Evitato, con ogni probabilità, il referendum abrogativo dei voucher sul lavoro che si sarebbe tenuto il prossimo 28 maggio. Il Parlamento ha infatti trasformato in legge il decreto approvato lo scorso 17 marzo dal Consiglio dei ministri (leggi l’articolo) che prevedeva la soppressione dell’istituito del lavoro accessorio (il voucher, più semplicemente). Ma la cancellazione immediata dei voucher ha creato da subito caos e disagi; chi aveva, in maniera preventiva, acquistato i “buoni” in precedenza non è riuscito ad attivarli perché l’Inps non è riuscita ad adeguare il software: «È stato infatti necessario procedere a modifiche tecniche in modo da inibire l’acquisto e il pagamento e lasciare in essere solo il processo di attivazione».
Di conseguenza, sono stati presi d’assalto i centralini delle associazioni e le proteste degli imprenditori si sono fatte sentire, così come anche l’incredulità dei ristoratori, ad esempio, che in effetti contavano sulla fase transitoria che, si assicurava, sarebbe durata fino al 31 dicembre. Invece sono caduti dal pero dall’oggi al domani. Già da venerdì mattina i tagliandi scarseggiavano perché, com’era logico aspettarsi, in molti si erano precipitati all’acquisto il giorno precedente. Sabato erano reperibili alle Poste, proprio il giorno stabilito dell’entrata in vigore del decreto. Chi li ha acquistati non ha potuto attivarli e ora bisognerà rimborsare ciascuno di loro.
Al di là dei pasticci e dei disservizi, peraltro piuttosto imbarazzanti, c’è un punto che riveste un’importanza ancora maggiore e riguarda alcune categorie di lavoratori soggetti da tempo, e non certo per colpa loro, a questa formula di pagamento che ora sono in difficoltà. Pensiamo ad esempio agli agricoltori, agli esercenti di bar, agli organizzatori di eventi, ai ristoratori, ma pensiamo anche ai “nonni vigili”, ausiliari del traffico che ogni mattina aiutavano i bambini e le famiglie ad attraversare la strada nel pieno del caos cittadino in assoluta sicurezza. Oltre all’indiscutibile valore della loro presenza – in molti casi si trattava infatti di persone in grave difficoltà economica che con questo lavoro riuscivano ad arrotondare un modesto stipendio – c’è da valutare per diverse categorie una ricaduta negativa anche in termini di integrazione sociale. Non sono poche le persone, tra giovani che lavoravano nell’ambito della ristorazione come camerieri e meno giovani con pensioni ridicole che smaltivano il traffico, che ora si trovano a dover fare i conti con una misura che dal canto loro giudicano pedestre. E probabilmente lo è, se pensiamo, ancora, ai lavoratori stagionali, come dice anche il presidente Fipe Lino Enrico Stoppani: «Era uno strumento utilissimo per le imprese, ora non sappiamo come fare; in vista dell’estate, con i picchi del lavoro stagionale, con l’attività che cresce, altro che abusi, ne abbiamo un bisogno urgente».
Ma i problemi non sono finiti qui: i consulenti del lavoro, i primi in effetti a denunciare il black out del sito preposto, parlano in effetti di come questa «improvvisa quanto drastica» abrogazione della normativa manchi di «una qualsiasi norma di riferimento».
Si è creato, insomma, un vuoto normativo al quale il Parlamento deve rispondere – si chiede – in maniera rapida.