Un triangolo rosa. Era questo l’odioso simbolo utilizzato dai nazisti per bollare gli omosessuali che, in quanto tali, non meritavano di vivere una vita normale e quindi dovevano entrare nel piano diabolico dello sterminio di massa. Si stima che furono oltre 7000 le persone omosessuali uccise dalla furia nazista e migliaia quelle internate che per fortuna riuscirono a sopravvivere, seppur riportando ferite indelebili dal punto di vista psicologico.
Sono trascorsi 72 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz che ha svelato al mondo quel dramma, che accomunò i gay e le lesbiche a milioni tra ebrei, zingari, disabili, testimoni di Geova e quanti venivano considerati esseri inferiori rispetto alla cosiddetta “razza ariana”. E lo scorso 27 gennaio, come ogni anno dal 2005 ad oggi, è stata celebrata la Giornata della Memoria.
Giustissimo, direte voi, come lo dico anche io. Ma poi mi fermo a pensare a quanta ipocrisia ci sia oggi nel mondo, a cominciare dall’Italia. A quante persone si commuovano davanti alle immagini dei deportati o al film di turno riproposto in tv in questa settimana, a quanti riempiano le proprie bacheche di Facebook con candele, cuori, frasi e immagini. Fa male constatare però che molte di quelle persone sono le stesse che sulle proprie bacheche non perdono occasione per puntare il dito contro gli immigrati o peggio per condividere bufale che li riguardano. E molti sono tra loro quelli che girano lo sguardo da un’altra parte se incontrano un disabile o che sghignazzano, o peggio ancora si indignano, se vedono passeggiare per strada una coppia di omosessuali. Per non parlare poi di argomenti più complessi come le unioni civili o le adozioni.
Siamo partiti da quel triangolo rosa ed è lì che voglio tornare. Perché se è vero che di anni dalla fine dell’inferno dell’olocausto ne sono passati 72, così come è vero che di passi avanti ne sono stati compiuti tantissimi e oggi in molti Paesi non vi è più alcuna differenza tra omosessuali ed eterosessuali, la discriminazione resta all’ordine del giorno in troppe realtà del mondo, a cominciare dall’Italia.
E’ della scorsa settimana l’ultima aggressione, in ordine temporale, ai danni di due giovanissimi gay che sono stati aggrediti a bottigliate fuori da un locale milanese e hanno riportato lesioni di un certo rilievo. A settembre del 2016 era già accaduto a Roma e qualche mese prima a Torino, solo per citare le città italiane più grandi.
C’è poi la discriminazione che non passa per la violenza fisica ma per quella verbale e psicologica. Insulti, gesti di scherno o un linguaggio irriverente e offensivo che fin dalla più tenera età contribuisce a creare una barriera insormontabile tra chi si sente “normale” e chi è considerato “diverso”. E ce n’è una ancora più preoccupante, quella che passa per mano dello Stato, che dovrebbe proteggere, integrare, sostenere e punire gli abusi, e che invece in alcuni casi non fa altro che incentivare l’odio, il razzismo, l’emarginazione.
E’ il recentissimo caso della Russia di Putin, dove nei giorni scorsi il Parlamento ha approvato l’estensione a tutto il territorio nazionale di una legge già in vigore a livello regionale a San Pietroburgo, Kaliningrad ed altre grandi città russe: il divieto di propaganda omosessuale.
Il provvedimento prevede che d’ora in poi sarà reato parlare in pubblico dei diritti dei cittadini omosessuali. La vaghezza del termine propaganda, inoltre, lascerà ai giudici la piena discrezionalità in merito alle diverse manifestazioni da punire (con multe fino ai 15 mila euro). A rischio, dunque, eventi, feste, manifestazioni, incontri di sensibilizzazione ma anche espressioni artistiche. Ciò che è certo è che a distanza di 24 anni dall’abolizione dell’articolo 121, imposto da Stalin nel 1934 e abolito solamente nel 1993, che prevedeva cinque anni di carcere per il reato di omosessualità, è stata nuovamente introdotta una gravissima forma di limitazione dei diritti umani di gay e lesbiche. E il pugno di ferro è iniziato subito, con l’arresto di una trentina di manifestanti che alla notizia della nuova legge si sono radunati davanti al Parlamento per manifestare a “colpi” di baci tra persone dello stesso sesso.
La paura ora è che questo sia solo l’ulteriore passo di un percorso tutto in salita per gli omosessuali russi. Cos’altro dovremo aspettarci? Si chiedono in molti, non senza preoccupazione.
“Coraggio, il meglio è passato”, diceva il mio corregionale Ennio Flaiano. Mi auguro che per la comunità Lgbt non sia davvero così.