Nella pagina degli approfondimenti dedicata al partenariato pubblico-privato abbiamo avuto modo di parlare, più d’una volta, sia di cooperative di comunità sia di sviluppo locale, ma non c’è ancora stata occasione di tenere insieme i due concetti. L’opportunità oggi ci è offerta dalla presentazione di un agile volumetto pubblicato da Legambiente e Legacoop nell’ambito di un protocollo d’intesa siglato tra le due organizzazioni ormai 5 anni fa. Si tratta di uno studio su beni comuni e cooperative di comunità come strumenti di sviluppo nei territori attraverso la valorizzazione dei beni pubblici.
Il titolo del testo è “Beni pubblici, valori comuni. Dal patrimonio ferroviario ai beni demaniali: le opportunità per lo sviluppo locale. Gli strumenti e le buone pratiche”. Vengono presi in esame alcuni ambiti in cui si è già avviata una sperimentazione di forme collaborative in grado di riportare alla fruizione della comunità e alla produzione di reddito parti di patrimonio pubblico altrimenti destinate all’abbandono e al degrado. È il caso di tratti di ferrovie dismesse, di stazioni non più in uso, di case cantoniere ormai vuote, di beni confiscati alle mafie. Nel processo di nuova valorizzazione di questi beni si sono mobilitate competenze e risorse che hanno creato nuovo valore per i territori di riferimento. Ancora una volta beni pubblici e investimenti privati per lo sviluppo locale.
Proponiamo ai lettori di Felicità Pubblica le prefazioni di Mauro Lusetti – presidente nazionale Legacoop e di Rossella Muroni – presidente nazionale Legambiente e l’introduzione al volume. Nella prima si potranno trovare le ragioni che hanno riportato in evidenza le cooperative di comunità, una formula a lungo rimasta ai margini del dibattito e della pratica del movimento cooperativo; nella seconda viene esposta l’originale interpretazione dell’ambientalismo fornita da Legambiente, in grado “di saldare la tutela della natura in cui viviamo con lo sviluppo sostenibile e il diritto a un ambiente pulito con quello al lavoro”. Infine nell’introduzione si chiarisce la ragion d’essere dell’intero studio: mettere a disposizione della cooperazione e del Terzo settore alcuni esempi in cui la crescente disponibilità di beni da riutilizzare ha fornito nuove opportunità di lavoro collettivo e di sviluppo locale.
Per la consultazione integrale del testo andare al link.
Prefazioni
I cambiamenti che stanno investendo il nostro paese, risultato in parte della crisi economica in parte dall’evoluzione di paradigmi socio-economici, hanno dato nuova linfa al protagonismo dei cittadini, che, stanchi di attendere che qualcun altro risponda ai loro bisogni o salvaguardi il patrimonio collettivo, hanno deciso di mettersi in gioco.
In questo cambiamento di paradigma le cooperative di comunità si inseriscono a pieno titolo, rappresentando un mutamento nel modo di porsi dei cittadini nei confronti dei beni pubblici; le cooperative di comunità si riappropriano di quei beni troppo spesso considerati “terra di nessuno” e lasciati all’incuria e all’abbandono, restituendoli alla collettività creando valore per la comunità tutta.
Spesso si dice che le crisi portino con sé grandi opportunità, sicuramente questa crisi ci ha riconsegnato una cittadinanza attiva, che vuole partecipare e decidere. Le cooperative di comunità sono uno strumento per questi cittadini, uno strumento di partecipazione in cui esercitare la democrazia nel fare impresa, quindi nel promuovere sviluppo secondo una logica di coesione sociale e territoriale, superando l’individualismo imperante nei decenni precedenti e recuperando così una logica nuova di comunità, non più chiusa sui campanilismi locali, ma aperta al confronto, allo scambio e alla condivisione.
Le cooperative di comunità sono imprese in cui i cittadini si auto-organizzano, diventando allo stesso tempo produttori e fruitori di beni e servizi, sono un modello di impresa sostenibile, perché nasce dalla comunità e non ha altro scopo se non quello di migliorare la qualità della vita delle persone che la compongono, attraverso la produzione/fruizione di beni e servizi pensati da chi quella comunità la vive quotidianamente.
Oggi Legacoop e Legambiente inaugurano il primo di una serie di approfondimenti tematici. In questo primo lavoro si tocca il tema dei beni pubblici e dei beni comuni: spazi che richiedono non solo salvaguardia e manutenzione, ma che rappresentano una grande opportunità di sviluppo locale, una grande occasione per far crescere insieme il nostro paese, così ricco di un patrimonio fino ad oggi poco tutelato e ancor meno valorizzato.
Mauro Lusetti – presidente nazionale Legacoop
Quando nel 2011 Legambiente ha sottoscritto il Protocollo d’intesa con Legacoop dedicato alla promozione e alla diffusione delle cooperative di comunità, eravamo ben consapevoli delle difficoltà che avrebbe incontrato un’idea nuova e sperimentale, almeno in Italia, di economia costruita davvero dal basso, secondo i princìpi, che ci sono particolarmente cari, della sostenibilità ambientale e dell’inclusione sociale. Ma non ci siamo mai lasciati frenare, nelle nostre scelte, dal rischio di dover attendere del tempo prima di intravedere i risultati possibili del nostro impegno. Solo per citare un esempio significativo e abbastanza recente, ci siamo dedicati per ben 21 anni, con testardaggine e passione, al raggiungimento di un obiettivo che ritenevamo strategico per il paese, come l’introduzione degli ecoreati nel codice penale. E nel maggio del 2015 l’abbiamo finalmente raggiunto. In un ambito e con un rilievo sicuramente diversi, anche se non troppo distanti a volerci riflettere con attenzione, abbiamo creduto da subito nel potenziale e nell’utilità, per l’economia, la qualità ambientale e la coesione sociale del nostro paese, di uno strumento come le cooperative di comunità. A cominciare dalle aree interne, ma non solo. Due sostantivi, cooperativa e comunità, che stanno bene insieme e che soprattutto si sposano perfettamente con la nostra idea di un ambientalismo capace di saldare la tutela della natura in cui viviamo con lo sviluppo sostenibile e il diritto a un ambiente pulito con quello al lavoro.
Troppo a lungo, e purtroppo ancora oggi, vengono alimentate contrapposizioni che in realtà esistono soltanto nella logica di chi ha un unico interesse da perseguire: massimizzare i propri profitti. Anche da questo punto di vista, in fondo, Legambiente e Legacoop sono realtà simili, pur nella loro diversità: il nostro “utile” è sempre condiviso. Come i valori che alimentano i progetti e le opportunità di riutilizzo di beni pubblici raccontati in questo Quaderno, il primo di una collana che realizzeremo insieme.
Rossella Muroni – presidente nazionale Legambiente
Introduzione
Può un bene pubblico, nelle sue varie declinazioni possibili, diventare l’asset di un nuovo modello di sviluppo? A quali condizioni e con quali obiettivi? Sono alcuni degli interrogativi a cui cercano di rispondere, senza alcuna presunzione di esaustività e completezza, i contributi, le schede e gli approfondimenti raccolti in questo Quaderno, realizzato da Legacoop e Legambiente nell’ambito del Protocollo d’intesa sulle cooperative di comunità. Si tratta, almeno nelle intenzioni, di uno strumento di servizio per tutte quelle realtà del mondo della cooperazione e del terzo settore che sono sempre più chiamate a misurarsi con un fattore di crisi e un’opportunità: da un lato i tagli, massicci, alla spesa sociale e più in generale alla spesa pubblica; dall’altro la crescente disponibilità di beni da riutilizzare, messi a disposizione a titolo gratuito o comunque a condizioni di vantaggio da parte di amministrazioni e aziende pubbliche.
Linee ferroviarie dismesse o sospese, stazioni impresenziate, case cantoniere, ma anche immobili e terreni, ex teatri e aree verdi, in generale patrimoni con un destino quasi sempre scontato di degrado e abbandono, possono essere trasformati nella materia prima indispensabile per progettare, dal basso, attività di riuso e di rigenerazione. Gli esempi virtuosi, fortunatamente, non mancano, come si racconta in questo Quaderno, ma restano molte criticità, di carattere legislativo, in materia di risorse e finanziamenti disponibili, nonché di qualità e sostenibilità economica dei progetti.
Alle opportunità esistenti e ai problemi da affrontare e risolvere fa da sfondo l’idea di sviluppare una nuova modalità d’impresa, capace di creare lavoro, servizi e, come si accenna nel titolo di questa pubblicazione, valori condivisi: è quell’idea di cooperativa di comunità, ancora da definire nella sua forma specifica, che si fa strada già oggi nella pratica della progettazione partecipata e della “sussidiarietà circolare” tra soggetti diversi, nelle sinergie tra volontariato e cooperazione, imprese socialmente responsabili e amministrazioni locali. In sintesi, in quell’economia civile che può essere un orizzonte desiderabile per uscire, insieme, dalla crisi.