“L’adattamento al clima è la grande sfida del tempo in cui viviamo”. Con questa espressione termina la Premessa del dossier di Legambiente dal titolo “Le città italiane alla sfida del clima”, dedicato alla valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici e alla definizione di adeguate politiche di adattamento. Il testo è stato elaborato in collaborazione con il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
I dati sono allarmanti: dal 2010 ad oggi sono 101 i Comuni italiani che hanno dovuto fare i conti con fenomeni atmosferici estremi, registrando oltre 200 episodi di allagamenti, frane, esondazioni, che hanno danneggiato in modo significativo le infrastrutture e il patrimonio storico; secondo il Cnr, dal 2010 al 2015 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 140 persone e l’evacuazione di oltre 32mila cittadini; nello stesso periodo si sono registrati 91 giorni di blocco per metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane e 43 giorni di blackout elettrici dovuti al maltempo.
Come si fronteggiano questi fenomeni climatici, per noi inediti, soprattutto nelle città e nelle grandi aree urbane? Come ci adattiamo a questi radicali cambiamenti e, soprattutto, come ci attrezziamo per contenerne gli effetti negativi?
Le indicazioni fornite da Legambiente si muovono sostanzialmente su tre direttrici. La prima riguarda l’urgenza di dotare le nostre città di Piani Clima. Si tratta di strumenti che consentono “di individuare le aree a maggiore rischio, di capire come rafforzare la sicurezza per i cittadini in collaborazione con la protezione civile, di elaborare progetti di adattamento di fiumi, infrastrutture, quartieri”. La seconda suggerisce uno stretto collegamento tra Piani Clima e politiche di intervento contro il dissesto idrogeologico. È necessario “selezionare gli interventi più urgenti e progettarli con un approccio nuovo, che possa offrire risposte più adeguate alle sfide complesse che riguardano la gestione delle acque, le temperature e gli spazi urbani”. La terza direttrice ci spinge a tenere sotto controllo, soprattutto nelle aree urbane, le conseguenze sanitarie degli cambiamenti climatici, svolgendo le necessarie indagini epidemiologiche e definendo piani di intervento per contenere i rischi per le persone.
Non è una sfida impossibile. Molte città si stanno muovendo in questa direzione con risultati soddisfacenti e il dossier ne dà conto. Tuttavia per conseguire questi risultati è indispensabile agire con coerenza e continuità.
Proponiamo ai nostri lettori la Premessa del Dossier di Legambiente, rinviando al seguente link per la consultazione del testo integrale.
IL CLIMA STA GIÀ CAMBIANDO. La conferenza sul Clima di Parigi si è chiusa con l’impegno da parte di 195 Paesi a contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi e a mettere in campo azioni e strategie, per evitare le conseguenze irreversibili dei cambiamenti climatici. Uno degli articoli fondamentali dell’accordo riguarda proprio il rafforzamento della capacità adattativa dei territori, per aumentare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici. L’accordo di Parigi prevede un impegno a proteggere le persone e gli ecosistemi dagli impatti già in atto, particolarmente gravi in alcune aree del mondo, e ad individuare strumenti di cooperazione, finanziamento, condivisione di conoscenze, buone pratiche e esperienze. Risulta infatti fondamentale capire cosa potrà avvenire nelle diverse aree del mondo in un orizzonte di cambiamento del clima e analizzare i processi che stanno già accadendo nei diversi territori. Perché se anche in Italia è oggi condivisa l’idea che stiano aumentando fenomeni meteorologici estremi – che vediamo nell’intensità e andamento delle piogge, negli episodi di trombe d’aria e ondate di calore -, occorre capire dove e come questi fenomeni sono avvenuti, quali caratteri hanno assunto e potrebbero assumere in futuro. Le ragioni sono chiare: abbiamo bisogno di capire l’entità degli impatti provocati, di individuare le aree a maggior rischio, approfondire dove e come i fenomeni si siano ripetuti con maggiore frequenza in modo da cominciare ad evidenziare, laddove possibile, il rapporto tra frequenza dei processi climatici e problematiche legate a fattori insediativi o infrastrutturali.
Il dossier di Legambiente “Le città italiane alla sfida del Clima”, elaborato in collaborazione con il Ministero dell’ambiente, presenta dei risultati utili e interessanti per comprendere come il Clima sta cambiando nelle città italiane. Con questa analisi si vuole rispondere ad alcuni interrogativi indispensabili per individuare le priorità di intervento. Innanzi tutto per capire se gli impatti riguardano in modo uguale tutto il Paese, oppure se alcune aree urbane sono più a rischio di altre, e dunque se in quei territori vadano accelerati gli interventi di messa in sicurezza e allerta dei cittadini. Il secondo interrogativo riguarda la frequenza con cui si ripetono gli eventi, per capire le differenze tra le stagioni, e se occorre attrezzarsi anche rispetto alle ondate di calore che in particolare nelle aree urbane possono provocare gravi danni e conseguenze in termini sanitari. Il terzo interrogativo a cui si vuole rispondere è legato alla specificità delle aree urbane, ossia se è necessario che oggi diventino una priorità delle politiche nazionali, che devono ripensare le strategie di prevenzione del dissesto idrogeologico all’interno delle prospettive di adattamento ai cambiamenti climatici.
Punto di partenza è stata la raccolta e mappatura di informazioni sui danni provocati in Italia dai fenomeni climatici, attraverso la Mappa del rischio climatico elaborata da Legambiente. La mappa è un sistema interattivo che in questa prima elaborazione ha preso in considerazione i danni provocati da fenomeni meteorologici avvenuti dal 2010 ad oggi. La Mappa permette di leggere in maniera integrata l’impatto dei fenomeni climatici nei Comuni, mettendo assieme informazioni, immagini, analisi e dati sugli episodi per provare così a comprendere le possibili cause antropiche, le caratteristiche insediative o i fenomeni di abusivismo edilizio, che ne hanno aggravato gli impatti, e arrivare a individuare oltre alle aree a maggiore rischio per i cambiamenti climatici anche nuove strategie di adattamento per le città.
Sono 101 i Comuni italiani dove si sono registrati impatti rilevanti, in questi anni legati a fenomeni atmosferici estremi, con 204 eventi registrati e riportati sulla mappa del rischio climatico di Legambiente, suddivisi nella legenda secondo alcune categorie principali (allagamenti, frane, esondazioni, danni alle infrastrutture, al patrimonio storico, provocati da trombe d’aria o da temperature estreme) utili a capire i rischi nel territorio italiano.
Dal 2010 al 2015 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 140 persone e l’evacuazione di oltre 32mila persone, secondo i dati del Cnr. L’analisi dei fenomeni nelle città evidenzia le conseguenze sulla vita delle persone dei fenomeni climatici, per cui negli ultimi 5 anni sono stati 91 i giorni di stop a metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane. 43 invece i giorni di blackout elettrici dovuti al maltempo. Rilevanti le conseguenze di alluvioni, trombe d’aria e piogge intense nei confronti di case, spazi pubblici ma anche del patrimonio archeologico con conseguenze rilevanti da Genova a Livorno, da Sibari a Metaponto.
LE CITTÀ SONO IL CUORE DELLE SFIDA CLIMATICA in tutto il mondo. Perché è nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando danni crescenti, mettendo in pericolo vite umane e determinando danni a edifici e infrastrutture. L’andamento delle piogge, gli episodi di trombe d’aria e ondate di calore hanno oramai assunto caratteri che solo in parte conoscevamo e che andranno ad aumentare. La risposta che la politica ha messo in campo per rispondere a queste sfide va interpretata a livello internazionale e nazionale. La Commissione Europea ha adottato nel 2013 la comunicazione “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell’UE”, al fine di aiutare i paesi a pianificare le proprie attività in questo senso, e per rafforzare la resilienza ha previsto lo stanziamento di fondi UE. La Commissione europea prevede che tutti i paesi membri approvino entro il 2017 dei piani nazionali per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici. La comunicazione della Commissione evidenzia come gli eventi meteorologici estremi possono causare la perdita di vite umane e imporre una battuta di arresto alle attività economiche e sociali nelle aree colpite, rendendo necessari ingenti finanziamenti per la ricostruzione di infrastrutture e beni danneggiati. Tuttavia, i danni causati da eventi meteorologici estremi negli ultimi decenni non possono essere imputati soltanto ai mutamenti climatici: gli sviluppi socioeconomici e la crescente espansione delle città verso le pianure alluvionali sono anch’essi da annoverarsi tra le cause. In assenza di piani di adattamento al cambiamento climatico i danni, e i relativi costi, sono destinati ad aumentare via via che il clima continua a mutare. I costi futuri del cambiamento climatico sono potenzialmente molto ingenti a livello europeo, con stime che arrivano a calcolare come, in assenza di azioni di adattamento, le morti causate dal calore potrebbero entro il 2100 toccare i 200mila casi all’anno nella sola Europa, mentre i costi delle alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all’anno.
All’interno della cornice europea l’Italia ha approvato nel 2014 la “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”. Il documento delinea la strategia di azioni finalizzate alla riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici verso l’ambiente ed il sistema socio-economico nazionale: tale Strategia nazionale dovrà poi essere declinata con un Piano Nazionale e con piani di livello regionale, in modo da potersi calare sulle specificità del territorio nazionale e sugli elementi sensibili a livello locale. Nella strategia uno dei capitoli riguarda gli insediamenti urbani, i quali “ospitano la parte preponderante della popolazione italiana (90% al Censimento ISTAT 2011) e rappresentano nel contempo i maggiori responsabili e le principali vittime dei cambiamenti climatici” e sono individuate diverse azioni di adattamento. Inoltre nel 2014 è stata costituita “Italia sicura” la struttura di missione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, contro il dissesto idrogeologico, che ha presentato nel 2015 un piano per 132 cantieri per la sicurezza nelle città, che muoveranno investimenti per 1,3 miliardi di euro (i cui contenuti sono descritti nel terzo capitolo).
LE CITTÀ AL CENTRO DELLE POLITICHE NAZIONALI. In Italia sono diverse le ragioni per cui l’adattamento al clima deve diventare una priorità nazionale. L’81,2% dei Comuni è in aree a rischio di dissesto idrogeologico, con quasi 6 milioni di persone che abitano in aree a forte rischio idrogeologico. Molte grandi città italiane hanno visto ripetersi negli anni fenomeni meteorologici che hanno provocato danni alle infrastrutture, agli edifici e provocato morti e feriti. Sono 61,5 i miliardi di euro spesi tra il 1944 ed il 2012 solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano. Secondo i dati di “Italia sicura”, l’Italia è tra i primi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: dal 1945 l’Italia paga in media circa 3.5 miliardi all’anno. Dal 1950 ad oggi abbiamo contato 5.459 vittime in oltre 4.000 tra frane e alluvioni. Eppure sappiamo che 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni. Il deterioramento del territorio costituisce una voce fortemente negativa nel bilancio economico di un Paese perché accumula debito futuro. Anche in una visione strettamente economico è positivo investire in prevenzione.
Non meno rilevanti sono gli impatti sanitari provocati dalle ondate di calore. Numerose ricerche hanno infatti dimostrato l’associazione tra elevate temperature e salute della popolazione, in particolare dei soggetti a rischio, soprattutto anziani che vivono in ambiente urbano. Gli studi realizzati dal Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario nazionale della Regione Lazio, nell’ambito del “Piano operativo nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute”, evidenziano dati preoccupanti relativi alle città italiane colpite da ondate di calore. Durante l’estate 2015, le temperature superiori alle medie nel periodo di luglio nelle città del Nord e del centro (fino a 4°C superiori ai valori di riferimento con picchi che hanno raggiunto i 41°C), associate ad elevati tassi di umidità hanno aumentato il disagio termico della popolazione. L’effetto è stato un aumento della mortalità giornaliera nella popolazione con età superiore ai sessantacinque anni nel mese di luglio 2015, con incrementi compresi tra +15% e +55%. Se si guarda ai dati storici, il 2003 rimane l’anno con le temperature più elevate e con il più grave impatto sulla mortalità per tutti i range di temperatura.
Uno Studio statunitense stima un aumento del 3% dei ricoveri ospedalieri di soggetti over 65 negli otto giorni successivi a condizioni di caldo estremo mentre il rischio di mortalità aumenta dall’1 al 3% per un aumento di 1 °C della temperatura oltre una specifica soglia. Inoltre in ambiente urbano l’effetto termico è amplificato dall’effetto “isola di calore” (Urban Heat Island): cementificazione e superfici asfaltate contribuiscono a un maggiore accumulo di calore durante il periodo diurno, rilasciato per irraggiamento durante la notte, quando le differenze tra zone centrali e rurali possono superare i 5 °C. I ricercatori dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) hanno elaborato delle mappe del rischio diurno e notturno da caldo urbano per la popolazione anziana nelle città italiane. Queste analisi confermano la relazione lineare tra consumo di suolo e aumento della temperatura di superficie diurna e notturna, per cui a Milano, per ogni 20 ettari di suolo consumato è stato osservato un aumento diurno medio annuo di circa 0.6 °C. L’esatta conoscenza delle zone urbane a maggior rischio è molto utile per pianificare e ottimizzare gli interventi durante le emergenze e per indirizzare l’assistenza, ma anche per realizzare interventi di adattamento che reintroducano alberi e prati al posto di superfici asfaltate, favorendo il naturale deflusso delle acque nella falda, rivestendo i tetti con vegetazione o materiali riflettenti.
Sicuramente, proprio la complessità dei fenomeni impone una lettura che tenga conto sia dei processi in corso nel territorio italiano che degli scenari futuri elaborati per il Mediterraneo dall’ IPCC e dal Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici, con particolare attenzione alla scala urbana dei rischi climatici, per capire come i problemi e i rischi potrebbero evolversi, quali danni provocare per poter individuare le priorità. Le città e le aree costiere italiane si trovano, da alcuni anni, ad affrontare fenomeni climatici di intensità inedita ma oramai comuni a tutto il Mediterraneo, dalle ondate di calore ai cicloni (oggi definiti “medicanes”, Mediterranean tropical-like ciclone, cicloni mediterranei con caratteri tropicali) ai periodi di siccità anche nei mesi invernali (come quelli che stiamo vivendo proprio in queste settimane). Dobbiamo attrezzarci per far fronte a questi fenomeni, in modo da mettere in sicurezza le persone e rafforzare la resilienza delle aree urbane. Per Legambiente le politiche devono andare in tre direzioni prioritarie:
1) Elaborare i Piani Clima delle città italiane, ossia prevedere strumenti che permettano di individuare le aree a maggiore rischio, di capire come rafforzare la sicurezza per i cittadini in collaborazione con la protezione civile, di elaborare progetti di adattamento di fiumi, infrastrutture, quartieri. Il Ministero dell’Ambiente dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento e indirizzo rispetto all’azione dei Comuni: di indirizzo, attraverso l’elaborazione di linee guida per i piani in modo da semplificare il percorso di elaborazione e approvazione; di coordinamento, perché le azioni previste dai Comuni possano confluire nella strategia nazionale di adattamento e entrare nelle priorità della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico, in modo da individuare gli interventi prioritari da realizzare attraverso cofinanziamenti nazionali e regionali, ma anche comunitari come è previsto da fondi strutturali 2014-2020 che, pur vincolati al clima, corrono il rischio di rimanere inutilizzati in assenza di chiare strategie e di una attenta regia;
2) L’adattamento delle città più a rischio diventi una priorità della Struttura di Missione contro il dissesto. In alcune aree urbane particolarmente a rischio, da Genova a Messina, a Roma, occorre elaborare subito i Piani Clima in modo da selezionare gli interventi più urgenti e progettarli con un approccio nuovo, che possa offrire risposte più adeguate alle sfide complesse che riguardano la gestione delle acque, le temperature e gli spazi urbani. Perché non è continuando a intubare o deviare i fiumi, ad alzare argini o asfaltare altre aree urbane che possiamo dare risposta a equilibri climatici e ecologici complessi che hanno bisogno di analisi nuove e strategie di adattamento. È in questa direzione che vanno le politiche comunitarie e i piani clima delle città europee, e questi approcci dobbiamo riuscire ad applicare anche nelle città italiane.
3) Monitorare gli impatti sanitari dei cambiamenti climatici con specifica attenzione alle aree urbane. Molti studi italiani e internazionali evidenziano infatti una correlazione tra fenomeni climatici e impatti sulla salute delle persone, e dunque occorre rafforzare e ampliare le indagini epidemiologiche in tutte le città italiane e utilizzare questi studi per piani e interventi che riducano i rischi per le persone.
Gli esempi di interventi di adattamento raccontati in questo dossier – da Copenaghen a Bologna, ad Anversa -, dimostrano come sia possibile realizzare progetti capaci di affrontare i rischi legati ai cambiamenti climatici in una prospettiva di miglioramento della vita nelle città. Dove mettere in sicurezza un fiume, restituendo spazi alla natura e alla fruizione dei cittadini, dove creare quartieri vivibili anche quando le temperature crescono nei periodi estivi grazie agli alberi e all’acqua, a materiali naturali che permettono di ridurre l’effetto isole di calore.
L’adattamento al clima è la grande sfida del tempo in cui viviamo. Per vincerla, dobbiamo rendere le nostre città più resilienti e sicure, cogliendo l’opportunità di farle diventare anche più vivibili e belle.