Editoriale

Codice per le Ong: non dimentichiamoci che parliamo di vite umane

La settimana appena trascorsa è stata caratterizzata da novità importanti sul fronte dell’emergenza immigrazione in Italia. Il Viminale ha, infatti, chiesto alle Ong di sottoscrivere un Codice di condotta in materia di ricerca e soccorso in mare.

Prima di soffermarci ad analizzare i risvolti di questa manovra e conoscere le ragioni di chi ha sottoscritto il documento, come Save the Children, e di chi invece ha disertato l’appuntamento, come Medici Senza Frontiere, è a nostro avviso utile prima dare un’occhiata ai 13 impegni messi a punto dal Viminale con il benestare dell’Unione europea.

Il Codice, dunque, prevede quanto segue:

– Non entrare nelle acque libiche, “salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo” e non ostacolare l’attività della Guardia costiera libica.
– Non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione.
– Non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti.
– Attestare l’idoneità tecnica per le attività di soccorso. In particolare, viene chiesto alle ong anche di avere a bordo “capacità di conservazione di eventuali cadaveri”.
– Informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca ufficialmente istituita.
– Tenere aggiornato il competente Centro di coordinamento marittimo sull’andamento dei soccorsi.
– Non trasferire le persone soccorse su altre navi, “eccetto in caso di richiesta del competente Centro di coordinamento per il soccorso marittimo (Mrcc) e sotto il suo coordinamento anche sulla base delle informazioni fornite dal comandante della nave”.
– Informare costantemente lo Stato di bandiera dell’attività intrapresa dalla nave.
– Cooperare con il competente Centro di coordinamento marittimo eseguendo le sue istruzioni.
– Ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, “eventualmente e per il tempo strettamente necessario”, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico.
– Dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l’ong è registrata.
– Cooperazione leale con l’autorità di pubblica sicurezza del previsto luogo di sbarco dei migranti.
– Recuperare, “una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile”, le imbarcazioni improvvisate ed i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.

La mancata sottoscrizione del documento o l’inosservanza degli impegni previsti «può comportare – si legge nel documento – l’adozione di misure da parte delle autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un’accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori».

Chi non ha firmato il documento non si vedrà riconoscere la garanzia di portare i migranti salvati nei porti italiani, se l’area in cui sono stati soccorsi non è di competenza italiana. Resta valida tuttavia la legge internazionale che prevede che i migranti siano sbarcati in un porto sicuro, non necessariamente il più vicino.

Nessuna sanzione è prevista per le Ong che non hanno sottoscritto il documento, dunque, ma un’attività resa più difficile e lenta dalla burocrazia, questo sicuramente sì.

Tra le Ong che hanno rifiutato la sottoscrizione c’è innanzitutto Medici Senza Frontiere che, in particolare, si è detta contraria perché, tra le altre cose, il Codice «prevede la presenza a bordo di agenti mentre in nessun Paese in cui lavoriamo accettiamo la presenza di armi, ad esempio nei nostri ospedali». A far discutere è anche il punto relativo ai trasbordi che vengono vietati dalle navi Ong a quelle dei soccorsi ufficiali, che rischia di pregiudicare, a detta di MSF, tutta l’operazione.

Contraria anche la Ong Jugend Rettet che spiega: «Abbiamo deciso di non firmare questo Codice. Noi possiamo firmare soltanto nel caso in cui le nuove norme rendessero più efficiente il nostro lavoro e aumentassero la sicurezza dei nostri volontari».

Diverso il punto di vista di Save the Children che ha sottoscritto il Codice perché «gran parte dei punti del Codice di condotta indicano cose che già facciamo e ci sono stati chiarimenti su un paio di punti che ci preoccupavano, quindi non abbiamo avuto problemi a firmare. Siamo convinti di aver fatto la cosa corretta e mi dispiace che altre Ong non ci abbiano seguito, ma evidentemente avevano altre sensibilità». In merito alla presenza di polizia a bordo, inoltre, l’Ong che si occupa della tutela dei bambini commenta: «Abbiamo ritenuto, alla fine, che non costituisse un problema in quanto l’Italia è un Paese democratico».

Non è questa senza dubbio la sede per parlare di scelte giuste o sbagliate, e non siamo noi nella condizione di schierarci dalla parte degli uni o degli altri. Ciò che ci sentiamo di dire tuttavia è innanzitutto che un simile documento, non approvato all’unanimità da coloro che da anni operano per cercare di salvare vite umane, rischia solo di creare una forte spaccatura tra il mondo delle istituzioni e le Ong, e tra le stesse organizzazioni. Frattura in realtà già delineatasi nei mesi scorsi con i dubbi sollevati sull’operato delle Organizzazioni non governative in tema di emergenza immigrazione e che ora appare aggravata da questa suddivisione che a me – concedetemi il paragone – appare quasi una divisione tra buoni e cattivi all’interno di una classe scolastica.

Un’altra riflessione che ci sentiamo di fare è che il Codice a nostro avviso rappresenta un tentativo malcelato di porre un freno agli sbarchi da parte di un governo, quello italiano, che ormai è sempre più schiacciato tra il malcontento di una buona parte di popolazione che da Nord a Sud ha ormai dichiarato guerra allo straniero, e l’isolamento da parte dell’Europa che ogni giorno di più sembra lasciare la “patata bollente” dell’immigrazione nelle sole mani dell’Italia.

Ma c’è, infine, un aspetto che va assolutamente ribadito con fermezza. Non dobbiamo dimenticarci mai che stiamo parlando di vite umane da salvare e non di un flusso turistico da contenere come accade ad esempio a Venezia. Le Ong lavorano ogni giorno in un sottilissimo confine tra la vita e la morte di migliaia di persone, uomini, donne e bambini, e il loro operato può davvero fare la differenza. Cerchiamo quindi di inserire pure ogni tipo di regolamentazione possibile, purché questo agevoli il loro lavoro e non lo ostacoli, mettendo a repentaglio chi sogna di continuare a vivere.

Il direttore

Vignetta di copertina: Freccia.

Published by
Antonella Luccitti