A fine dicembre l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha diffuso il “Rapporto sullo stato di attuazione e la qualità dei piani triennali di prevenzione della corruzione nelle amministrazioni pubbliche 2015-2017”. Come era prevedibile, la notizia è stata presa in esame solo dalle testate di settore. Tuttavia, in un Paese che discute molto di legalità, un’indagine sulla funzionalità di uno dei principali strumenti di lotta alla corruzione previsti dalla Legge 190 del 2012 avrebbe meritato qualche attenzione in più.
Nella Presentazione del Rapporto Raffaele Cantone lascia trasparire una certa preoccupazione per i modesti risultati raggiunti in questa prima fase. Infatti, utilizzando un’espressione di circostanza, dichiara che “i risultati dell’analisi condotta (…) sono certamente il punto di partenza per orientare la strategia nazionale di prevenzione della corruzione e possono rappresentare un primo strumento di autovalutazione a disposizione delle pubbliche amministrazioni finalizzato all’adozione di scelte consapevoli”.
Dalla lettura del documento, ancora una volta, sembrano evidenziarsi alcune grandi questioni: la presenza di significative difficoltà organizzative, soprattutto nelle autonomie territoriali di minori dimensioni; il prevalere della “cultura dell’adempimento” anche di fronte all’introduzione di procedure innovative; la profonda divaricazione esistente nelle performance della pubblica amministrazione nel Nord e nel Sud del Paese.
Poco da dire sul primo aspetto. È abbastanza naturale che le organizzazioni di minori dimensioni incontrino maggiori difficoltà nel mettere in atto nuove procedure. Tuttavia, senza entrare nel merito dei pur necessari processi di accorpamento e di razionalizzazione organizzativa, si può presumere che il problema troverà automatica soluzione in un lasso di tempo ragionevole. Più preoccupante il secondo aspetto, in quanto testimonia un persistente vizio di una parte non trascurabile della PA italiana. Tutte le Amministrazioni adempiono gli obblighi di redazione e pubblicazione del Piano Triennale, ma la qualità è modesta e poche utilizzano questa occasione per rendere più incisive e penetranti le procedure di contrato alla corruzione. Sul terzo aspetto, salvo lodevoli eccezioni, i dati confermano un significativo ritardo della Pubblica Amministrazione del Mezzogiorno. Si tratta di un dato su cui riflettere. La PA sembra seguire la stessa sorte dell’andamento dello sviluppo economico e sociale: una divaricazione sempre più marcata tra una parte del Paese capace di innovazione e in grado di collegarsi alle dinamiche europee e internazionali e un’altra parte ripiegata su se stessa, diffidente e “resistente” verso ogni novità, sostanzialmente autoreferenziale.
Consapevole di queste problematiche Cantone conclude la sua Presentazione ricordando che “l’anticorruzione è prima di tutto una scelta amministrativa, che inizia con la programmazione dei Piani e che, dove correttamente attuata, si traduce in modelli di gestione e di amministrazione credibili ed efficienti”. Ma questi primi anni di attività dimostrano che “è ancora lunga la strada da compiere per ritenere assimilata la cultura della legalità e della prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”.
Di seguito proponiamo il Summury Report del documento, rinviando al seguente link per la consultazione del testo integrale.
SUMMARY REPORT
Il presente documento intende offrire una panoramica generale sullo stato di attuazione della Legge n. 190 del 2012, con particolare riferimento all’adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione (PTPC) da parte delle amministrazioni pubbliche.
L’oggetto di analisi, quindi, è rappresentato dai documenti (PTPC) adottati per il triennio 2015-2017 e pubblicati sui siti istituzionali delle singole amministrazioni alla data del 28 febbraio 2015. Nei casi di mancata pubblicazione dei predetti documenti, sono stati acquisiti e valutati i PTPC adottati per il triennio 2014-2016 e, in caso di ulteriore assenza, i PTPC del triennio precedente (2013-2015).
Il campione di riferimento è costituito da 1.911 unità e comprende le seguenti tipologie di amministrazioni: Amministrazioni dello Stato ed Enti Nazionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri, Enti Pubblici non Economici, Agenzie e altri Enti nazionali), Autonomie Territoriali (Regioni, Province e Comuni), Enti del Servizio Sanitario (Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e Autonomie Funzionali (Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura e Università Statali).
L’analisi ha la duplice finalità di verificare il livello di adempimento della Legge n. 190 del 2012, con riferimento all’adozione dei PTPC, nonché quella di effettuare un monitoraggio della qualità effettiva dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione adottati dalle pubbliche amministrazioni, al fine di identificare le principali criticità attuative e “lo stato dell’arte” della strategia di prevenzione della corruzione a livello decentrato.
Si è cercato, quindi, di verificare la qualità dei Piani sulla base di specifiche dimensioni di analisi quali: la qualità del processo di gestione del rischio, la programmazione delle misure di prevenzione e il livello di coordinamento o integrazione con altri strumenti di programmazione.
L’analisi dei dati ottenuti dalla rilevazione è stata compiuta al fine di mettere in luce le correlazioni tra le sopraccitate dimensioni e variabili organizzative e di contesto ritenute particolarmente rilevanti (come la tipologia di amministrazione, la collocazione territoriale delle stesse, la complessità organizzativa e l’anno di adozione del PTPC), attraverso diverse tecniche statistiche che comprendono: un’analisi univariata (analisi di una sola variabile per volta), bivariata (analisi congiunta di due variabili) e multivariata (analisi congiunta di più di due variabili).
Il processo valutativo è stato articolato in due momenti: una valutazione di “primo livello”, condotta da un gruppo di valutazione composto da funzionari e dirigenti dell’ANAC, e una revisione di “secondo livello”, compiuta da ricercatori ed esperti dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e del Formez.
Di seguito, verranno sintetizzati i principali risultati emersi dall’analisi effettuata; per il dettaglio dei risultati si rinvia alle specifiche sezioni del presente rapporto.
Il primo dato rilevante che emerge dall’analisi concerne la generalizzata adozione e pubblicazione dei PTPC da parte delle amministrazioni analizzate. Alla data del 28 febbraio 2015, infatti, il 96,3% delle amministrazioni analizzate ha adottato e pubblicato almeno una delle edizioni del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione sul proprio sito istituzionale. La percentuale di Piani non reperiti sui siti istituzionali risulta, quindi, molto bassa, attestandosi su un valore pari al 3,7%.
Approfondendo quest’ultimo dato si evince che le amministrazioni per le quali non risulta pubblicato il PTPC sono principalmente Autonomie Territoriali (94% dei casi), collocate nel Sud Italia (nel 54,9% dei casi) e di piccole dimensioni (per il 74,7% dei casi).
Sempre con riferimento all’adozione del Piano, un altro dato rilevante concerne il suo aggiornamento. La norma, infatti, prevede l’aggiornamento del PTPC al 31 gennaio di ogni anno, con il fine ultimo di adeguare la strategia anticorruzione al mutare delle condizioni organizzative e/o di contesto interno ed esterno. Le analisi effettuate mostrano un dato tendenzialmente positivo: tra le 1840 amministrazioni che hanno adottato almeno una edizione del PTPC, il 62,9% di esse ha adottato e pubblicato l’aggiornamento per il triennio 2015-2017. Le amministrazioni più virtuose, in questo caso, sembrano essere gli Enti del Servizio Sanitario e le Autonomie Funzionali.
In termini relativi, il dato sembra segnalare che le Autonomie Territoriali (Regioni, Province e Comuni), specie con riferimento alle amministrazioni di minori dimensioni e collocate prevalentemente nelle Regioni del Sud Italia, tendenzialmente sperimentano le maggiori difficoltà nel provvedere all’aggiornamento dei PTPC.
Se si analizzano i dati relativi alla qualità dei Piani adottati, si evincono le maggiori criticità.
In primo luogo, è stata valutata la qualità del processo di gestione del rischio messo in atto, attraverso l’esame: dell’analisi del contesto esterno e interno, del processo di risk assessment, del trattamento del rischio, del livello di coinvolgimento degli attori interni ed esterni e del sistema di monitoraggio.
Per ognuno di questi criteri, si evince una generalizzata inadeguatezza del processo di gestione del rischio messo in atto dalle amministrazioni, dovuta prevalentemente ad una generale impreparazione delle amministrazioni, data la sostanziale novità e complessità della normativa.
Nel dettaglio, la fase maggiormente critica risulta essere l’analisi del contesto esterno, insufficiente o inadeguata nel 96,52% dei Piani analizzati (addirittura assente nel 84,46% dei casi). In altre parole, è risultata inadeguata la capacità delle amministrazioni di leggere ed interpretare le dinamiche socio-territoriali e di tenerne conto nella redazione del Piano.
Le analisi effettuate, inoltre, mostrano una relazione statisticamente significativa tra l’inadeguatezza dell’analisi del contesto esterno e la tipologia di amministrazione, la dimensione organizzativa e l’aggiornamento del Piano. In altre parole, si rileva una minore qualità dell’analisi del contesto esterno in alcune tipologie di amministrazioni (in particolare le Autonomie Territoriali), nelle amministrazioni di più piccole dimensioni e nelle versioni meno recenti del PTPC (i Piani non aggiornati all’edizione 2015/2017). La collocazione territoriale delle amministrazioni non sembra, invece, influire sulla qualità dell’analisi del contesto esterno all’interno dei PTPC.
L’analisi del contesto interno, da attuare attraverso l’analisi dei processi organizzativi (“mappatura dei processi”), pur essendo meno critica della precedente fase, risulta tendenzialmente inadeguata. L’analisi dei dati evidenzia la scarsa qualità e analiticità della stessa nel 73,91% dei casi per quanto concerne i processi afferenti alle cosiddette “Aree Obbligatorie” e nel 79,78 % per quanto concerne i processi afferenti alle “Aree Ulteriori”. Nello specifico, tra quei Piani in cui la mappatura dei processi afferenti alle “Aree Obbligatorie” risulta inadeguata, emerge un 9,02% di casi in cui essa risulta addirittura assente, percentuale che sale al 46,09% nel caso dei processi afferenti alle “Aree Ulteriori”.
Anche nel caso dell’analisi del contesto interno, le principali problematiche restano in capo alle Autonomie Territoriali, meno preparate a realizzare un’adeguata mappatura dei processi, mentre si evincono i più elevati livelli qualitativi tra le Autonomie Funzionali (specie con riferimento alle Camere di Commercio) e gli Enti del Servizio Sanitario.
Anche la collocazione geografica delle amministrazioni e la dimensione organizzativa incidono sui livelli qualitativi della mappatura dei processi realizzata. In tal senso, si riscontrano i maggiori problemi nelle amministrazioni collocate al Sud e nelle Isole e nelle amministrazioni di piccole e medie dimensioni. I Piani aggiornati nell’ultima annualità invece contengono una mappatura dei processi significativamente migliore rispetto ai Piani delle edizioni precedenti.
In linea con i trend delineati finora, anche l’adeguatezza del risk assessment risulta insoddisfacente nella maggioranza dei piani analizzati (nello specifico l’identificazione e analisi dei rischi nel 67,07% dei casi e la valutazione e ponderazione del rischio nel 62,39% dei casi), manifestando la concreta difficoltà delle amministrazioni di individuare correttamente i rischi di corruzione, di collegarli adeguatamente ai processi organizzativi e di utilizzare un’adeguata metodologia di valutazione e ponderazione dei rischi.
Questo appare ancora più evidente nelle Autonomie Territoriali, nelle amministrazioni collocate nei territori del Sud e delle Isole e nelle amministrazioni di piccole dimensioni.
Anche il trattamento del rischio (fase volta all’individuazione delle misure di prevenzione della corruzione sulla base delle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi) è risultato adeguato solo nel 37,72% dei Piani analizzati. Le Autonomie Funzionali e gli Enti del Servizio Sanitario sono le amministrazioni che sviluppano più appropriatamente tale fase, mentre sono, ancora una volta, le Autonomie Territoriali a presentare le maggiori criticità. Le variabili territoriali e dimensionali sembrano avere una certa influenza nell’adeguatezza del trattamento del rischio, che risulta tendenzialmente meno adeguato nelle piccole amministrazioni e nel Sud Italia.
Una migliore qualità del processo di gestione del rischio è garantita anche dalla partecipazione di un congruo numero di attori interni ed esterni. Tuttavia, il livello di coinvolgimento degli attori interni ed esterni, così come l’adeguatezza delle azioni di accompagnamento alla realizzazione del PTPC, risultano particolarmente critici.
Le criticità maggiori si evincono con riferimento al coinvolgimento degli attori esterni, risultato assente nel 55,38% dei Piani analizzati o, comunque, inadeguato nel 80,16% dei casi. Meno critico, seppur insoddisfacente, risulta il coinvolgimento degli attori interni, inadeguato nel 61,25% delle amministrazioni. Anche le azioni di accompagnamento, sensibilizzazione e formazione poste in essere per la realizzazione del Piano sembrano essere sostanzialmente inadeguate, secondo quanto emerge nel 75,98% dei Piani analizzati.
Conformemente ai trend evidenziati in precedenza, le Autonomie Territoriali presentano le maggiori criticità e risultano, quindi, meno propense a coinvolgere gli stakeholder interni ed esterni, così come a realizzare adeguate iniziative di sensibilizzazione e formazione (al contrario delle Autonomie Funzionali e degli Enti del Servizio Sanitario).
La collocazione territoriale delle amministrazioni e la loro dimensione organizzativa influisce sul livello e la qualità del coinvolgimento degli stakeholder interni ed esterni, risultata significativamente meno adeguata nelle amministrazioni del Sud Italia e nelle amministrazioni di medie e piccole dimensioni. Nell’ultima edizione del Piano, invece, si evince un maggior coinvolgimento degli attori interni ed esterni e un numero superiore di iniziative di sensibilizzazione e formazione, ad evidenziare l’importanza di tali iniziative per addivenire ad un significativo miglioramento della qualità del Piano stesso.
Chiude l’analisi della qualità del processo di gestione del rischio, l’esame dell’adeguatezza del sistema di monitoraggio previsto per verificare l’efficacia e l’attuazione del PTPC.
A conferma del generalizzato livello di inadeguatezza del processo di gestione del rischio, anche il sistema di monitoraggio risulta insufficiente nel 75,22% dei Piani analizzati.
Le Autonomie Territoriali, ancora una volta, si caratterizzano per i più bassi livelli qualitativi, confermando le difficoltà riscontrate nell’intero processo di gestione del rischio, mentre le Autonomie Funzionali e gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale si distinguono per i più elevati livelli qualitativi.
La qualità del sistema di monitoraggio sembra essere influenzata dalla dimensione organizzativa (e non dalla collocazione geografica delle amministrazioni). Infatti, la qualità del sistema di monitoraggio è significativamente inferiore nelle amministrazioni di medie e piccole dimensioni. Il fattore “apprendimento”, ancora una volta, risulta significativo nel miglioramento della qualità del Piano: i test effettuati, in tal senso, mostrano una correlazione positiva tra la qualità del sistema di monitoraggio e il livello di aggiornamento del Piano.
La qualità della programmazione delle misure di prevenzione, che indica la capacità delle amministrazioni di identificare e programmare adeguatamente gli interventi organizzativi finalizzati a ridurre il rischio corruttivo nell’amministrazione, è risultata prevalentemente insufficiente e inadeguata (in media nel 77% dei Piani analizzati) per tutte le misure obbligatorie. Per quanto concerne le misure ulteriori, invece, esse non sono state previste nel 55,5% dei casi analizzati. La gran parte dei Piani esaminati infatti, anche se generalmente contiene le misure “obbligatorie”, è priva di una concreta pianificazione degli interventi, facendo venir meno la componente di programmazione propria dello strumento.
La tipologia di amministrazione, la collocazione territoriale e la dimensione organizzativa influiscono sulla qualità della programmazione delle misure. In altre parole, le amministrazioni di piccole dimensioni, le Autonomie Territoriali e le amministrazioni collocate nel Sud Italia sperimentano i minori livelli qualitativi mentre, al contrario, nell’ultima edizione del Piano, la qualità della programmazione delle misure obbligatorie e ulteriori appare mediamente più elevata.
L’ultima dimensione analizzata riguarda il livello di coordinamento o integrazione con altri strumenti di programmazione, ossia il Piano della Performance e il Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità. L’analisi dei dati mostra l’assenza di un efficace coordinamento tra il PTPC e il Piano della performance (nel 80,6% dei casi in esame). Il collegamento con il Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità è inadeguato nel 63,97% dei Piani analizzati. Anche in questo caso la qualità sembra influenzata da variabili di tipo territoriale e dimensionale: i più bassi livelli qualitativi si evincono tra le Autonomie Territoriali, tra le piccole amministrazioni e tra le amministrazioni del Sud Italia. Gran parte dei Piani, infatti, sembra richiamare un collegamento più formale che sostanziale tra gli strumenti di programmazione.
In sintesi, le risultanze delle analisi effettuate possono essere schematizzate in quattro punti:
• in primo luogo, si evidenzia il livello pressoché generalizzato di adozione e pubblicazione dei PTPC da parte delle amministrazioni analizzate. I PTPC risultano adottati da quasi la totalità delle amministrazioni esaminate. Emerge, quindi, almeno a livello formale, un buon livello di applicazione della norma;
• sebbene l’adozione e la pubblicazione dei PTPC risulti generalizzata, il livello di qualità degli stessi è generalmente insoddisfacente;
• la qualità dei Piani è significativamente influenzata da alcune variabili di contesto, quali la tipologia di amministrazione, la collocazione geografica delle stesse e la dimensione organizzativa;
• la qualità dei Piani sembra essere significativamente migliore nell’ultima edizione del PTPC (2015-2017) rispetto alle edizioni precedenti. Sembrerebbe, quindi, che la qualità dei Piani sia strettamente correlata a un fattore di apprendimento e ad una gradualità nell’implementazione della norma.
Alla luce di tali risultanze, sembra evidente la sostanziale difficoltà delle amministrazioni pubbliche, non già nell’adozione formale del Piano, ma nel garantire gli adeguati livelli qualitativi necessari alla sua sostenibilità ed efficacia nel tempo. In tal senso, appare indispensabile trarre spunto da tali criticità al fine di individuare gli interventi necessari per un miglioramento significativo in termini di attuazione della disciplina anticorruzione.
Le difficoltà emerse, infatti, risultano ancora più evidenti per alcune categorie di amministrazioni che, tendenzialmente, si caratterizzano per l’adozione di Piani che presentano livelli qualitativi più bassi, come le Autonomie Territoriali, le amministrazioni di medie e piccole dimensioni e prevalentemente situate nelle Regioni del Sud Italia.
Lo scarso livello qualitativo dei PTPC non deve portare alla semplice conclusione che tale strumento di prevenzione della corruzione sia scarsamente efficace. Al contrario, i risultati dell’analisi sembrano suggerire che, incrementando gli sforzi a tutti i livelli e responsabilizzando i diversi attori nella messa in atto in termini di definizione e soprattutto attuazione delle misure di prevenzione, tali strumenti possono essere utilizzati in maniera corretta e produrre, nel tempo, i risultati attesi.
In altre parole, la scarsa qualità dei Piani sembra scontare una serie di problematiche e cause strutturali che concernono da una parte la governance del sistema e, dall’altra, la generalizzazione degli indirizzi forniti dal Piano Nazionale Anticorruzione.
Con riferimento al primo punto, il ruolo e le relazioni, spesso complesse, dei soggetti chiamati ad implementare la norma, hanno profondamente inciso sulle modalità con cui essa è stata applicata; si fa riferimento, in particolare, alle problematiche connesse al ruolo dell’organo di indirizzo politico, al ruolo e all’indipendenza del Responsabile per la Prevenzione della Corruzione, così come al ruolo dei “referenti per la prevenzione della corruzione”, che richiedono un necessario ripensamento e/o rafforzamento del sistema di governance interno.
D’altra parte, l’adeguata implementazione del Piano, sembra scontare la scarsa differenziazione degli indirizzi a seconda della specificità delle amministrazioni e delle caratteristiche dimensionali e organizzative degli stessi enti. Le amministrazioni che hanno evidenziato maggiori difficoltà, infatti, sono caratterizzate da risorse interne ridotte sia in termini di personale (numero di dipendenti) che di competenze non reperibili internamente. Ciò sottolinea, quindi, un duplice problema: da una parte, la ridotta capacità delle organizzazioni di piccole dimensioni (in prevalenza collocate nel Sud Italia) di trovare le modalità operative più adatte per implementare in maniera sufficientemente adeguata la normativa in esame; dall’altra, la scarsa applicabilità degli indirizzi forniti dal PNA per le organizzazioni di più piccole dimensioni.
Il problema della dimensione organizzativa e della collocazione territoriale risulta, infatti, particolarmente delicato e coinvolge anche, più in generale, altri aspetti legati allo sviluppo territoriale e alla capacity building. In tal senso, sarebbe utile assegnare parte delle risorse destinate allo sviluppo territoriale al tema della definizione di strategie integrate di sviluppo del territorio e prevenzione della corruzione.
A ciò va aggiunta la necessità di semplificare sensibilmente gli indirizzi, tenendo conto delle maggiori difficoltà sperimentate da tali amministrazioni, fornendo delle indicazioni tarate sulle peculiarità delle piccole organizzazioni, in un’ottica di gradualità di implementazione della norma, semplificazione e differenziazione.
Le evidenze empiriche mostrano, infatti, che le amministrazioni che hanno beneficiato di un maggior supporto nella redazione del Piano attraverso l’utilizzo di strumenti specifici (linee guida, indirizzi metodologici, formazione, etc.), costruiti ad hoc e tarati rispetto alle specificità delle amministrazioni, hanno sperimentato i più elevati livelli qualitativi.
Infatti, tra le categorie di amministrazioni che sembrano caratterizzarsi per più elevati livelli qualitativi, emergono, ad esempio gli Enti del Servizio Sanitario e le Autonomie Funzionali, specie con riferimento alle Camere di Commercio. A conferma di quanto detto in precedenza, tale risultato non sorprende se si considera che queste ultime hanno beneficiato del supporto di Unioncamere, che ha provveduto a redigere delle Linee Guida per la redazione del PTPC tenendo conto delle specificità delle Camere di Commercio.
Un altro elemento che sembra fortemente incidere sulla qualità dei piani è quello legato alla “gradualità” dell’implementazione della norma e, di conseguenza, ad un fattore di “apprendimento”. Come sottolineato in precedenza, infatti, le amministrazioni che hanno adottato l’ultima edizione del PTPC si caratterizzano per un miglior livello qualitativo. In tal senso, appare evidente che l’adeguata implementazione della norma richieda un periodo, più o meno lungo, di adattamento graduale alle indicazioni della norma stessa. Questo trova conferma anche dalle similari esperienze internazionali dove, la strategia di prevenzione della corruzione adottata, ha reso necessario un lavoro e uno sviluppo proiettato su un orizzonte temporale più ampio, al fine di poter ottenere effettivi e concreti risultati.
Pertanto, la differenziazione e semplificazione degli indirizzi a seconda delle diverse tipologie di amministrazioni (tenendo conto della dimensione organizzativa) e l’investimento nella formazione e l’accompagnamento delle amministrazioni nella redazione del Piano, tutto in un’ottica di gradualità di implementazione degli indirizzi, sembrano essere i fattori critici di successo che consentono la messa in atto di adeguate strategie di prevenzione della corruzione.
In linea con tale impostazione, si cita anche la Legge n. 124 del 2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” che, all’art. 7 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza), sottolinea la necessità della “precisazione dei contenuti e del procedimento di adozione del Piano nazionale anticorruzione, dei piani di prevenzione della corruzione e della relazione annuale del responsabile della prevenzione della corruzione, anche attraverso la modifica della relativa disciplina legislativa, anche ai fini della maggiore efficacia dei controlli in fase di attuazione, della differenziazione per settori e dimensioni, del coordinamento con gli strumenti di misurazione e valutazione delle performance nonché dell’individuazione dei principali rischi e dei relativi rimedi; conseguente ridefinizione dei ruoli, dei poteri e delle responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi processi”.