Se Cittadinanzattiva sente il bisogno di prendere carta e penna in merito al Codice del terzo settore allora vuol dire che c’è in discussione qualcosa di importante. E, in effetti, è così. Anna Lisa Mandorino, vice segretario generale dell’Associazione, in una lettera aperta al Sottosegretario Bobba che di seguito riportiamo integralmente, segnala due questioni rilevanti.
La prima attiene all’elencazione delle forme di attività di interesse generaledi cui si occupa il Terzo settore. Afferma Cittadinanzattiva: “(…) non ci sembra sia attribuita la stessa dignità e lo stesso rilievo alle attività di advocacy e di tutela rispetto a quelle legate all’erogazione di prestazioni e servizi”. Da questa considerazione prende le mosse per suggerire che nell’articolo 5 comma 1 del Decretotrovino spazio “le iniziative che mirano alla difesa e all’accessibilità, intese come uguaglianza nell’accesso, ai beni comuni”, “le iniziative di sostegno ai soggetti in condizione di debolezza”, “le iniziative a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi di pubblica utilità”. E, inoltre, non si parli solo di “promozione e tutela dei diritti umani e dei diritti civili” quanto piuttosto di “promozione e tutela dei diritti, in particolare di quelli sociali, di quelli politici, di quelli umani e di quelli civili”.
La seconda questione sembra riguardare un aspetto tecnico, specialistico, ma così non è. Cittadinanzattiva suggerisce di togliere il riferimento ai Livelli Essenziali di Assistenza, laddove si citano le prestazioni rese dalle organizzazioni del Terzo settore nell’ambito degli interventi a tutela della salute. Il Terzo settore non può essere “omologato” al settore pubblico e deve mantenere piena libertà di intervento anche laddove la sfera pubblica non ancora arriva o mai arriverà.
Due questioni, quindi, che meritano la massima attenzione sia da parte degli attori del Terzo Settore sia da parte del Legislatore.
Gent.mo Sottosegretario Bobba,
faccio seguito all’incontro tenutosi presso la sede del PD negli scorsi giorni fra ministri, parlamentari e organizzazioni di terzo settore e avente a oggetto i decreti attuativi della riforma del terzo settore che stanno completando il loro iter, per richiamare la Sua attenzione sui due punti sollevati nel corso del mio intervento e che credo meritevoli di un Suo ulteriore riesame.
Mi riferisco, in particolare, all’articolo 5, comma 1, del Decreto recante “Codice del terzo settore” laddove sono elencate le attività che si considerano di interesse generale e che, se svolte, determinano l’inserimento nel Registro unico degli enti di Terzo settore.
Pur avendo apprezzato, infatti, la centralità riconosciuta, prima dalla legge delega ora dai decreti attuativi, al tema dell’interesse generale e in particolare delle attività di interesse generale ai fini della definizione stessa di Terzo settore, ai sensi dell’articolo 118 ultimo comma della Costituzione, riteniamo che l’elenco contenuto nell’articolo 5 comma 1 del Decreto succitato non possa ritenersi esaustivo di tutte le attività di interesse generale svolte dalle organizzazioni di Terzo settore. E questo per due ordini di ragioni: il primo è che non ci sembra sia attribuita la stessa dignità e lo stesso rilievo alle attività di advocacy e di tutela rispetto a quelle legate all’erogazione di prestazioni e servizi; il secondo è che l’elencazione esclude, a nostro parere, ambiti di attività altrettanto importanti e sicuramente pertinenti più di alcuni di quelli citati (per esempio, la formazione universitaria e post-universitaria): si pensi, a titolo esemplificativo, alle attività di advocacy dei pazienti, a quelle connesse alla sicurezza degli edifici pubblici, alle iniziative di promozione dell’attivismo civico, alla sensibilizzazione in tema di violenza sulle donne o di pari opportunità, alla valutazione dei servizi di pubblica utilità quale attività riconosciuta da una legge dello Stato. A questo proposito non manchiamo di segnalarle, quale associazione di consumatori riconosciuta nel Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti presso il Ministero dello Sviluppo Economico, che le attività di tutela dei consumatori risulterebbero anch’esse fuori dall’elenco di quelle che svolgono attività di interesse generale. Non contribuiscono dunque all’interesse generale tutte quelle attività svolte per una mobilità sostenibile, per ottenere agevolazioni per i cittadini in difficoltà come è stato nel caso del bonus energia, per negoziare condizioni più favorevoli dei mutui per chi versa in condizione di disagio economico?
Per questo Le chiediamo che:
- al comma 1, lettera w, laddove si legge “promozione e tutela dei diritti umani e dei diritti civili” si parli piuttosto di “promozione e tutela dei diritti, in particolare di quelli sociali, di quelli politici, di quelli umani e di quelli civili”, per come definiti dalla Costituzione: manca, ad esempio, in quella lettera il riferimento al tema dei diritti sociali tra i quali sono annoverati il diritto allo studio e il diritto alla salute, due ambiti dei quali moltissime organizzazioni di cittadini si occupano pur senza fornire prestazioni e servizi;
- sia introdotto ex novo il riferimento alle “iniziative che mirano alla difesa e all’accessibilità, intese come uguaglianza nell’accesso, ai beni comuni”;
- sia introdotto ex novoil riferimento alle “iniziative di sostegno ai soggetti in condizione di debolezza”;
- sia introdotto ex novoil riferimento alle “iniziative a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi di pubblica utilità”.
Infine, come organizzazione attiva sul fronte della tutela dei diritti del malato con il suo Tribunale per i diritti del malato, chiediamo che sia eliminato, nella lettera b e c, dell’articolo 5 comma 1, il riferimento ai Livelli Essenziali di Assistenza in quanto “prestazioni e servizi che devono essere garantiti dallo Stato gratuitamente e a carico della fiscalità generale”. Il riferimento così specifico ai LEA, mentre potrebbe dare adito a una logica sostitutiva e non sussidiaria del ruolo dei soggetti di Terzo settore nell’erogazione di prestazioni essenziali rispetto alla tutela del diritto alla salute, esclude allo stesso tempo la possibilità che, in una logica davvero sussidiaria e complementare all’intervento delle istituzioni, le organizzazioni di Terzo settore possano occuparsi di quello che nei LEA non c’è ma che parimenti va a beneficio della tutela della salute dei cittadini (a titolo di esempio, le attività legate alla tutela dei pazienti affetti da malattie rare non ricomprese negli attuali elenchi riconosciuti dai Lea che resterebbero escluse da quelle considerate di interesse generale)”.