Oggi è la Giornata mondiale della biodiversità, un’occasione per ricordare che difendere questa naturale risorsa significa salvare il nostro Pianeta. I numeri attuali ci dicono che le cose vanno molto male: l’abbondanza di specie è scesa del 40% tra il 1970 e il 2000, gli uccelli selvatici sono ad alto rischio di estinzione perché se un decennio fa erano in 40 le specie ad essere minacciate, oggi sono 68.
Non tutelare adeguatamente la biodiversità ha ripercussioni gravi anche sulla nostra salute e sul cibo. In Italia, nell’ultimo secolo, il dato è piuttosto scioccante perché, di fatto, sono scomparse 3 varietà di frutta su 4 e stiamo parlando del Paese più ricco quanto a biodiversità.
Per quanto l’Onu si sbracci a celebrare sciorinando dati, mettendo in guardia contro i pericoli che stiamo correndo, continuiamo a perdere interi habitat, i consumi restano non sostenibili, non c’è un reale impegno contro i cambiamenti climatici. L’agente patologico di tale stato è l’essere umano, incapace di convivere con il proprio ambiente in maniera corretta, attaccando se stesso e minando le risorse di cibo, acqua, medicamenti, energia.
Si consuma troppo e male, al punto che la metà della Terra è stata trasformata in suolo per le nostre attività, mettendo in guai seri il 70% dei poveri che vivono in aree rurali e la cui sopravvivenza è strettamente connessa con la biodiversità.
L’Italia è uno dei Paesi in Europa che può vantare la più vasta biodiversità, sia terrestre che marina. I recenti dati del ministero dell’Ambiente da un lato confermano tale ricchezza ma dall’altro ci dicono che di circa 1.400 specie vegetali valutate, 248 risultano minacciate e 32 sono probabilmente estinte, mentre delle 672 specie di vertebrati valutate, quelle minacciate di estinzione sono il 28%.
A rincarare la dose delle brutte notizie c’è Coldiretti. Nel nostro Paese nello scorso secolo potevamo contare su 8.000 varietà di frutta, mentre oggi solo 2.000 di cui 1.500 rischiano di scomparire anche a causa dei sistemi di distribuzioni commerciali che preferiscono le grandi quantità alla varietà.
«L’omologazione e la standardizzazione delle produzioni a livello internazionale – spiega Coldiretti – mettono a rischio anche gli antichi semi della tradizione italiana sapientemente custoditi per anni da generazioni di agricoltori».
Sembra mancare, in primo luogo, la capacità di gestione delle risorse insieme a una conciliazione delle esigenze che riguardano le attività produttive.