Rivendicando l’importanza del recente accordo Italia-Libia per il contenimento dell’immigrazione clandestina il premier Paolo Gentiloni ha affermato: “Ho ben presenti le preoccupazioni umanitarie. Noi siamo convinti che le decisioni prese, gli stanziamenti, l’intesa bilaterale con la Libia abbiano l’obiettivo opposto”. Infatti l’intervento è stato “ampiamente discusso con l’Oim e l’Unhcr che vedono con favore investimenti e presenze per rendere la permanenza dei rifugiati più civile umana e organizzata”.
Eppure, come abbiamo evidenziato qualche giorno fa (leggi l’articolo), il direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) Francesco Soda ritiene che l’accordo tra Italia e Libia ponga “comunque un problema di rispetto dei diritti umani per coloro che verranno bloccati nel Paese nordafricano”. Il dubbio si trasforma in un esplicito interrogativo: “Certo è importante l’addestramento della guardia costiera libica, ma poi che cosa succede ai migranti? Quali diritti vengono loro riconosciuti?” Si fa strada, piuttosto, un’angosciante preoccupazione: «ora i trafficanti di uomini in Libia hanno fretta e stanno cercando di imbarcare su gommoni e barconi più persone possibili, prima che la rotta verso l’Italia venga chiusa dopo l’intesa stabilita dai due governi».
Non ha dubbi, invece, Medici Senza Frontiere che denuncia l’ipocrisia e il cinismo dell’accordo Italia-Libia e parla della costruzione in mare di una barriera che impedisca a chi fugge di raggiungere le frontiere dell’Europa. “Con la Dichiarazione di Malta sul Mediterraneo Centrale, il Consiglio Europeo conferma di non avere alcuna considerazione delle drammatiche condizioni di pericolo che si vivono all’interno della Libia e, in modo specifico, dello stato disumano in cui versano i centri di detenzione dove vengono trattenute le persone in fuga. Ancora una volta i leader europei hanno discusso unicamente di misure finalizzate al semplice ‘contenimento dei flussi’. Non si è discusso seriamente di come salvare vite, perché è anzi chiaro come l’UE sia pronta a sacrificare le vite di migliaia di uomini, donne e bambini per impedire loro di raggiungere le coste europee”.
Afferma Tommaso Fabbri, capo missione MSF in Italia: “Per migliaia di esseri umani, il muro virtuale in corso di costruzione nel Mediterraneo Centrale avrà come immediata conseguenza detenzioni arbitrarie, maltrattamenti, stupri, sfruttamento e respingimenti nei paesi di origine. Senza alcun riferimento ad alternative sicure per coloro che non possono più restare in Libia o che sarebbero in pericolo di vita qualora venissero rimandati nei rispettivi paesi di origine”.
Più sfumate ma di analogo tenore le dichiarazioni rilasciate da Oliviero Forti, referente per l’immigrazione della Caritas Italiana al giornalista Fabio Colagrande: “In questi anni abbiamo già, in più occasioni, potuto assistere a tentativi di accordi con Paesi come la Libia, che evidentemente non danno nessun tipo di sicurezza rispetto poi alla reale capacità di implementazione dei contenuti di questi accordi. Capiamo che significa tenere queste persone in un Paese come la Libia, dove sono presenti ancora oggi carceri per migranti; dove si verifica quello che nessuno a volte riesce neanche ad immaginare – stupri di donne, situazioni disumane… – quindi, ecco, cerchiamo ancora oggi di capire come un governo o dei governi europei possano stringere rapporti con un Paese che peraltro non ha neanche un governo stabile, nella misura in cui, come sappiamo, al-Sarraj è il riferimento per l’Europa ma non per il popolo libico”. L’alternativa a questi tipi di accordi, secondo Forti, consiste nell’aprire “canali legali e sicuri di ingresso. Come più volte abbiamo detto, solo sottraendo merce ai trafficanti – e in questo caso la merce sono donne, uomini e bambini – probabilmente possiamo indebolire queste reti criminali. Nel momento in cui invece blocchiamo queste persone nel Paese di transito – la Libia – rimettiamo in moto un meccanismo di traffico che alzerà il livello del rischio per tutti; aumenterà i costi di questi viaggi cosiddetti ‘irregolari’: quindi sarà un’operazione a perdere per tutti”.
Ancora più esplicita la valutazione di Judith Sunderland, direttore associato per Europa e Asia centrale a Human Rights Watch: “Gli sforzi dell’Ue per fermare i barconi provenienti dalla Libia, che siano essi motivati da un freddo calcolo politico o da una reale volontà di salvare vite umane, si riducono a una esternalizzazione della responsabilità ad una delle autorità in un Paese spaccato da conflitti, dove i migranti sono spesso vittime di violenze orribili”. “Quella che l’Ue vuole chiamare ‘linea di protezione’ potrebbe trasformarsi in una linea di crudeltà sempre più profonda, nella sabbia come in mare.” Conclude Sunderland: “L’idea che l’Ue possa pensare a come aggirare il diritto internazionale per rinviare persone in Libia, dove andrebbero incontro a violenze, dimostra quanto sia sprofondato il dibattito politico (…) Il rinvio di individui costituirebbe una violazione della legge, oltre che della decenza più basilare, e tradirebbe i valori su cui l’Ue e i suoi stati membri sono stati fondati.”