Il capro espiatorio è finalmente libero. Ma Ilaria e Miran sono morti di caldo?
Può una bella notizia suscitare allo stesso tempo sollievo, rabbia e amarezza? Sì, se ci sono una madre, una moglie e un figlio che da oltre 22 anni attendono verità e giustizia per i loro cari. Sì, se c’è un padre che è morto prima di arrivare a quella verità per cui ha lottato tanto. Sì, se c’è un giovane innocente che ha trascorso in carcere ben 17 anni. E sì, se due validissimi operatori della comunicazione sono stati ingiustamente strappati alle loro vite e sottratti al mondo del giornalismo.
Qualcuno di voi avrà già capito da queste poche righe che mi sto riferendo all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del cameraman Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio (Somalia) in quello che è stato definito da ogni persona di buon senso un vero e proprio agguato, ma che a distanza di un ventennio resta uno dei più grandi misteri italiani in termini di esecutori e mandanti. Già, perché è ormai assodato che il movente sia legato all’inchiesta che la giornalista della Rai stava portando avanti, con l’aiuto dell’operatore Hrovatin, per portare allo scoperto un traffico illecito di rifiuti tossici e armi tra il Corno d’Africa e l’Italia. Una verità scottante che doveva restare sepolta proprio come quei barili sotterrati lungo la Strada Garowe-Bosaso, costruita con i soldi della Cooperazione italiana.
Ed è chiaro, quindi, che così come la bocca di Ilaria e gli occhi di Miran dovevano essere chiusi il prima possibile, altrettanto velocemente il caso doveva essere chiuso con l’arresto di un esecutore materiale – uno qualsiasi – riducendo il tutto a un tentativo di rapina finito male per due italiani che dopotutto si trovavano in un Paese in guerra, e dunque in un luogo estremamente pericoloso. Inizia così la storia di Hashi Omar Hassan, il principale “capro espiatorio” di cui io abbia mai sentito parlare in vita mia – neanche Daniel Pennac è riuscito a fare di meglio con il suo Monsieur Malaussène – entrato in carcere 17 anni fa, quando aveva appena 23 anni, e assolto questa settimana, a 40 anni di età, dalla Corte d’appello di Perugia “per non aver commesso il fatto”. Accusato da Ahmed Ali Rage, detto Jelle, un somalo considerato “super testimone” ma di fatto irrintracciabile da anni, Hashi Omar Hassan era stato condannato a 26 anni di reclusione, poiché accusato di aver materialmente ucciso i due giornalisti. A credere da sempre alla sua innocenza però erano in molti, tra cui proprio la madre di Ilaria Alpi, Luciana (e suo marito Giorgio, scomparso da qualche anno), che non ha lasciato mai solo Hashi e che era al suo fianco anche nel momento in cui è stato assolto.
Ma se da un lato c’è il sollievo per il ritorno in libertà di un innocente – sebbene nessuno potrà mai restituire ad Hashi i 17 anni trascorsi in carcere – dall’altro c’è tutta la rabbia e l’amarezza di chi dopo 22 anni chiede ancora giustizia e verità per la sua unica figlia, morta a 33 anni mentre svolgeva il suo mestiere. “Sono contenta per lui ma sono anche molto amareggiata e depressa per mia figlia”, ha commentato Luciana Alpi a margine della sentenza. “Perché è come se lei e Miran Hrovatin fossero morti per il caldo che faceva a Mogadiscio”.
Come non indignarsi, dunque, davanti al dolore di Luciana Alpi, davanti all’ingiustizia compiuta nei confronti di Hashi, davanti all’omertà di chi ha insabbiato e depistato le indagini prima ancora che i corpi di Ilaria e Miran fossero sepolti e davanti al silenzio assordante di un omicidio senza colpevoli. E’ per questa ragione che io – che nel 2005 ho dedicato la mia testi di laurea a questo caso, e che da 11 anni ne seguo con interesse gli sviluppi – ora provo gli stessi sentimenti di Luciana. Sono contenta per Hashi ma amareggiata e arrabbiata per Ilaria e Miran, perché dopo 22 anni le speranze di avere verità e giustizia mi sembrano sempre più deboli.
C’è però un ulteriore elemento positivo in questa triste vicenda che a mio avviso vale la pena di essere segnalato. E’ la grande professionalità dimostrata dalla giornalista di Chi l’ha visto Chiara Cazzaniga che è riuscita a rintracciare e intervistare in Inghilterra il super testimone Gelle e a registrare la sua ammissione di aver dichiarato il falso e di aver accusato Hashi Omar Hassan poiché spinto a farlo. E’ da queste dichiarazioni che è partita la richiesta di revisione del processo, che ha poi portato all’assoluzione di Hashi Omar Hassan, che in aula ha abbracciato con gioia e commozione la giornalista della Rai che ha contribuito a renderlo un uomo libero semplicemente facendo bene il suo mestiere e andando alla ricerca della verità. Proprio come 22 anni aveva provato a fare Ilaria Alpi.
Ed è proprio da questo punto che ora si spera possano ripartire le indagini: Chi spinse Gelle ad accusare il suo connazionale, in cambio di cosa e, soprattutto, perché? Se ci sarà la volontà di trovare risposta a queste domande forse si potrà aggiungere un tassello molto utile a completare quell’intricato puzzle che ha portato alla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Io, da donna, da giornalista e da italiana, me lo auguro!