La maggioranza di noi beve acqua da bottiglie di plastica: è un fatto che non sorprende nessuno ma se ci si sofferma con maggiore attenzione a riflettere su questa pratica esistono delle incongruenze più che palesi. Anzitutto, tanto per rimanere in Italia, in molti Comuni l’acqua del rubinetto è perfettamente salubre, decisamente più economica e indubbiamente più sostenibile. A ciò si aggiungano pure comiche scene di individui che barcollano sotto il peso di fardelli decisamente mal confezionati e, ancora, non si comprende bene perché tante persone, pur essendo state più volte rassicurate sull’affidabilità del caro rubinetto, cadano nella tentazione di acquistare acqua dal supermercato. Più comprensibile è la logica di chi beve acqua frizzante ma per quanto riguarda quella naturale, a meno di particolari problemi e indicazioni terapeutiche, resta un mistero il fatto che l’acqua in bottiglia sia divenuta un vero e proprio business.
Da abitudine prettamente occidentale, l’acquisto di acqua di bottiglia è divenuta ormai prassi anche in Oriente. Studi recenti calcolano che entro il 2021 il loro consumo potrebbe incrementare ancora del 20% rispetto all’odierno incredibile utilizzo nel mondo di 20.000 bottiglie di plastica al secondo.
Il problema principale legato a questa abitudine radicata e consolidata è chiaramente un fatto ambientale. Un decimo del materiale che costituisce una bottiglia di plastica è composto da petrolio di cui conosciamo bene le criticità. Ora, se è vero che la plastica è riciclabile non lo è altrettanto che venga sempre riciclata. Infatti risulta che nel 2016 ne sia stata riciclata appunto la metà di quelle provenienti dal mercato e, di queste, solo il 7% è stata poi trasformata in nuova plastica per ottenere nuove bottiglie. I conti, insomma, non tornano. E, anzi, come dicevamo, aumenteranno, in previsione del fatto che attualmente in molte zone del Pianeta cresce l’interesse – in questo caso del tutto comprensibile – rispetto a un’acqua che in quanto imbottigliata preserverà dal rischio di pericolose contaminazioni in grado di scatenare malattie gravi.
Ma se i Paesi in via di sviluppo hanno ogni buona ragione per ricorrere alla classica bottiglia in plastica, si comprendono un po’ meno gli occidentali. Forse vale la pena spendere qualche parola per quanto riguarda proprio il nostro Paese: nel 2016 l’Italia ha consumato 12 miliardi di litri di acqua in bottiglia, nessun altro Stato europeo è riuscito a fare altrettanto. Di conseguenza è lecito porsi degli interrogativi, domandarsi insomma da cosa origini questo sproposito. Se da disinformazione, sfiducia nei confronti di chi di dovere, semplice abitudine, timore che l’acqua del rubinetto crei problemi alla salute.
Qualunque sia la risposta, sarebbe opportuno una sana dose di riflessione e magari qualche ricerca sulla bontà dell’acqua del proprio Comune di residenza, per meglio comprendere la situazione. Non si vuol certamente contribuire al fallimento delle aziende che imbottigliano acqua ma è giusto e responsabile interrogarsi su comportamenti che in molti casi sono del tutto paradossali.