Ogni giorno nel mondo assistiamo a intollerabili violazioni dei diritti umani. Detenzioni senza giusta causa, torture, uccisioni e soprusi di ogni genere ai danni di chi, magari, è “colpevole” di avere un’idea diversa, di avere gusti diversi, di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Molto è stato fatto finora per cercare di combattere questo preoccupante fenomeno, tanto ancora stanno facendo le diverse organizzazioni umanitarie, ma a volte la strada sembra essere tutta in salita. E’ il caso del Venezuela dove la situazione negli ultimi anni è precipitata in maniera pericolosa.
“Ridotti al silenzio con la forza: detenzioni arbitrarie e motivate politicamente in Venezuela”. E’ questo il titolo del nuovo rapporto diffuso da Amnesty International attraverso il quale l’organizzazione umanitaria a tutela dei diritti umani mette in luce e stigmatizza l’atteggiamento delle autorità del Venezuela. In particolare Amnesty punta il dito contro il governo venezuelano, accusato di aver intensificato la persecuzione e le punizioni nei confronti di chi la pensa diversamente, in un contesto di crisi politica in cui le proteste che si susseguono in tutto il Paese hanno dato luogo a diverse morti e a centinaia di ferimenti e arresti.
Il rapporto, presentato in questi giorni, fornisce dettagli su una serie di azioni illegali intraprese dalle autorità venezuelane per reprimere la libertà d’espressione, tra cui: arresti senza mandato da parte del Servizio bolivariano dell’intelligence nazionale (Sebin) nei confronti di attivisti non violenti per “reati contro la madrepatria”, uso ingiustificato della detenzione preventiva e una campagna diffamatoria sui mezzi d’informazione nei confronti di oppositori politici.
«In Venezuela il dissenso non è consentito. Le autorità paiono non darsi limiti nell’applicazione di una miriade di tattiche legali per punire chi esprime opinioni diverse dalle posizioni ufficiali del governo», spiega Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International. «Invece di cercare ossessivamente di ridurre al silenzio ogni opinione dissidente, le autorità venezuelane dovrebbero concentrarsi nella ricerca di soluzioni concrete e durature per porre fine all’acuta crisi politica che il paese sta attraversando».
Amnesty, a tal proposito, ricorda alcuni esempi recenti che evidenziano quanto la situazione sia allarmante. L’11 gennaio il Sebin ha arrestato Gilber Caro e Steicy Escalona, rispettivamente parlamentare e attivista del partito di opposizione Volontà popolare a un casello autostradale mentre stavano rientrando nella capitale Caracas. Quello stesso giorno, il vicepresidente della Repubblica ha reso noto alla tv nazionale che ai due esponenti dell’opposizione erano stati sequestrati una pistola e degli esplosivi e ha accusato Caro di far parte di un gruppo di terroristi e di essere andato clandestinamente in Colombia. Escalona è stato portato di fronte a un tribunale militare e incriminato di furto di beni dell’esercito e di ribellione. Caro è stato trasferito in un centro di detenzione in attesa dell’incriminazione.
Un caso, quello di Caro e di Escalona, che denota la pericolosità dell’atteggiamento adottato dalle autorità venezuelane che, sempre più spesso, ricorrono a simili strategie per cercare di ridurre al silenzio l’opposizione, in un contesto in cui le proteste, in tutto il Paese, sono sempre più massicce.
Ed è proprio questa la strategia messa in campo dalle autorità: incriminare le persone con l’accusa di “tradimento contro la madrepatria“, “terrorismo“, “furto di beni dell’esercito” o “ribellione”, reati per i quali in Venezuela è prevista la detenzione preventiva anche in assenza di prove che possano confermare l’accusa. Questi reati, inoltre, ricadono sotto giurisdizioni speciali, tra cui quella militare, prive d’indipendenza, raramente imparziali e che non dovrebbero riguardare imputati civili.
A rendere ancora più dura la vita di chi si oppone alle autorità, la riduzione all’osso dei contatti tra detenuti e familiari o addirittura avvocati e l’aumento del rischio di subire maltrattamenti e torture.
Tra i casi ricordati da Amnesty International c’è anche quello di Yon Goicoechea, leader studentesco di Volontà popolare, arrestato il 29 agosto 2016 da uomini non identificati a bordo di un furgone senza targa. L’arresto di Goicoechea è stato poi confermato da un alto rappresentante del partito di governo, il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), che ha accusato l’oppositore di trasportare esplosivi da usare in una manifestazione dell’opposizione prevista il 1° settembre. Per 13 ore dall’arresto, Goicoechea è risultato scomparso. In seguito, è emerso che era detenuto in un centro di detenzione del Sebin a Caracas, dove è rimasto senza avere contatti con l’esterno fino al 1° settembre. Il 20 ottobre, un tribunale ha disposto il rilascio di Goicoechea poiché la pubblica accusa non era stata in grado di presentare prove sufficienti per incriminarlo. Ciò nonostante, l’oppositore si trova ancora nelle mani del Sebin.
«Il fatto che in Venezuela ci siano persone detenute senza alcuna accusa ufficiale», evidenzia Guevara Rosas, «dimostra quanto sia disperata la situazione dei diritti umani nel Paese».
Per scaricare il rapporto completo, disponibile in lingua inglese o spagnola, clicca qui.