Un’indagine del Censis rivela un’Italia che fa sempre più fatica a far quadrare i conti per ciò che riguarda il carrello della spesa. Il 12% delle famiglie è stata costretta ad operare tagli drastici sugli alimenti e, di conseguenza, si è creato un vero e proprio divario tra coloro che – benestanti – possono permettersi l’acquisto di ogni varietà di cibo e, gli altri – soprattutto pensionati – che sono costretti a ridurre l’acquisto di prodotti importanti come pesce e frutta in modo particolare.
Un cambiamento delle abitudini alimentari non volontario, dunque, ma condizionato dalla crisi in atto stando a quanto dice il Censis che peraltro non fa mistero di come il crollo delle vendite di pesce, verdura e frutta metta a rischio anche la dieta mediterranea che, come molti sapranno, è stata proclamata patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Durante l’ultimo anno, sono 16,6 milioni gli italiani che hanno ridotto il consumo di carne, 10,6 milioni quello di pesce, 9,8 milioni la pasta, 3,6 milioni la frutta, 3,5 milioni la verdura. Chi risente in maniera particolare della crisi in senso alimentare, oltre ai pensionati, secondo il Censis sono anche gli operai. Il ragionamento non fa una piega: se si guadagna meno, si spende meno e si risparmia di più anche a tavola. Negli ultimi 7 anni la spesa in tal senso ha subito un calo medio del 12,2% ma se osserviamo l’andamento all’interno delle famiglie operaie la percentuale aumenta al 19,4%, mentre tra i disoccupati parliamo del 28,4%.
Presi in esame questi elementi, il Censis indica il frigorifero come misuratore di una vera e propria disparità sociale che la quantità e la qualità del cibo confermano. Nello specifico, il consumo della carne è sceso del 45,8% rispetto al 32% nelle famiglie benestanti, mangiare pesce è praticamente un lusso per chi versa in difficoltà economiche e vi rinuncia il 35,8% contro il 12,6% di chi può permetterselo. Non va meglio per la verdura di cui si priva il 15,9% dei meno abbienti rispetto al 4,4% degli altri. La frutta ha subito una riduzione del 16,3% fra i ceti economicamente svantaggiati mentre ha toccato solo il 2,6% delle famiglie più agiate. Un gap di non trascurabile entità. Ciò che fa riflettere è che sia diminuito anche il consumo della pasta che ha un prezzo di mercato minore rispetto ai succitati alimenti: il 21% degli italiani durante l’anno ne ha comprata molto meno.
Visti i dati, è naturale porsi degli interrogativi sui rischi per la salute, là dove sono in molti gli italiani a dover fare a meno di alimenti che sono alla base di una buona alimentazione. Infatti il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, ha dichiarato: «Tutto questo significa che molti non possono permettersi i cibi base della dieta mediterranea. La tavola diventa così luogo di iniquità sociale che produrrà rilevanti costi sociali: sempre più gente malata o obesa».
Negli anni gli esperti ci hanno insegnato che la salute comincia dalla tavola, per cui se si mangia male ci si ammala più facilmente. Tagliare in maniera drastica l’apporto di proteine e vitamine sottopone il corpo a un duro stress con la conseguenza che il rischio di contrarre patologie aumenta. Non a caso, lo studio del Censis ha rilevato che l’obesità è più diffusa nelle regioni con un minor reddito, quelle del Sud Italia dove negli ultimi sette anni la spesa è crollata del 16,6 % e il reddito in media è di un quarto inferiore alla media nazionale: qui obesi e sovrappeso costituiscono il 49,3%, praticamente quasi metà della popolazione.