Ne abbiamo scritto più volte ma il tema merita la massima attenzione. Ci riferiamo alle condizioni di vita degli anziani. L’occasione è data dalla pubblicazione della ricerca Auser dal titolo “Domiciliarità e Residenzialità per l’invecchiamento attivo”. “Si tratta di un documento dai contenuti molto importanti, con dati che scattano la fotografia di un’Italia che mostra segni di debolezza nei confronti dell’assistenza agli anziani. Un discorso che contempla servizi, risorse e carenza di posti letto nelle strutture di accoglienza, in relazione alla profonda fase di cambiamento demografico alla quale stiamo andando incontro” (leggi l’articolo).
Questa volta, tuttavia, vorremmo soffermare l’attenzione più che sui dati numerici o sulla denuncia delle molte inadeguatezze del welfare sull’analisi delle nuove condizioni di vita di una sempre più larga parte della nostra popolazione. Lo studio dell’Auser, infatti, ci aiuta a comprendere meglio una realtà indubbiamente nuova e complessa, uscendo da una lettura a volte “caricaturale” che descrive l’anziano in bilico tra la marginalità assoluta e l’affannosa ricerca dell’eterna giovinezza.
Gli anziani “veri” fanno volontariato, frequentano palestre, cinema, teatri, sale da ballo, musei, viaggiano e svolgono anche attività lavorativa, talora sostengono economicamente i figli, curano i nipoti e altri familiari anziani. In definitiva hanno assunto un ruolo centrale nel nostro sistema di welfare ma vanno considerati come persone “a tutto tondo” in grado di curare i propri interessi e la propria vita di relazione. Naturalmente non sempre e non dovunque questa è la situazione ma è necessario abituarsi a fare i conti con questo cambiamento di paradigma, che potremmo sintetizzare con l’espressione “gli anziani sono una risorsa e non un costo”.
Di seguito proponiamo la lettura del quinto capitolo; nonostante il titolo dal sapore retrò l’indagine propone un quadro conoscitivo di grande interesse. Per la consultazione del testo integrale della ricerca rinviamo alla pagina web.
LE PROPOSTE
GLI INDIRIZZI POLITICI E CULTURALI PER UNA DOMICILIARITA’ E RESIDENZIALITA’ A FAVORE DELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO
Il quadro complessivo che emerge dalla ricerca è un sistema di assistenza a lungo termine (LTC) inadeguato a far fronte alle nuove esigenze, in progressiva contrazione anche per effetto della crisi, penalizzato dalla esistenza di alcune gravi criticità.
Il suo adeguamento non è riducibile alla soluzione annosa della ripartizione delle competenze, della eterogeneità nella fornitura dei servizi da parte delle singole regioni, del livello complessivo di spesa pubblica per i servizi di continuità assistenziale, richiede invece di ripensare la filosofia generale su cui si fonda l’assistenza agli anziani nel nostro Paese.
Sono le condizioni attuali e gli scenari futuri che si prospettano per le ragioni demografiche e sociali indagate nella ricerca, che sollecitano la elaborazione di un progetto di riforma di ampio respiro.
Per questo è necessario ridefinire prioritariamente le coordinate di fondo di questo possibile progetto nel quadro e in coerenza con una prospettiva di invecchiamento attivo.
La vita degli anziani nella prospettiva dell’invecchiamento attivo.
Secondo il CENSIS svolgono attività di volontariato regolarmente oltre 712 mila longevi e quasi 3,1 milioni di tanto in tanto; fanno regolarmente attività fisica, dalla palestra alla piscina, oltre 1 milione di longevi e oltre 2,6 milioni di tanto in tanto. 727 mila frequentano regolarmente cinema, teatro e musei e oltre 5,2 milioni vi si recano di tanto in tanto; 346 sono clienti abituali, regolari di ristoranti, trattorie e quasi 6,2 milioni vi si reca di tanto in tanto; giocano a lotto, superenalotto, scommettono in modo vario regolarmente 353 mila longevi e lo fanno di tanto in tanto quasi 4,4 milioni; frequentano regolarmente scuole di ballo, balere, locali in cui si balla 314 mila longevi e oltre 2,5 milioni di tanto in tanto; 151 mila viaggiano regolarmente all’estero e non lontano da 2,9 milioni di tanto in tanto. Guidano più o meno regolarmente l’auto circa 7 milioni di longevi. Inoltre, in ambito lavorativo, svolgono attività lavorativa regolare o in nero quasi 2,7 milioni di persone con 65 anni e oltre 1,7 milioni lavorano di tanto in tanto e 929 mila con continuità. Oltre 40 mila longevi dichiarano che nel prossimo futuro proveranno ad avviare un’attività autonoma, da una piccola impresa ad un’attività artigiana o commerciale o entrando come socio in una cooperativa, e oltre 225 mila nei prossimi anni si preparano a cercare lavoro.
Sono numeri che descrivono in modo eloquente e impressivo cosa sia concretamente l’invecchiamento attivo nel quotidiano della nostra società.
Una nuova idea di vecchiaia e di welfare
Gli anziani sono una risorsa e non un costo: è questa la visione prevalente degli anziani nella cultura collettiva degli italiani. Persistono stereotipi come quello dell’anziano sempre e comunque fragile, povero e marginale; così come avanzano luoghi comuni, molto presenti sui media, per cui gli equilibri del sistema previdenziale è messo a rischio dai troppi anziani; per non dire dell’idea che la disoccupazione giovanile è causata dalla pervicace pretesa degli anziani di voler continuare a lavorare. Tuttavia, la longevità attiva praticata ormai da quote crescenti di persone della terza e quarta età ha cominciato a promuovere una nuova idea di vecchiaia il cui nucleo centrale è che gli anziani non sono un peso passivo di cui sopportare il carico, ma i protagonisti attivi di una fase molto diversa del nostro vivere collettivo.
D’altra parte è la realtà quotidiana a farsi carico di far avanzare un nuovo modo di vedere gli anziani in quanto già oggi sono protagonisti di contributi concreti, sostanziali alla vita delle famiglie e delle comunità, portatori di valori e stili di vita che possono costituire riferimento importante per andare oltre la crisi e superare la fase del rimpianto di come eravamo prima che la crisi iniziasse.
Responsabilità, impegno, cultura del limite sono alcuni dei riferimenti valoriali di cui sono portatori i nuovi anziani, utili per andare oltre una fase di soggettivismo estremo, deregolato, segnato da una irrefrenabile corsa nel breve e nel presente, che ha finito per ripiegare le persone su se stesse spegnendo il desiderio del cambiamento.
I valori e gli stili di vita degli attuali longevi sono portatori di una modernità che molto può dire e dare alla società italiana.
Dare visibilità al welfare erogato dagli anziani
Gli anziani che si prendono cura di altre persone anziane parzialmente o totalmente non autosufficienti in modo regolare sono oltre 972 mila e 3,7 milioni lo fanno di tanto in tanto; oltre 1,5 milioni di longevi dichiarano di contribuire con i propri soldi alla famiglia di figli o nipoti, mentre sono non lontano da 5,5 milioni i longevi che lo fanno di tanto in tanto; oltre 3,2 milioni di longevi si prende cura regolarmente dei nipoti e quasi 5,7 milioni lo fanno di tanto in tanto.
Gli anziani quindi non sono solo recettori passivi di risorse e servizi di welfare, ma sono tra i grandi protagonisti di una ridistribuzione orizzontale sia a vantaggio di altri longevi che delle altre classi di età. La bilancia del dare e avere tra generazioni deve tenere presente i rilevanti flussi di reddito che partono dal monte pensioni e arrivano ad integrare redditi familiari traballanti e/o a finanziare le spese impreviste e/o gli investimenti relativi all’acquisto casa e/o la formazione dei nipoti; deve tenere anche conto del care per i nipoti che consente a tante mamme di lavorare.
I nuovi anziani
Fragilità e non autosufficienza hanno una relazione diretta con il tempo che passa, tanto che tra gli ottantenni cresce in modo esponenziale la quota di persone che hanno bisogno di supporto. Tuttavia non esiste un rapporto meccanico tra longevità e non autosufficienza e la buona anzianità va costruita. I 13 milioni di anziani italiani, che sono le generazioni della ricostruzione, del miracolo economico e le prime fila dei baby boomers, stanno rivoluzionando il modo di vivere la terza e quarta età. La longevità attiva è oggi il paradigma concreto di questa rivoluzione silenziosa, quotidiana, molecolare. Non più tratto terminale e declinante del ciclo di vita, la longevità è una fase con contenuti e finalità proprie, in cui realizzare la propria soggettività con attività, progetti e coinvolgimento nella vita sociale e delle comunità. La vita di relazione è il cuore della longevità attiva e costituisce non solo la chiave della soddisfazione per la propria esistenza espressa dalla maggioranza dei longevi (il CENSIS ha rilevato che 84,5% degli anziani valuta positivamente la propria vita), ma anche una forma di prevenzione primaria rispetto all’insorgere di patologie, in particolare quelle indotte dalla solitudine da cui si generano circuiti regressivi con depressione, patologie varie dello stato dell’umore, e ricorso eccessivo e inappropriato a farmaci e prestazioni sanitarie.
La buona anzianità si costruisce per tempo
Gli italiani non hanno paura di invecchiare, perché pensano che sia un fatto naturale da affrontare con naturalezza, ma sono consapevoli che la responsabilizzazione individuale conta. Una longevità serena e appagante dipende anche da come ci si prepara: questo riguarda la salute, la psiche e l’economia.
Comportamenti salutari nel quotidiano con abitudini attente ad evitare impatti negativi sulla salute aiutano a prevenire l’insorgenza di patologie; prepararsi ad un tempo non più occupato in via primaria da famiglia, lavoro e relazioni tipiche della fase adulta, vuol dire riprogettare e investire su nuovi contenuti della propria vita quotidiana, sfuggendo al rischio della solitudine e della connessa depressione da cui si origina una spirale regressiva anche sul piano dello stato di salute; per l’economia conta sempre più la capacità di costruire una rete di autotutela perché la sola pensione non sempre basta a garantire benessere e sicurezza.
Le generazioni attuali di longevi beneficiano di percorsi previdenziali forti e patrimoni mediamente solidi fatti di proprietà della prima casa e spesso anche di altri immobili, presidi economici che hanno consentito di affrontare le nuove emergenze assistenziali ad alto costo legate alla non autosufficienza. Per il futuro però, per i longevi che verranno la dimensione economica rischia di non essere più così solida se non sono attivate opportune scelte, sicuramente a livello collettivo lottando in modo deciso per ridurre gli altissimi livelli di precarietà, ma anche a livello individuale, in grado di promuovere nuova accumulazione di reddito e patrimonio.
Promuovere l’invecchiamento attivo
Stante le dinamiche demografiche è strategico per il futuro promuovere la valorizzazione della longevità attiva, incentivarla, facilitarne la diffusione e la pratica, vale a dire offrire in modo diffuso agli individui le condizioni materiali per attuare la riprogettazione di vita, per decidere di investire sugli anni di vita residua. Gli anni di vita residua a partire dai 65 anni, compatibilmente con il proprio stato di salute e il connesso grado di autosufficienza, devono diventare per ciascuna persona un contenitore pieno di relazioni, attività, impegni, progetti, voglia di fare, insomma devono creare un valore che finisca per avere anche un positivo impatto sociale.
E’ questa la filosofia dell’invecchiamento attivo che si enuclea dai comportamenti di milioni di anziani attuali, e che deve diventare il cuore della risposta sociopolitica e istituzionale alla sfida dell’invecchiamento. E tale filosofia deve informare anche il care per i non autosufficienti perché ad ogni stadio di autonomia, anche quello dove essa è minima, è possibile e sicuramente più efficace puntare sulla valorizzazione delle potenzialità residue, piuttosto che operare in modo puramente assistenziale accrescendo, nei fatti, la dipendenza. Solo così sarà possibile costruire un modello sostenibile e di qualità in grado di valorizzare l’età longeva senza trasformarla in una patologia e al contempo dare care adeguato ai non autosufficienti.
Favorire la relazionalità come fondamento della cura della longevità care.
Le esperienze degli altri paesi, in particolare quella olandese, hanno confermato quanto emerso anche dalle buone pratiche italiane per l’assistenza ai longevi non autosufficienti: occorre allentare il dominio della sanità sulla vita dei longevi e promuovere contesti che siano piattaforme per la moltiplicazione delle relazioni, in cui ci sia un set ampio di attività, iniziative, progetti in cui le persone possono coinvolgersi e a partire dalle quali sviluppare rapporti con gli altri. Una longevità serena richiede buona salute, una certa sicurezza economica e reti di relazioni, contesti in cui rompere la gabbia della solitudine che, con il passare degli anni, diventa una minaccia consistente, e che molto spaventa i longevi. Quale che sia la soluzione che prevale per la persona non autosufficiente, la domiciliarità o la residenzialità, tutto deve essere orientato a garantire reti di relazioni, opportunità per essere attivi, condizioni per realizzare progetti e aspettative, affinché i longevi siano protagonisti della vita delle comunità. Il nuovo paradigma socioculturale, la longevità attiva e la valorizzazione delle potenzialità residue, deve informare ogni luogo, attività, iniziativa rivolta ai longevi, perché solo così sarà possibile promuovere soluzioni anche assistenziali sostenibili.