“L’abbiamo ricoperta di tangenziali, parcheggi, supermercati, campi da arare, cave, acciaierie, sbarrata con cancelli, camuffata con cento altri nomi, presa talvolta a picconate peggio dell’ISIS”.
È l’Appia Antica, la Regina Viarum, la via numero uno del mondo antico, nelle parole di Paolo Rumiz, scrittore, giornalista, “viandante”. Appia, “un grande viaggio a piedi da raccontare” (Paolo Rumiz, Appia, Feltrinelli 2016). 360 miglia, pari a 533 chilometri da Roma a Brindisi, passando per Capua Vetere, Benevento, Melfi, Venosa, Taranto. In realtà, considerate le deviazioni, 612 chilometri in 29 giorni di cammino, iniziato il 28 aprile e concluso il 13 giugno 2015, “a 2357 anni esatti dall’inizio dei lavori di costruzione”.
Con Rumiz un partner d’eccezione, Riccardo Carnovalini, il “cercatore di vie”, “un ligure tosto col radar sotto i piedi, un domatore di rovi e torrenti, forse il massimo camminatore italiano”. A lui dobbiamo le ultime settanta pagine che ci guidano a passo a passo in ogni singola tappa, fornendo dati tecnici e ogni possibile suggerimento per superare gli infiniti ostacoli sul cammino.
Al viandante e al cercatore di vie si affiancano Irene, “veneta mezza austriaca, architetto con la passione per l’ambiente, un tipo silenzioso e caparbio, capace di rendere lieve la trasferta alla più rissosa delle compagnie” e Alex “il collaudato film-maker” con cui Rumiz ha compiuto tanti viaggi.
Lungo l’itinerario i quattro “uomini del Nord” incontrano indimenticabili personaggi del Sud che, a volte, condividono tratti del cammino.
Tra questi “l’irpino Marco Ciriello, giovane amico di vecchia data, munito di zaino, rossa bandana e buona lena, ha scelto di scortarci nella marcia di avvicinamento al Sannio montuoso. (…) È un tipetto che va maneggiato con cura, trattandosi di greco peripatetico, cinico per giunta, spietato nei giudizi e fulmineo nei dialoghi”.
Vinicio Capossela, “bardo umorale e generoso”, “sbucato all’improvviso, come un bravo manzoniano”, “è salito in quota dall’avita valle dell’Ofanto assieme all’amica Michaela Molinari, fisico perfetto da maratoneta, e ora si attacca a noi per un pezzo di strada. L’ebreo errante che lo abita non ha resistito al richiamo”.
E ancora, Raffaele Nigro a cui “manca solo il bastone da passeggio. Me lo vedo, azzimato come un baronetto, respirare aria di mare sulla promenade des Anglais di Nizza ai primi del Novecento, piuttosto che qui nello scampanio del vespro di Venosa. E invece quest’uomo dai folti capelli grigio argento è figlio di queste terre, di Melfi per la precisione. Ed è venuto a trovarci a Venosa, appena ha saputo della nostra traversata”.
E infine, le tante archeologhe che, disperatamente e appassionatamente, tentano di presidiare il territorio da abusi e incuria, ignoranza e arroganza. “L’Appia è femmina. Gli archeologi che ci hanno aperto e ci apriranno la strada sono quasi sempre donne”.
Su tutti coloro che cercano e amano l’Appia veglia il “Grande Spirito” di Antonio Cederna cui sono dedicati il viaggio e il libro. “Nel tuo nome, Antonio dei Cederna,/diremo di misfatti e meraviglie/ e sempre nel tuo nome intingeremo/equamente la penna vagabonda/nel nero calamaio della rabbia/e in quello del divino incantamento/rifuggendo da sterili anatemi./ Protetti dallo sguardo tuo benevolo/valicheremo montagne e pianure/per fare l’inventario delle storie/e delle genti trovate in cammino/su questa strada antica tra tre mari”.
Accompagna il viaggio Orazio Flacco. Così Rumiz: “è anche colpa di Orazio se sono qui, se ho scelto questa via e non altre. Lo sento che mi sussurra all’orecchio: ‘Vecchio mio, lascia perdere le pietre …fa’ che sia la strada a narrarsi”.
Ma chi potrà apprezzare questo libro? Siamo di fronte a un testo difficile, persino da definire. Non è un romanzo, eppure c’è una storia – e che storia – da raccontare. Non è un diario di viaggio eppure del viaggio ci sono tutti gli elementi. Non è un’inchiesta eppure si denunciano vicende di incuria e malaffare. Non è una guida eppure accompagna a scoprire luoghi, persone, comunità.
Di certo piacerà a chi ha avuto la fortuna di percorrere a piedi lunghi tratti di strada, a chi ha camminato per almeno un giorno, provando fatica, ascoltando suoni e rumori, sentendo profumi, superando siepi e ruscelli. Costoro potranno apprezzare il ritmo del racconto, le sue bizzarrie, storie ripetute di gesti sempre eguali eppure ogni volta diversi, l’alternarsi dei sentimenti, le riflessioni condivise con i compagni di strada, lo stupore e la rabbia.
Di certo piacerà a chi ama l’Italia, tutta l’Italia e ne apprezza le infinite diversità; a chi ha a cuore il Sud; a chi sa ancora indignarsi di fronte a ingiustizie e brutture; a chi ha pazienza; a chi tiene all’antico; a chi pensa al futuro.
Forse non piacerà a chi ha fretta; a chi vuol sapere subito ‘come va a finire’; a chi cerca solo il colpevole; a chi vede il mondo in bianco e nero; a chi tiene troppo a se stesso.
E poi, dopo aver letto questo libro qualcuno percorrerà davvero a piedi l’Appia Antica? Difficile dirlo. Una cosa è certa. Chi l’ha letto non ha più alibi. Ormai sa che l’Appia non è solo un’evocazione storica, è lì che aspetta, è lì che chiama. O forse, semplicemente, suggerisce a ciascuno di noi di farsi viandante, di scoprire la propria ‘Linea’, un cammino che abbia un senso e meriti di essere raccontato per tornare ad essere “pubblico”. Tante persone, in più luoghi di questa stravagante Italia, hanno l’opportunità di affrontare “un’avventura magnifica e terribile, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo”.
Per concludere un suggerimento. Non perdete gli splendidi 73 minuti del docufilm “Paolo Rumiz Appia: il cammino”, per la regia di Alessandro Scillitani. Se avete già letto il libro è un’ottima occasione per legare al racconto splendide immagini; se non l’avete ancora letto troverete mille ragioni per farlo e completare, così, il vostro viaggio.