Giampiero Di Federico – guida alpina, valangologo-artificiere da neve servizio valanghe italiano (SVI-CAI) – è persona attenta, competente, misurata. Qualche giorno fa un suo importante contributo è stato riportato dal portale dell’Agenparl e merita di essere conosciuto anche dai lettori di Felicità Pubblica. Le sue parole propongono una riflessione “senza sconti” all’Abruzzo che piange i propri morti e inizia il drammatico conteggio dei danni provocati dal maltempo. Una riflessione in primo luogo sulla montagna e sulle aree interne, sulla gestione del territorio e l’organizzazione dei servizi, sul rispetto “formale” delle regole e sulla reale responsabilità delle persone.
C’è sempre una prima volta, ma non per le valanghe. Esse scendono dove sono già scese. E dunque una memoria storica di esse deve pur esserci. Ecco perché tutte le regioni alpine si sono dotate di una “Carta Localizzazione Probabili Valanghe” così pure la Regione Marche. In Abruzzo il catasto è completo ma limitatamente al gruppo del Gran Sasso. Per il resto del territorio si limita a “statistiche” ferme al 2012. Eppure la legge è del lontano 1992 (L.R. n. 47/92). E le valanghe in Abruzzo scendono, sono sempre scese. E hanno fatto, negli anni, numerose vittime. La vicinanza dei Balcani, e l’effetto vento causato da i due mari vicini, quasi come accade in Patagonia, con i due oceani limitrofi, hanno sempre creato condizioni particolari, a volte subdole con le creste spelate dai venti fortissimi e i canali con otto-dieci metri di neve accumulati dalle raffiche. In questo caso, nel caso di Rigopiano, il problema vero è che un albergo, situato a circa 1000 mt di quota, allo sbocco di un conoide vallivo evidentemente franoso/valangoso, doveva essere, o non costruito lì, oppure protetto con sistemi paravalanghe. Ma tant’è.
Adesso l’Abruzzo piange i suoi morti, anche gli ultimi, dell’elicottero caduto per soccorrere un infortunato sulle piste da sci di Campo Felice. Tra i soccorritori, un caro amico, Davide. L’infortunato aveva una banale frattura di tibia e perone, sarebbe stato facilmente trasportabile mediante ambulanza al più vicino pronto soccorso. Anche in questo caso la recente legge regionale, sul pagamento, in taluni casi, dei soccorsi aerei, sostenuta da Paolo De Luca, da me e da Gustav Thoeni, avrebbe potuto aiutare a scoraggiare l’intervento.
Ma il vero grande problema, causa di disagi ed anche di vittime, resta quello della manutenzione ordinaria della rete elettrica, idrica, stradale. Soprattutto elettrica. Chi scrive lo sta facendo grazie al proprio piccolo gruppo elettrogeno di appena un kw. Mentre da una settimana manca la linea e il grande generatore che l’Enel ha posto nella mia contrada è durato un giorno e mezzo … perché il gasolio è finito.
Ad oggi ancora decine di migliaia di abruzzesi sono senza corrente elettrica, molti senza acqua. E non è dovuta alla straordinaria nevicata dei giorni scorsi. Negli anni passati è stato sufficiente un po’ di vento o una leggera nevicata e si stava al buio. Adesso è un brulicare di operai Enel e di volenterosi ragazzi con le ghette che affondando nella neve cercano di riparare le linee. Ma l’estate, la primavera, l’autunno? Cosa fa l’Enel? Una volta c’erano i cosiddetti “camminatori”. Persone che percorrevano a piedi lungo le linee in estate e in autunno per controllare le linee elettriche e porre rimedio agli ostacoli come rami, fili troppo arcuati, pali pendenti, tralicci piegati e a rischio.
Le strade? I mezzi delle Provincie ci sono, o meglio c’erano, o meglio ancora sono quasi tutti rotti perché non manutenuti. Con il risultato che le “turbine spazza neve” sono dovute giungere dal lontano Friuli. Ma se andiamo poi a vedere, dal punto di vista formale, è tutto a posto, le carte ci sono tutte … salvo che la sostanza è quella che è. Quando impareremo a capire che la sostanza è preferibile sempre alle garanzie formali?
Ma tanto c’è la protezione civile che tutto il mondo ci invidia. Molto meno ci invidiano il “prima”. La protezione civile interviene in casi eccezionali, ma non può sostituire l’ordinaria manutenzione.
“Così si spopoleranno tutti i paesi montani, la gente andrà via, costa troppo restare. Qui il riscaldamento bisogna tenerlo acceso almeno 9 mesi l’anno”. E’ Il sindaco di Roccamorice, un paesino alle pendici della Maiella, che parla “però le bollette, del metano come quelle per la corrente elettrica, per esempio sono oberate di tasse per tre quarti e si paga l’iva piena, anche sulle accise. Noi sindaci siamo al fronte”.
In realtà nei paesi montani, tutto costa uguale alle zone costiere, se non di più e le piccole attività commerciali pagano le stesse tasse di un negozio al centro elegante di Pescara o di Roma. E così ci sono sempre meno bambini e le scuole chiudono e i genitori devono pagare costi del trasporto dei ragazzi alle scuole di fondo valle. Prendere la legna caduta, per scaldarsi, quasi non si può se non passando attraverso burocrazie assurde. E così nei torrenti, gli alberi caduti, vuoi per valanghe, vuoi per vecchiaia, intasano i ruscelli di montagna creando delle vere e proprie dighe, che alla fine si sfondano creando le “bombe d’acqua” con tutte le costosissime conseguenze che conosciamo. “L’abbandono della montagna”, continua il sindaco “è un fatto storico gravissimo, gravido di conseguenze anche economiche che superano di gran lunga il possibile mancato guadagno di un alleggerimento intelligente del prelievo fiscale nelle nostre aree.”
Stefano Ardito giornalista e profondo conoscitore delle montagne d’Abruzzo e non solo, in un recentissimo articolo scrive “Una regione di montagne, governata con i piedi piantati sulla spiaggia, tenendo d’occhio soltanto la politica e le città.” Verissimo, anche se questa estate il mal funzionamento dei depuratori con conseguente inquinamento del mare del litorale pescarese ha tenuto lontano i turisti dall’Abruzzo. E anche i pesci, rovinando molti pescatori. Anche in montagna la situazione non cambia molto. L’inquinamento del mare è sostituito in montagna, da una segnaletica della sentieristica dei parchi carente, confusa, spesso posta al contrario. Molti escursionisti tedeschi non torneranno più, così pure altri d’oltralpe, e gli stessi turisti italiani.
Le competenze dove sono? Quando, in questo martoriato Paese, riusciremo ad abbandonare il girone delle “appartenenze” ed entrare finalmente in quello delle competenze e del merito?
Nelle primavere scorse qualche ordinanza sindacale vietò lo scialpinismo, causa pericolo valanghe. Alcuni sciatori, comprese guide alpine, furono multate per questo. Solo che i cartelli restarono li fino a luglio tra i prati, con le margherite in fiore. Forse conviene alzare la consapevolezza del rischio con la diffusione più capillare dei bollettini Meteomont e lasciare che alpinisti e frequentatori della montagna, decidano liberamente e consapevolmente dove e come andare. Gli strumenti ci sono tutti per decidere senza ordinanze, che hanno il solo scopo di deresponsabilizzare (formalmente) chi le emana.
Che la profonda tristezza di questi giorni, i morti, il dolore dei familiari e di noi tutti, i disagi, le sofferenze, il lavoro improbo dei soccorritori, possano aiutarci a svoltare pagina, a capire meglio, a togliere “corrente elettrica” a questa rassegnato fatalismo che si sta impadronendo di tutto il Paese, compresi i 150.000 giovani che ogni anno lasciano l’Italia.