L’altro ieri abbiamo letto e ascoltato i resoconti della strage di Gaziantep in Turchia, attentato in un banchetto di nozze con 54 morti, di cui 29 bambini e adolescenti. Le autorità hanno dichiarato che l’autore potrebbe essere un adolescente (12/14 anni) che si è fatto saltare in aria o che è stato fatto esplodere con un telecomando. Ieri in Iraq, precisamente a Kirkur capitale del Kurdistan irakeno, le forze dell’ordine hanno fermato un dodicenne che sotto la maglia di Messi portava una cintura esplosiva.
Niente di nuovo, potremmo dire, abbiamo già letto dei campi di addestramento dell’Isis in cui i bambini vengono preparati a diventare, all’occorrenza, “martiri” o boia. Abbiamo già visto molti film americani in cui “innocenti bambini” sono trasformati in imprevedibili e implacabili strumenti di morte. Ma, per fortuna, scorre un brivido lungo la schiena ogni qualvolta apprendiamo queste notizie: non siamo ancora assuefatti e rassegnati a queste realtà.
Ma la strage di Gaziantep, se fosse confermata l’età dell’attentatore, evidenzia un ulteriore paradosso: bambini che uccidono bambini. Non siamo in un videogioco di cattivo gusto ma nella vita quotidiana di una qualsiasi comunità locale.
Personalmente rifuggo la retorica sentimentalista, peraltro molto italiana, che idealizza i bambini e ne fa oggetto di falsa venerazione.
Tuttavia è impossibile non fermarsi a riflettere sul loro uso generalizzato nelle diverse guerre combattute in giro per il mondo. Certo, forse è stato sempre così, ma non credo in queste dimensioni e in modo così esteso. La guerra è sempre distruzione cieca e irrazionale ma, almeno nelle intenzioni delle parti in causa, dovrebbe avere un fine e una fine, dovrebbe pensare, in qualche misura, al futuro. Quando però i bambini iniziano a essere strumento di morte per altri bambini allora la dimensione del futuro esce completamente dall’orizzonte, il cerchio si chiude su sé stesso e ogni speranza sembra svanire.
Per avere ulteriore conferma della dimensione globale del fenomeno riproponiamo un comunicato stampa dell’Unicef pubblicato il 12 aprile scorso.
Boko Haram, escalation di attentati suicidi con bambini in Nigeria, Camerun e Ciad
12 aprile 2016 – Secondo i nuovi dati lanciati oggi dall’UNICEF, il numero di bambini coinvolti in attacchi suicidi in Nigeria, Camerun, Ciad e Niger è drasticamente aumentato nell’ultimo anno, passando dai 4 casi del 2014 ai 44 del 2015. Oltre il 75% delle vittime sono ragazze.
A due anni dal rapimento di oltre 200 ragazze a Chibok, il rapporto“Beyond Chibok” mostra trend allarmanti in 4 Paesi colpiti dalle azioni terroristiche del gruppo Boko Haram.
Tra gennaio 2014 e febbraio 2016, il più alto numero di attacchi suicidi che hanno coinvolto bambini è stato registrato in Camerun (21), seguito da Nigeria (17) e Ciad (2).
Negli ultimi due anni, circa un quinto delle persone che si sono fatte esplodere erano minorenni,
Nel 2015 i bambini sono stati utilizzati nel 50% degli attacchi kamikaze in Camerun, in 1 attentato su 8 avvenuto in Ciad e in 1 su 7 in Nigeria.
L’anno scorso gli attentati suicidi con esplosivo di Boko Haram si sono espansi per la prima volta al di fuori dei confini nigeriani. La frequenza degli attentati è aumentata da 32 nel 2014 a 151 lo scorso anno. Nel 2015, 89 di questi attacchi sono avvenuti in Nigeria, 39 in Camerun, 16 in Ciad e 7 in Niger.
«Deve essere chiaro che questi bambini sono vittime, non esecutori consapevoli» sottolinea Manuel Fontaine, direttore UNICEF per l’Africa Centrale e Occidentale. «Ingannare i bambini e costringerli ad atti suicidi è una delle forme più orribili di violenze perpetrate in Nigeria e nei paesi vicini.»
“Beyond Chibok” è un rapporto che analizza l’impatto che il conflitto ha sui bambini nei 4 paesi colpiti da Boko Haram:
• circa 1,3 milioni di bambini sono stati sfollati
• circa 1.800 scuole sono chiuse – perché danneggiate, saccheggiate, bruciate o utilizzate come rifugi per gli sfollati
• Oltre 5.000 bambini sono rimasti orfani o separati dai loro genitori.
L’utilizzo deliberato di bambini in attentati con esplosivo ha creato un’atmosfera di paura e diffidenzache sta avendo conseguenze devastanti per le ragazze sopravvissute alla prigionia e alla violenza sessuale di Boko Haram nel Nord-est della Nigeria.
Chi è evaso o è stato rilasciato da un gruppo armato viene spesso visto come una potenziale minacciaper la sicurezza, come ha evidenziato la recente indagine “Bad Blood” condotta da UNICEF e dall’ONG International Alert.
Anche i bambini nati a seguito di una violenza sessuale subita dai miliziani subiscono stigma e discriminazione nei villaggi, nelle comunità ospitanti e nei campi per sfollati.
«Gli attacchi suicidi con impiego di bambini stanno diventando sempre più frequenti: molte comunità cominciano a vedere i bambini come una minaccia per la propria sicurezza» afferma Fontaine. «La diffidenza nei confronti dei bambini può avere conseguenze tragiche. Come può una comunità ricostruirsi se rifiuta i propri fratelli, le proprie sorelle, figli e madri?»
L’UNICEF aiuta le comunità e le famiglie in Nigeria, Ciad, Camerun e Niger a combattere lo stigma rivolto a chi è sopravvissuto alle violenze e fornire un ambiente sicuro a chi era stato rapito.
Insieme alle organizzazioni partner, l’UNICEF garantisce a questi bambini acqua potabile, servizi igienici, cure mediche, istruzione (anche attraverso la creazione di spazi temporanei per l’apprendimento), sostegno psicologico e distribuzione di alimenti terapeutici per quelli affetti da malnutrizione.
Purtroppo gli interventi scontano ancora un grave problema di finanziamenti. Per quest’anno, l’UNICEF ha ricevuto solo l’11% dei 97 milioni di dollari necessari per la risposta a questa crisi umanitaria.
L’UNICEF chiede alla comunità internazionale dei donatori un maggiore impegno per aiutare i bambini e le donne colpiti dal confitto in Nigeria, Niger, Camerun e Ciad.