La fame nel mondo sta lentamente diminuendo, anche se sono ancora 44 i Paesi in cui i livelli sono gravi e e 8 in cui sono addirittura allarmanti. E’ questa la fotografia scattata dal Cesvi, un’organizzazione laica e indipendente che opera per la solidarietà mondiale, nel suo Indice Globale della Fame 2015, uno dei principali rapporti che indaga gli aspetti multidimensionali della fame a livello nazionale, regionale e globale. Il documento, giunto alla decima edizione e realizzato in collaborazione con Alliance2015, un network europeo di 8 ONG di cui Cesvi fa parte con la Commissione Europea, focalizza la propria attenzione in particolare su 117 Paesi del mondo incentrando l’analisi ogni anno su un aspetto specifico della fame.
Nel 2015 il rapporto è stato incentrato sui conflitti armati, che sono la causa principale della fame acuta e persistente e, automaticamente, della fuga delle popolazioni verso altri territori. Nel dettaglio il rapporto analizza il cosiddetto GHI (Global Hunger Index), ossia un unico indice numerico che racchiude in sé quattro indicatori: la percentuale di popolazione denutrita; la percentuale di bambini sotto i cinque anni affetti da deperimento (peso insufficiente in rapporto all’altezza); la percentuale di bambini sotto i cinque anni affetti da ritardo della crescita (altezza insufficiente in rapporto all’età); il tasso di mortalità dei bambini sotto i cinque anni.
Dal Rapporto 2015 emerge innanzitutto che circa 795 milioni sono i denutriti cronici, più di un bambino su quattro è affetto da ritardo della crescita e il 9% da deperimento. Nonostante il dato allarmante, tuttavia, il Rapporto annuale sul GHI mostra alcuni progressi nella lotta contro la fame. Il GHI 2015 per il mondo in via di sviluppo è calato del 27% rispetto al GHI 2000, passando da 29,9 a 21,7. L’Africa a sud del Sahara e l’Asia meridionale presentano i più alti punteggi di GHI 2015, rispettivamente 32,2 e 29,4; per entrambi si tratta di livelli di fame grave. Al contrario, i punteggi di GHI di Asia orientale e Sud-est asiatico, Vicino Oriente e Africa del Nord, America Latina e Caraibi, e Europa dell’est e Comunità degli Stati Indipendenti si situano tra i 13,2 e gli 8,0 punti, il che indica livelli di fame moderati o bassi.
Dal GHI 2000 al GHI 2015, inoltre, 17 Paesi hanno compiuto notevoli progressi, riducendo il proprio punteggio di GHI del 50% o più. Sessantotto Paesi hanno registrato buoni risultati, facendo scendere i propri punteggi tra il 25 e il 49,9%, e 28 Paesi hanno diminuito il proprio GHI di meno del 25%. Nonostante questi avanzamenti, 52 Paesi continuano a soffrire livelli di fame grave o allarmante. In particolare ai primi posti della classifica trovano spazio la Repubblica Centrafricana, il Ciad e lo Zambia, anche se è bene evidenziare come il rapporto non includa alcuni dei Paesi dove lo scorso anno la situazione appariva molto preoccupante, come Burundi, Comore, Eritrea, Sud Sudan e Sudan, poiché i dati sulla malnutrizione non erano quest’anno disponibili.
Quanto al rapporto tra guerre e fame, nel rapporto si evidenzia: «attualmente, il verificarsi di carestie o situazioni di fame acuta è in genere l’effetto di conflitti armati, che perturbano i sistemi alimentari, distruggono i mezzi di sostentamento, costringono le persone a fuggire o a restare in una situazione di terrore senza sapere quando sarà il loro prossimo pasto. Detto questo, un esame delle tendenze attuali offre motivi di ottimismo».