L’arte, qualsiasi arte, è bella da vedere, stimola suggestioni, fa sognare ed emozionare ma al contempo, alle volte, è un pugno in pieno petto, una scossa di adrenalina, un nodo in gola cui seguirà una riflessione.
È il caso di un film che ha partecipato al Festival del Cinema di Venezia e che martedì ha vinto il Capri Award. Si chiama “Beasts of No Nation” (Bestie senza una patria) scritto e diretto da Cary Fukunaga e basato sull’omonimo romanzo.
Siamo in un’Africa occidentale dilaniata dalla guerra per colpa della quale il piccolo Agu, protagonista della storia, perde tutta la sua famiglia. Lo sfortunato incontro con i ribelli della NDF (Native Defence Force) lo trasformerà in un bambino soldato.
Ed è proprio qui che comincia la storia, è di questo che il film vuole parlarci, di una realtà così dura da accettare che spesso si preferisce voltare la testa. Cary Fukunga è un uomo che preferisce che i capi stiano ben dritti, con lo sguardo proiettato verso lo schermo, dentro la sua storia che è la storia vera di tanti bambini dall’infanzia negata.
Esecuzioni, fucilazioni, le violenze più sfrenate: i bambini soldato vengono educati a questo, vivono per questo e – ahimè – muoiono per questo, senza aver mai saputo cosa significasse giocare con una pistola giocattolo, correre per il gusto di farlo e non per fuggire da un pericolo imminente.
Dell’infanzia non sanno nulla o, se per caso assistiti da una buona stella, ne hanno avuto una piccola dose, misurata, difficile a ricordarsi, come appartenesse a qualcun altro; non impossibile ma semplicemente perché quasi niente è impossibile, e a basarci sul film di Fukanga il piccolo Agu compie una specie di miracolo, in un’alternanza di scene brutali e per stomaci duri e parole rivolte direttamente a Dio.
Aldilà della proiezione cinematografica, a cui ciascuno riterrà opportuno se assistere o no, torna con prepotenza un tema che, fra i tanti, puntualmente rischia di essere risucchiato dalla dimenticanza.
I bambini soldato esistono, precisamente in Asia e, più assiduamente, in Africa.
Si stima che l’età media del loro arruolamento sia tra i 15 e i 18 anni ma frequenti sono i casi in cui è possibile vedere un bambino decenne con un fucile in mano.
Proprio l’alleggerimento delle armi automatiche ha favorito l’impiego di bambini per fini militari.
Fanno praticamente tutto: soldati veri e propri, portantini di munizioni, la loro piccola statura si presta per operazioni particolarmente pericolose, come appostamenti, agguati, sentinelle.
Se si crede che le bambine in questa brutta storia non abbiano un ruolo, si sbaglia. In Etiopia è la norma.
Bambini e bambine vengono spesso arruolati anche per fini sessuali.
Dunque il film di Cary Fukunaga, dedicato ai bambini soldato, potrà piacere o meno, suscitare tutte le polemiche del caso per le scene cruente o per qualsiasi altra ragione, ma se, come ragionevolmente si spera, servirà a far voltare meno teste dall’altra parte, dare nuova linfa alle associazioni e alle organizzazioni umanitarie, Beasts of No Nation avrà raggiunto qualcosa di più che premi e attestati di stima.