Ieri, 21 giugno, è stata la Giornata mondiale della SLA (Sclerosi Laterale miotrofica) promossa dall’International Alliance of ALS/MND Associations, l’ente internazionale nato nel 1992 allo scopo di coordinare tutte le altre organizzazioni mondiali, inclusa l’Aisla (l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica).
Nel mondo sono 400.000 le persone colpite da questa malattia neurodegenerativa, mentre in Italia sono 6.000. Purtroppo si tratta di numeri che, anziché ridursi, nel tempo sono saliti e si stima un’ulteriore crescita nei prossimi anni, stando all’ultimo studio condotto dal Centro SLA delle Molinette di Torino e l’NIH di Bethesda.
Serve, comprensibilmente, un impegno costante e proficuo da parte di tutti, non solo della comunità scientifica, per far sì che una malattia tanto invalidante smetta di mietere vittime a profusione. La campagna di quest’anno – “Brindiamo a un mondo senza la SLA” – vuole porre l’accento proprio su questo aspetto, incoraggiare la ricerca e promuovere la sensibilizzazione nei confronti della società civile. Volontà ribadita attraverso l’hashtag #ALSMNDWithoutBorders.
Brevemente, ricordiamo quali sono i sintomi di una malattia che certamente è piuttosto subdola e non esordisce con un quadro sintomatologico ben determinato, che dunque può essere pressoché identico a quello di un’altra malattia. In modo particolare, i sintomi più frequenti sono: il dimagrimento muscolare, difficoltà nella pronuncia di alcune parole, contrazioni muscolari associate a crampi che, con il passare del tempo, diventano sempre più frequenti, voce nasale e un formicolio diffuso.
Chiaramente, la ridotta forza muscolare invia messaggi piuttosto chiari. Gli oggetti cadono frequentemente dalle mani, muoversi diventa sempre più complicato, i piccoli gesti quotidiani assumono, gradualmente, le proporzioni di difficoltà insuperabili. Finché, gradualmente, si arriva a uno stato di immobilità.
Purtroppo, l’ultimo passaggio della SLA è la morte. Tuttavia è insensato arrendersi, dal momento che la ricerca scientifica procede e lo sta facendo molto bene, a quanto sembra. Proprio recentemente, infatti, direttamente dal Campus Bio-Medico di Roma (nato sui terreni donati da Alberto Sordi) giungono i risultati di una ricerca assai promettente, si tratta di una stimolazione cerebrale per rallentare il decorso della SLA. C’è da dire che indagini di questo tipo, anche nel più recente passato, sono già state effettuate ma con risultati assai modesti soprattutto perché focalizzati su un semplice intervento sull’area esterna dei tessuti cerebrali.
L’ultima, invece, è andata più a fondo e si è basata su una stimolazione intercranica, con l’inserimento di due elettrodi di 4 cm all’interno del cervello e, più precisamente, nelle aree deputate al controllo del movimento.
Se è vero che finora questo tipo di cura sperimentale ha contemplato un solo paziente, medico 55enne che si è sottoposto alle cure a partire dal 2006 – è altrettanto vero che sono trascorsi ben 11 anni dall’impianto di elettrodi e il paziente, già malato da 2 anni, è vivo, per quanto abbia bisogno dell’ausilio di un ventilatore.
Il dottor Vincenzo Di Lazzaro, a capo del reparto di Neurologia del Campus bio-medico ha così commentato il caso: «Una sopravvivenza alquanto inusuale, sembra essere questa la via per rallentare il decorso della patologia. Non si nega il fatto che sia necessaria una sperimentazione su un numero maggiormente elevato di pazienti, per provare in modo scientifico la validità della ricerca». Poi conclude: «Certo non possiamo parlare di cura. La SLA è incurabile. Possiamo però parlare di rallentamento della patologia, che porta con sé un’aspettativa di vita maggiore per chi soffre di sclerosi multipla».