di per sé compensativi del male compiuto. Il male – per molti di loro  – non è più male ma unicamente un reato, un reato per il quale si va in carcere e si paga e si salda il debito con la legge. Nulla a che vedere col “carcere come rieducazione” dunque.  Al contrario, stando così le cose è chiaro che il carcere non permette affatto la rieducazione o meglio quella presa di coscienza per cui, una volta fuori, non si torna a delinquere. Nulla a che vedere col riscatto alla Dostoevskij, a quel “correre verso il riconoscimento-purificazione-responsabilità”. Insomma riscatto negato e impedito dai semplicismi, dalle facili ricette del consumismo mediatico, dal classico “tutti in galera, punizione esemplare, peggio per loro, buttiamo la chiave”. Al punto che la certezza della pena pensata da Beccaria a fine 700 (difesa dall’arbitrio e dallo strapotere del sovrano, perché questo non altro era il pensiero di Beccaria) è diventata, complice una stampa ignorante, slogan contro una presunta tolleranza e /o indulgenza con chi delinque. Tolleranza che non c’è.

Col risultato che nell’immediato il nostro carcere oggi è soltanto intollerabile degradazione (la domandina per qualunque cosa, in certi casi anche solo per poter parlare), tortura (Cucchi e non solo), per nulla economico (3 miliardi all’anno in grandissima parte spesi per il personale e per il funzionamento del sistema, lasciando ai detenuti per il vitto poco più di 24 milioni annui), inutile e incapace di garantire la sicurezza dei cittadini (non riduce il tasso di criminalità, al contrario è scuola di criminalità, affinando le capacità delinquenziali di chi viene incarcerato). Ma soprattutto è castigo corporale: privazione d’aria, di luce, di sole, di spazi, isolamento, costrizioni e promiscuità, cibo freddo e spesso di bassissima qualità, malattia e poche cure. Potrei continuare. Vi risparmio. Ed è castigo verso altre persone, verso i familiari,  è uno stigma che passa di padre in figlio…nel figlio di carcerato.

Mesi fa ho letto “Abolire il carcere – una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini”, libro edito da Chiarelettere, scritto da Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta. Centoventi pagine (compresa la postfazione di Gustavo Zagrebelsky) utilissime per capire e che consiglio a tutti e nelle quali sostanzialmente si propone: diritto penale come extrema ratio, eliminazione dell’ergastolo, decarcerizzazione nel codice e nella legislazione penale speciale, giurisdizione penale minima, eliminazione della carcerazione preventiva, sanzioni invece che carcerazioni, garanzie e rieducazione effettiva per i carcerati colpevoli di gravi reati, umanizzazione e superamento dell’alta sicurezza e 41 bis.

Ovvio che sono d’accordo.

 

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Francesco Lo Piccolo