A proposito di “Carta per la buona accoglienza delle persone migranti” (leggi l’articolo), ecco tre esperienze autenticamente innovative nell’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti protezione internazionale: la cooperativa sociale Cadore che si occupa di manutenzione ambientale e “turismo di comunità” nell’ambito del circuito Le Mat; la cooperativa sociale K-pax di Breno in Val Camonica, che è riuscita a realizzare un sistema di accoglienza diffusa; la cooperativa sociale di tipo B 11Eleven di Catania che ha promosso un ristorante innovativo: 11Eleven Scenario Pubblico (a proposito, 11Eleven è l’undicesimo comandamento: non sprecare).
Il merito di averci fatto conoscere queste realtà è di Giulia Galera che il 13 aprile ha pubblicato un’interessante riflessione sul portale di www.euricse.ue dal titolo Sfida migratoria e imprese sociali tra ambiguità e innovazione. Provo a sintetizzare un lungo e profondo ragionamento in poche battute. Oggi le Prefetture mettono a gara modelli di accoglienza fondati non sulla qualità dei progetti di integrazione ma solo sul costo più basso dei servizi di vitto e alloggio. Il risultato inevitabile è che prevalgono operatori improvvisati o “speculativi”, più interessati ad accrescere il fatturato dell’impresa che a fornire risposte all’altezza delle esigenze dei rifugiati.
A una impostazione miope, quindi, corrisponde un’offerta scadente, talora ambigua, che non soddisfa i bisogni, accresce le resistenze e la diffidenza delle comunità locali, delegittima l’intero sistema della cooperazione sociale. Abbiamo già avuto modo di trattare la questione in più occasioni e da diversi punti di vista (Malaccoglienza, 6 marzo 2016; Hotspot: luoghi di illegalità, 8 marzo 2016; Linee guida dell’Anac per il Terzo Settore, 9, 16 e 23 febbraio 2016).
Allo stesso tempo questo è il momento in cui si separa il grano dal loglio. Per fortuna, come sostiene Giulia Galera “molti gruppi spontanei di volontari hanno assunto conformazioni più formalizzate, sperimentando modelli di gestione territoriale inclusivi e partecipati. I modelli più innovativi si caratterizzano per la partecipazione di una pluralità di attori in rappresentanza delle diverse espressioni della società civile – associazioni, parrocchie, gruppi di volontari, cooperative sociali – e dell’ente locale, che congiuntamente si adoperano per individuare soluzioni non solo abitative ma capaci di elaborare anche percorsi d’integrazione in ambito educativo, sociale e lavorativo”.
Invitiamo tutti a leggere il testo integrale dell’articolo, da cui abbiamo tratto la parte conclusiva in cui vengono presentate le esperienze a cui ci siamo riferiti.
I percorsi verso l’autonomia: il ruolo dell’impresa sociale
Il percorso dei rifugiati e richiedenti protezione internazionale verso il raggiungimento dell’autonomia presuppone che essi s’inseriscano nel mondo del lavoro. Molte cooperative sociali si sono attrezzate a questo scopo attivando percorsi di formazione professionale e in alcuni casi anche iniziative imprenditoriali in cui i migranti hanno trovato occupazione.
Un esempio virtuoso è offerto dalla cooperativa sociale Cadore che, occupandosi di manutenzione ambientale e “turismo di comunità” nell’ambito del circuito Le Mat, da anni si adopera per inventare una nuova economia in un territorio storicamente marginale e soggetto a un processo di deindustrializzazione con effetti drammatici sull’occupazione locale. In risposta all’arrivo di richiedenti protezione internazionale sul territorio bellunese, la cooperativa è passata dall’accoglienza di “viaggiatori” a quella di rifugiati, sperimentando un progetto di ospitalità diffusa che pone particolare attenzione alla formazione e all’inclusione sociale dei propri ospiti. Nonostante non disponga di molti mezzi, grazie alla sua capacità di fare rete con la Caritas locale, singoli volontari e il centro scolastico, la cooperativa ha impostato l’attività di accoglienza nell’ottica di offrire alle persone ospitate alcune prospettive. A questo scopo, la cooperativa si attiva per facilitare il loro inserimento nel tessuto locale ed elaborare percorsi volti a “creare lavoro” attraverso progetti di autoimprenditorialità anche in forma associata. La cooperativa ha attualmente in carico 35 richiedenti protezione internazionale nelle comunità in cui opera (Pieve, Perarolo, Domegge e Vallesina) di cui il nucleo più folto è ospitato nell’ex Convento del Santuario del Cristo, messo a disposizione della cooperativa dalla diocesi dove, nonostante il numero tutt’altro che esiguo di ospiti, non si è mai verificato alcun incidente.
Anche la cooperativa sociale K-pax di Breno in Val Camonica, nata nel 2008 da una sfida di un gruppo di operatori con esperienze di volontariato e ospiti di prima e seconda accoglienza, è riuscita nell’intento di realizzare un sistema di accoglienza diffusa in un contesto politicamente poco favorevole, qual è quello camuno. Come nel caso del Cadore, il sistema operativo proposto da K-pax si contrappone a quello dominante, volto a concentrare molte persone in un solo luogo, e propone un’integrazione graduale al di fuori di un contesto emergenziale attraverso la diffusione delle residenze dei rifugiati in appartamenti che accolgono quattro o cinque persone. La cooperativa, che da due anni opera anche nell’ambito del circuito SPRAR di Brescia applicandovi la logica della micro-accoglienza nei quartieri, attualmente ospita circa 124 persone. Attraverso questo modello i nuovi ospiti riescono a relazionarsi con maggiore facilità con gli abitanti locali, che a loro volta si sentono meno minacciati. La cooperativa K-pax non si è fermata però alla sola accoglienza. Nel 2013 ha rilevato la gestione dell’Hotel Giardino, l’unico albergo in funzione a Breno, che si trovava in stato di decadenza. Il processo di riqualificazione e valorizzazione della struttura alberghiera ha consentito di garantire un’occupazione stabile a quattro migranti precedentemente accolti dalla cooperativa, riconosciuti come titolari di diversi gradi di protezione. Aspetto da non trascurare è che due di loro appartengono alla categoria di estrema vulnerabilità psicologica o psichiatrica. L’impatto dell’hotel sull’economia di tutto il territorio camuno è altrettanto significativo grazie all’aumento di presenze turistiche che garantisce e alle realtà locali che valorizza attraverso la promozione di attività artigianali e artistiche. Grazie alla particolare attenzione posta all’impatto ecologico-ambientale attraverso la ricca offerta di prodotti biologici a km zero, l’hotel ha altresì ottenuto la certificazione Certiquality rilasciata dalla piattaforma EcoWorldHotel.
E’ utile richiamare un altro progetto imprenditoriale, in cui la cucina è la chiave per l’integrazione sociale e interculturale, che ha dato vita a un ristorante innovativo: 11Eleven Scenario Pubblico. A gestire il ristorante è una cooperativa sociale di tipo B volta a promuovere integrazione lavorativa e sociale di migranti e soggetti svantaggiati. L’impresa poggia sull’idea di creare un ristorante del non spreco (di qui 11: il comandamento dei nostri tempi, non sprecare) attraverso l’integrazione sociale e l’innovazione culinaria tra sapori siciliani e sapori di altre culture. Il motto è: “non sprecare-cibo, talenti, opportunità, vite”. La cooperativa sociale è stata fondata da una volontaria con alle spalle un percorso ultradecennale come funzionaria delle Nazioni Unite e da due lavoratori, di cui uno dotato di know how specifico nel settore della ristorazione, ed è contraddistinta da una base sociale eterogenea, che ha facilitato l’attivazione di una molteplicità di risorse umane e finanziare. Lo start up della cooperativa è stato auto-finanziato grazie agli apporti dei soci che da tre sono passati a undici nel giro di dodici mesi. La cooperativa sociale si distingue per la sua capacità di fare rete con numerose organizzazioni del Terzo settore che operano nel settore dell’accoglienza diffusa, dell’assistenza a soggetti deboli e della cooperazione allo sviluppo, a livello sia locale che nazionale e internazionale, tra cui Oxfam che ha recentemente finanziato un progetto pilota di Scuola – Laboratorio di cucina interculturale etnica e fusion, finalizzato a formare e avviare al lavoro giovani migranti. Al suo interno, oltre al coordinatore, attraverso programmi di tirocinio e formazione, lavorano stabilmente sei ragazzi, di cui uno inserito quando era ancora minorenne come titolare di protezione umanitaria, e sono coinvolti tre volontari. La cooperativa pone particolare attenzione all’accompagnamento e alla formazione di giovani, in particolare migranti, con bassi livelli di scolarizzazione, sperimentando percorsi formativi on-the-job.
Conclusioni
Da un’osservazione preliminare e dall’analisi dei tre casi studio selezionati emerge una forte divaricazione tra le imprese sociali autentiche, interessate, come prevede la legge istitutiva della cooperazione sociale a facilitare l’inclusione sociale e lavorativa di rifugiati e richiedenti protezione internazionale e quelle nate esclusivamente per sfruttare appieno il business dell’accoglienza. Le prime hanno forti legami con la comunità, sono contraddistinte da una spiccata propensione all’imprenditorialità che vede coinvolti gli stessi beneficiari nel loro percorso verso l’autonomia, e sono molto innovative. Questo grazie agli investimenti sostenuti in formazione e supervisione dei propri operatori, che garantiscono una maggiore qualità dei servizi, e alla co-progettazione di percorsi d’inclusione insieme alle comunità ospitanti. Le seconde non sono radicate a livello comunitario, hanno un impatto discutibile sul territorio e, mandando spesso i propri operatori sul campo allo sbaraglio, offrono servizi di scarsa qualità. Ciò nonostante, queste ultime continuano a essere preferite dalle prefetture e a vincere le gare, ottenendo generosi guadagni grazie al numero significativo di persone ospitate. Cambiare direzione è necessario e possibile e a questo proposito appare chiaro il ruolo della pubblica amministrazione, che dovrebbe mettere in discussione le proprie priorità e le proprie procedure. Ciò potrebbe accadere a partire dalle modalità di coinvolgimento degli enti gestori, non necessariamente eliminando i confronti competitivi, ma modificando le regole che sovraintendono la decisione. Un buon punto di partenza sarebbe quello, in sede di valutazione delle offerte, di tenere conto dell’esperienza maturata nella gestione dell’accoglienza e dell’inserimento lavorativo di persone in difficoltà e della maggiore capacità d’integrazione che le organizzazioni sono in grado di offrire attraverso l’impiego di personale volontario.