Ancora pochi giorni, fino al 22 gennaio, per visitare la prima grande mostra italiana di Ai Weiwei, uno dei più interessanti artisti contemporanei. Un evento da non perdere ospitato a Palazzo Strozzi, luogo simbolo del Rinascimento e della storia di Firenze. Concedetevi, però, il tempo necessario, consigliamo almeno due ore, per guardare con attenzione le opere in esposizione.
Ai Weiwei nasce a Pechino nel 1957. Suo padre, il poeta Ai Qing, considerato dal regime comunista un estremista politico, è costretto a lasciare Pechino e vivere a lungo al confino. Riabilitato, dopo la morte di Mao Zedong, nel 1976, torna nella capitale. Qui Ai Weiwei si iscrive alla Beijing Film Academy ed è uno dei fondatori del collettivo artistico “Stars”. Dal 1983 al 1993 si trasferisce a New York, dove scopre le opere di Marcel Duchamp e Andy Warhol. Una volta tornato in Cina contribuisce alla fondazione della comunità di artisti d’avanguardia dell’East Village di Pechino. Nel 1997 è co-fondatore dell’Archivio delle arti cinesi (CAAW), uno dei primi spazi artistici indipendenti del Paese. Nel 1999 inizia a occuparsi di architettura progettando la propria casa studio a Caochangdi, nella zona nord-est di Pechino. Nel 2003 fonda il suo studio, il FAKE Design. Nel 2007 partecipa a Documenta 12, portando a Kassel 1001 cittadini cinesi come parte del progetto Fairytale. Nel 2008, insieme agli architetti svizzeri Herzog & de Meuron, progetta lo Stadio Nazionale di Pechino, il cosiddetto “Bird’s Nest”. Protagonista di infiniti eventi, nel 2015, per le sue azioni a sostegno della difesa dei diritti umani, riceve da Amnesty International il riconoscimento di Ambassador of Conscience.
Ma proviamo a seguire il percorso della mostra. Il primo incontro con il genio di Ai Weiwei ha luogo ancor prima di entrare a Palazzo Strozzi, guardando le sue facciate da Piazza Strozzi e da via Strozzi. Ventidue gommoni di salvataggio arancioni “coprono” le finestre del Piano Nobile. Reframe (Nuova Cornice), questo il titolo dell’installazione, propone un inedito punto di vista sulla vicenda dei migranti del Mediterraneo. I simboli delle fragilità e della tragedia “incorniciamo” le classiche finestre rinascimentali.
Altrettanto d’impatto la grande opera esposta nel cortile, Refraction (Rifrazione), costituita da cucine solari assemblate a formare un’ala. Anche in questo caso i contrasti giocano un ruolo determinante: l’ala, simbolo di libertà, è immobilizzata, ancorata a terra, infinitamente pesante, costretta in uno spazio che appena la contiene. Una libertà negata, quindi, come è accaduto allo stesso artista nel 2011. Inoltre l’opera allude anche alla situazione politica tibetana, essendo questi pannelli solari utilizzati in Tibet per cucinare e preparare il tè.
Uno spazio apposito è dedicato all’installazione Stacked (Impilate). Novecentocinquanta biciclette disegnano un monumentale portale d’ingresso e un percorso labirintico. L’opera, realizzata in diversi allestimenti a partire da quello del 2003 dal titolo Forever (marca assai popolare nella Cina degli anni quaranta), allude sia all’identità cinese sia al desiderio di libertà e al rispetto per la natura.
Otto sale al Piano Nobile ospitano le opere principali in esposizione. Impossibile descriverle tutte con l’attenzione e la precisione che meriterebbero. Solo qualche cenno, quindi, per fornire un quadro d’insieme.
La prima sala presenta due grandi opere Snake Bag (Borsa serpente) e Rebar and Case (Tondino e cassa) dedicate alle circa settemila vittime del terremoto di magnitudo 8.0 gradi Richter accaduto il 12 maggio 2008 nella regione Sichuan. Non trascurate lo splendido e drammatico video che ricostruisce l’evento e l’opera artistica di denuncia condotta dalla “bottega” di Ai Weiwei.
La seconda è intitolata Wood a motivo delle opere in legno esposte. In questi lavori, infatti, l’artista reinterpreta la tradizione cinese: armonia di proporzioni e tecnica che non prevede l’uso di chiodi, viti o colla, ma solo di raffinati incastri. Map of China (Mappa della Cina) è una scultura-puzzle formata da legni che simboleggiano la diversità etnica e culturale di un Paese che, pur restando unitario, rappresenta la fusione di un’enorme massa di individui. Grapes (Grappolo) unisce trentaquattro sgabelli tradizionali ripetendo il modulo iniziale.
La sala dedicata alla rilettura del Rinascimento italiano propone i ritratti in LEGO, versione pop, di quattro “dissidenti” fiorentini: Dante, l’esiliato per eccellenza della storia letteraria italiana; Filippo Strozzi (il padrone di casa), bandito per venti anni dai Medici; Girolamo Savonarola, oppositore al regime mediceo e alla Chiesa di papa Borgia; Galileo, scienziato incarcerato e processato per aver difeso le proprie idee.
La sala “Objects” espone “oggetti” che a vario titolo alludono ad abusi di diritti umani e alla censura.
La sala “Jingdezhen” ospita oggetti in porcellana realizzati artigianalmente a Jingdezhen, antica capitale di questo genere di fabbricazione. Tra questi ci limitiamo a segnalare Free Speech Puzzle (Puzzle della libertà di parola), costituito da trentadue tasselli di porcellana dipinta a mano che riproducono la suddivisione della Cina in province, comprese quella di Hainan e quella, contesa, di Taiwan. E su ciascun pezzo del puzzle è dipinto il motto “Free Speech”.
Dedicate alla riflessione sul rapporto con la tradizione, con la grande eredità storica cinese sono le opere contenute nella sala Vases: Dropping a Han Dynasty Urn (Distruzione di un’urna della dinastia Han), performance del 1995 in cui Weiwei distruggere un’urna funeraria della dinastia Han antica di oltre duemila anni; Han Dynasty Vases with Auto Paint (Vasi della dinastia Han con vernice per carrozzeria) in cui l’artista colora antichissimi vasi neolitici con vernice per carrozzeria.
In Study of Perspective Weiwei propone oltre quaranta fotografie caratterizzate dal suo braccio sinistro sollevato con il dito medio alzato, davanti a monumenti mondiali altamente simbolici come Piazza Tienanmen, la Casa bianca, la Gioconda, la Tour Eiffel, gli skyline di Hong-Kong e New York, piazza San Marco, il Colosseo o la Sagrada Família, e per l’occasione anche Palazzo Strozzi.
Nella sala “Blossom and Grass” le mattonelle in porcellana Blossom (Sbocciato) richiamano la breve stagione di libertà d’espressione nel 1956 detta dei “Cento fiori” mentre Iron Grass (Erba d’acciaio), propone ciuffi di erba in ghisa.
La sala Mythologies è dedicata a figure della cultura cinese. Le creature di seta e bambù sono ispirate a Shanhaijing (Il classico dei monti e dei mari), testo antico di geografia fantastica; Taifeng è il grande vento, che ha apparenza umana e coda di tigre, Feiyu il pesce volante, Huantouguo l’uomo-uccello; Zodiac Heads (Teste dello Zodiaco) rappresentano dodici teste in bronzo degli animali dell’astrologia cinese; Monkey (Scimmia) evidenzia che il 2016 è stato l’anno della Scimmia, segno instabile per eccellenza.
La sala Shanghai ricorda la demolizione dello studio di Ai Weiwei a Shangai. Le stesse autorità che lo avevano invitato a realizzare lo studio lo demoliscono il 7 novembre 2010, giorno fissato per la sua inaugurazione, arrestando contestualmente l’artista. Ma la festa ha luogo comunque e gli invitati mangiano granchi di fiume. E così millecinquecento granchi in porcellana (He xie) e alcuni resti dell’edificio distrutto (Souvenir da Shanghai) testimoniano l’episodio.
Nelle sale del piano seminterrato, la cosiddetta Strozzina, i visitatori troveranno soprattutto foto e contributi video di grande interesse per comprendere le diverse fasi dell’attività artistica di Ai Weiwei.
Una sala è dedicata alle opere e alle fotografie che raccontano la vita newyorkese dell’artista tra il 1983 e il 1993.
La sala Disturbing the peace ospita l’omonimo video a colori del 2009 nel quale sono raccolti frammenti del “sequestro” e dell’interrogatorio dell’artista il 12 agosto 2009, alla vigilia del processo a Chengdu contro l’attivista Tan Zuoren, processato per la sua attività legata all’inchiesta sulla morte di migliaia di scolari nel terremoto del Sichuan.
258 Fake – allusione al FAKE Design, al numero 258 di Caochangdi – riunisce su 12 monitor 7677 fotografie scattate fra il 2003 e il 2011 a documentare quasi vita quotidiana e produzione artistica.
Beijing East Village è la comunità fondata a Pechino da Weiwei al suo ritorno dagli Stati Uniti nel 1993. L’opera emblematica del periodo è Crystal Cube (Cubo di cristallo), un enorme cubo di oltre due tonnellate realizzato utilizzando i materiali della tradizione cinese: tè, ceramica, marmo, ebano.
Nella sala “Leg Gun” sono esposte le immagini postate su Instagram da migliaia di follower di Ai Weiwei a seguito della pubblicazione di una sua fotografia (Beijing AntiTerrorism Series) in pantaloncini corti e calzini neri, in cui imbraccia la gamba come se si trattasse di una pistola.
Photographs of Surveillance (Fotografie di sorveglianza) riunisce una serie di fotografie pubblicate sul numero 43 della rivista FOAM “Freedom of Expression under Surveillance”, realizzato da Ai Weiwei in qualità di “guest editor”. Le fotografie sono state scattate negli anni dall’artista per documentare la propria vita da sorvegliato speciale.
Da segnalare, infine, Mask (Maschera), maschera antigas appoggiata su una lastra tombale (in marmo), a sottolineare il fortissimo inquinamento prodotto dalla rapida industrializzazione cinese e Tyre (Pneumatico) a evocare i salvagente di fortuna abbandonati sulle spiagge di Lesbo.
Concludiamo questa segnalazione con le parole di Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra: “Abbiamo lavorato per quasi due anni per portare a Palazzo Strozzi la prima grande mostra italiana su Ai Weiwei, una delle più influenti e iconiche personalità del nostro tempo. Il lavoro di Ai Weiwei, tra attivismo politico, autobiografia e ricerca formale, ci parla di temi importanti in modo potente e diretto, utilizzando strumenti e linguaggi artistici a cavallo tra Oriente ed Occidente. Ospitare una simile retrospettiva qui a Firenze significa pensare alla città come a una moderna capitale culturale, non soltanto legata alle vestigia del proprio passato ma finalmente in grado di partecipare in modo attivo all’avanguardia artistica del nostro tempo. L’aggettivo “libero”, che dà il titolo alla mostra, vuole riferirsi alla libertà riconquistata da Ai Weiwei nel 2015, ma anche al modo totalmente libero e creativo in cui l’artista ha utilizzato e interpretato gli spazi di Palazzo Strozzi”.