Ottime notizie quelle che arrivano dal 13° Rapporto Annuale Federculture: gli italiani hanno ricominciato a spendere in cultura. Il documento – contenuto nel volume “Impresa Cultura. Gestione, Innovazione, Sostenibilità”, edito da Gangemi e presentato nei giorni scorsi a Roma al Palazzo delle Esposizioni – evidenzia come il 2016 sia stato un anno davvero positivo per la fruizione di cultura da parte degli italiani, con una spesa che è aumentata nell’ultimo anno dell’1,7%, passando da 67,3 a 68,4 miliardi di euro e tornando, dunque, ai livelli del 2012. Seppure ancora lontani dai 72,1 miliardi di euro raggiunti tra il 2010 e il 2011, si tratta in ogni caso di un segnale davvero incoraggiante.
«Grazie a un lavoro di squadra siamo riusciti a spiegare che investire in cultura non è solo giusto, non è solo un adempimento a un dovere costituzionale», ha commentato il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, citando l’articolo 9 della Costituzione, «ma un modo di far crescer un’economia intelligente, sostenibile e adatta al nostro Paese. Anche se siamo arrivati a un punto positivo di condivisione, c’è ancora molto da fare, anche perché il nostro patrimonio richiede sempre più risorse».
In particolare, il Rapporto mette in luce una crescita dei consumi in materia di teatro, con un +4,3% sugli ingressi e +4% di spesa al botteghino. Stesso incremento che è stato registrato anche nelle visite ai musei e alle mostre, mentre ancora meglio sono andati i siti archeologici e i monumenti (+5,4%), i concerti (+7,7%) e il cinema (+5%).
Nota dolente, invece, per gli spettacoli di musica classica (-15%) e la lettura (-4%) che hanno registrato una flessione, rispettivamente, del 15 e 4%.
Ma chi sono gli italiani che spendono di più in cultura? Comprensibilmente, lo studio rivela che la partecipazione alle attività culturali è fortemente connessa con il livello di benessere delle famiglie, con il titolo di studio posseduto dalle persone e con le caratteristiche anagrafiche. Basti pensare che nella cosiddetta classe dirigente si ferma al 9% la percentuale di coloro che non usufruiscono di servizi culturali. Solito divario anche tra Nord e Sud del Paese con una spesa media mensile che al Settentrione si attestata sui 160 euro per scendere a 129 nel Centro, 90 nel Sud e appena 80 nelle Isole.
I dati sembrano parlare ancora più chiaro se si analizza il triennio 2013-2016, partendo quindi dall’anno in cui la crisi ha fatto crollare la spesa per i consumi culturali a 63.9 milioni di euro. Nello specifico, nel triennio in esame: per lo spettacolo si è registrato un aumento degli spettatori (+7%), un aumento nella spesa al botteghino (+13,3%) e nella spesa del pubblico (+15,4%); le visite a musei, mostre, siti archeologici e monumenti sono aumentate del 22%; la frequentazione del cinema è salita del 13%, mentre quella dei concerti di musica leggera del 19%. Anche in questo caso, tuttavia, la lettura ha subito una preoccupante contrazione del 4,1%.
Nonostante i dati decisamente ottimistici, l’Italia non se la passa poi così bene se paragonata con gli altri Paesi europei. Stando ai dati Eurostat, la quota di spesa destinata dalle famiglie italiane ai consumi culturali e ricreativi incide per il 6,7% sulla spesa totale, rispetto alla media europea dell’8,5%. Il nostro Paese si posiziona, secondo lo studio, appena sopra al Lussemburgo (6,3%), a Cipro (6%), all’Irlanda (6%) e al Portogallo, mentre la Grecia è il fanalino di coda con appena il 4,5% della spesa complessiva. Il Paese più virtuoso è la Svezia (11%), seguita dai Paesi Bassi (10,8%), dal Regno Unito (9,8%), dalla Germania (8,9%), dalla Francia (8,3%) e dalla Spagna (6,9%).