La Chiesa dedica al tema delle carceri un’attenzione particolare. Non è un caso, quindi, che nell’ambito del Giubileo della Misericordia sia stato promosso anche il Giubileo dei Carcerati. Domenica scorsa la celebrazione conclusiva di papa Francesco in San Pietro, alla presenza di oltre mille carcerati.
Abbiamo pensato di proporre ai nostri lettori il testo di larga parte dell’Omelia del Santo Padre. Sono parole che interrogano su questioni di fondo: il senso della pena per il condannato e per la comunità, le condizioni di vita nelle carceri, i processi di reinserimento, il diritto alla speranza nel futuro, il perdono.
Di certo papa Francesco affronta questi interrogativi alla luce della Fede e della Parola; ma la sua voce arriva anche ai non credenti, spezzando un muro di silenzio e di indifferenza. “Perché loro e non io? Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato”. In questi termini si comprende meglio che parlare dei “delitti e delle pene” vuol dire parlare di noi stessi, della nostra comunità, delle regole di convivenza, cose assai prossime alla vita di ciascuno.
Così torna in evidenza la dignità della persona carcerata e il suo diritto alla speranza, ad una prospettiva di riabilitazione e di reinserimento. Eppure a mala pena riusciamo a occuparci di sovraffollamento delle carceri, e cioè delle garanzie minime di condizioni di vita umane. Rimane da considerare tutto il resto: come si trascorre il tempo in carcere, quali azioni si mettono in campo per il “lavoro” dei carcerati, come si gestisce il rapporto con le famiglie, come si prepara il futuro. Negli ultimi anni sono stati compiuti significativi passi in avanti; non mancano esperienze positive ma si tratta ancora di pochi casi, discontinui, per una porzione limitata della popolazione carceraria. Temi fin qui lasciati alla cura esclusiva di qualche organizzazione per i diritti civili, della Chiesa e dei radicali mentre dovrebbero diventare terreno di confronto (e non di scontro ideologico e demagogico) tra le forze politiche e nelle Istituzioni.
Un’ultima riflessione sull’appello lanciato da papa Francesco: “In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento“. Vale la pena sottolineare che il Papa parla alle autorità civili di ogni Paese, e sappiamo bene quante violenze e violazioni dei diritti si consumino nelle carceri di tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia la speranza è che non ci si limiti a un ennesimo stucchevole dibattito su indulto e amnestia ma si pensi, piuttosto, a come diminuire strutturalmente il sovraffollamento delle carceri e a come dare diffusione e continuità alle esperienze orientate alla riabilitazione e al reinserimento.
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana – Domenica, 6 novembre 2016
(…) Oggi celebriamo il Giubileo della Misericordia per voi e con voi, fratelli e sorelle carcerati. Ed è con questa espressione dell’amore di Dio, la misericordia, che sentiamo il bisogno di confrontarci. Certo, il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo. Eppure, la speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il nostro cuore sempre spera il bene; ne siamo debitori alla misericordia con la quale Dio ci viene incontro senza mai abbandonarci (cfr Agostino, Sermo 254, 1).
Nella Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo parla di Dio come del «Dio della speranza» (Rm 15,13). E’ come se volesse dire anche a noi: “Dio spera”; e per paradossale che possa sembrare, è proprio così: Dio spera! La sua misericordia non lo lascia tranquillo. È come quel Padre della parabola, che spera sempre nel ritorno del figlio che ha sbagliato (cfr Lc 15,11-32). Non esiste tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta (cfr Lc 15,5). Se dunque Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino… Insomma, la speranza è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede e l’abbandono in Lui, l’attrattiva verso il male e il peccato.
Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione (cfr Lv 25,39-46). Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare. A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni.
Sappiamo infatti che nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto (cfr Rm 2,1-11). Ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono! Il ladro pentito, crocifisso insieme a Gesù, lo ha accompagnato in paradiso (cfr Lc 23,43). Nessuno di voi, pertanto, si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, «Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20): dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia.
La fede, anche se piccola come un granello di senape, è in grado di spostare le montagne (cfr Mt 17,20). Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Persone che hanno patito violenze o soprusi su loro stesse o sui propri cari o i propri beni… Solo la forza di Dio, la misericordia, può guarire certe ferite. E dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia. (…)