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Clima: a Bonn per dare seguito all’Accordo di Parigi

Fino al 18 maggio i membri delle delegazioni di 196 nazioni saranno riuniti in Germania, a Bonn, la città che a novembre prossimo sarà il teatro della Cop 23, evento dal quale si auspica venga dato seguito all’Accordo di Parigi per il clima, siglato nel 2015 al termine della Cop 21.

Un ruolo chiave sarà quello che avrà l’Unfccc – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – dalla quale ci si aspetta che manterrà una posizione coerente con quanto affermato nell’ambito dell’Accordo di Parigi. A sostegno dell’Unfccc ci saranno circa 200 grandi investitori che, proprio in occasione del prossimo G7, hanno fatto pressione sui Governi per sostenere le misure adeguate atte ad evitare una vera e propria catastrofe climatica.

Semmai fosse necessario, a sostegno della necessità di stabilire un protocollo che ogni Paese sarà tenuto a rispettare, verranno presentati dossier eloquenti sullo stato di salute del nostro Pianeta. L’obiettivo è molto chiaro: trasformare le tante parole pronunciate a Parigi in azioni concrete.

Preoccupa la posizione di quei circa 50 Governi che fino a questo momento non hanno mostrato grande adesione o compattezza per affrontare una problematica globale, pertanto i negoziati si preannunciano delicatissimi. Nel frattempo le organizzazioni non governative, come è nella loro natura, non smettono di ricordare che se si vuole salvare il Pianeta occorre agire con una certa fretta, mettendosi subito al lavoro per realizzare quanto detto a Parigi, ossia portare la temperatura media globale «a un massimo di 2° centigradi» e comunque «restando il più vicino possibile agli 1,5°».

Fondamentale a Bonn sarà il dossier “rulebook” di cui si discuterà in questa sessione e poi alla Cop 23 e che affronterà il problema legato ai finanziamenti che occorrerà stanziare, le politiche di transazione ecologica e la questione dell’adattamento ai cambiamenti del clima in particolar modo per le aree più interessate.

A turbare la serenità generale, c’è, chiaramente, la posizione che terranno gli Stati Uniti d’America. Con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca vige, di fatto, un clima di incertezza circa l’impegno preso nel corso del 2009 a Copenhagen, cioè di stanziare 100 miliardi all’anno fino al 2020 per aiutare i Paesi più in difficoltà. La maggiore preoccupazione è che gli U.S.A si mostrino ostili e mettano fortemente in discussione quanto pattuito.

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Redazione