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Aspirina, quanto la conosciamo davvero?

Quasi tutti noi abbiamo fatto ricorso almeno una volta all’acido acetilsalicilico, salvo in caso di reazioni allergiche o controindicazioni particolari. Ebbene sì, stiamo parlando della famosa Aspirina.

Va detto che l’interesse per questa classe di molecole ha origini davvero remote: Erodoto, nelle Storie, scriveva di un popolo stranamente più resistente alle malattie comuni e che tale popolo usava mangiare foglie di salice; Ippocrate descriveva nel quinto secolo a.c. una polvere amara estratta dalla corteccia del salice che poteva essere utilizzata per alleviare i dolori in generale e abbassare la temperatura corporea elevata; anche i sumeri, gli egizi e gli assiri hanno citato un rimedio simile e persino i nativi americani lo conoscevano e lo usavano per gli stessi sintomi.

Nell’era moderna il reverendo Edward Stone, esattamente 260 anni fa (nel 1757), scopriva gli effetti benefici della corteccia di salice e scriveva alla Royal Society di Londra una lettera nella quale giustificava in modo chiaro l’utilizzo della sostanza come antipiretico.

La sua scoperta è attribuita al chimico francese Charles Frédéric Gerhardt, ma la storia della sua sintesi industriale è controversa e parte dal 1853; la molecola viene registrata commercialmente dalla Bayer che acquista il brevetto – mossa che costituirà  peraltro la fortuna della casa farmaceutica – ma già in Francia era stata registrata, sia pure con sintesi diversa. Entrambi i composti avevano però la stessa reazione.

Non spiegheremo tutte le controversie legate ai brevetti di questo farmaco così noto, basterà sapere che dall’originario acido salicilico estratto dalla corteccia del salice, quindi esistente in natura, si arrivò ad una molecola chimica nuova della moderna industria farmaceutica.

Soltanto nel 1970 però verrà compreso interamente il meccanismo dell’azione farmacologica dell’Aspirina. Essa agisce come altri farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) bloccando e distruggendo alcuni enzimi presenti nel nostro organismo.

Si è infatti scoperto che l’aspirina inibisce l’enzima COX-1, presente nelle piastrine del sangue, bloccando la sintesi di aggregazione delle sostanze che favoriscono l’occlusione dei vasi sanguigni. Tuttavia va anche detto che COX-1 è presente in molti tessuti umani e la sua inibizione quindi aumenta la tossicità gastrointestinale, elevando quindi il rischio di ulcere gastroduodenali. Aspirina inibisce anche l’enzima responsabile di infiammazioni, COX-2, sia pure in modo ridotto rispetto a COX-1.

Pertanto, pur rimanendo un ottimo antipiretico e antidolorifico, è più efficace, a basso dosaggio, come antiaggregante piastrinico, riducendo sensibilmente il rischio di trombosi arteriosa. È in questo senso che oggi Aspirina viene principalmente utilizzata, nella prevenzione secondaria per ridurre il rischio di infarto del miocardio e ictus cerebrale, cioè in pazienti che hanno già avuto tali affezioni. Questo farmaco viene chiamato Aspirinetta, in virtù del dosaggio ridotto. In prevenzione primaria il suo uso viene invece sconsigliato a causa degli effetti collaterali sul tratto gastrointestinale.

Va da sé che essa, essendo un antiaggregante del sangue, non va utilizzata prima e dopo operazioni, persino per una semplice estrazione dentaria. Tra le tante attenzioni dovute all’ingestione di qualsiasi farmaco, va ricordato che coloro che siano affetti da favismo non possono assumere Aspirina.

Piace infine citare Ippocrate, il padre della medicina: «Se c’è amore per l’uomo, ci sarà anche amore per la scienza».

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Redazione