“Il giallo contiene sempre in sé la natura del chiaro, e possiede una qualità, dolcemente stimolante, di serenità e di gaiezza”. Così scriveva Goethe parlando del colore del sole e sono proprio queste, probabilmente, le emozioni che prova Dario Sorgato alla visione del giallo.
Vi starete chiedendo chi sia questo ragazzo e noi ve lo spieghiamo subito.
Nato nel 1978 a Padova, Dario oggi vive a Berlino ed è un designer. Amante dei viaggi, dell’avventura e dell’alta quota, ha viaggiato su un vascello di ferrocemento per quasi due anni da Città del Capo a L’Avana, navigando attraverso l’Oceano Atlantico e lungo le coste del Brasile e delle isole del Mar dei Caraibi. I suoi ultimi viaggi in Nepal e Perù lo hanno portato a quota 5000 metri e ai piedi del Monte Salkantay, sulla via inca verso Machu Picchu. Nulla di troppo strano se non fosse che Sorgato ha però una “compagna” poco piacevole che lo accompagna dall’età di 16 anni: la sindrome di Usher che provoca una progressiva cecità e sordità.
Ed è per questa ragione che il giallo è così importante per il designer veneto, perché in qualità di ipovedente è l’unico colore che, essendo fortemente in contrasto con gli altri, riesce a percepire con chiarezza.
Il suo sogno sarebbe quindi quello di dipingere ogni cosa, scale, strade, pali della luce, mobili, di giallo, così da non incorrere nel rischio di sbattere contro il mondo esterno. Da tempo quindi Dario si è fatto promotore e sponsorizzatore del colore giallo, attraverso una serie di iniziativa che lo hanno portato fin sopra l’Everest e da cui ne è nato anche un documentario dal titolo “Yellowtheworld – Everest edition”, che ha debuttato a Milano sabato 14 gennaio alla Libreria Popolare di via Tadino.
«Ho scelto il tetto del mondo perché vorrei che da lì il giallo si diffondesse in tutto il mondo», commenta, «che il messaggio arrivasse a urbanisti, architetti, amministratori pubblici e a ogni cittadino sensibile».
L’iniziativa rientra in un più ampio progetto dal titolo Noisy Vision ideato da Dario Sorgato, insieme ad altri amici (alcuni ipovedenti come lui). Si tratta di un progetto informativo e culturale che si propone di aumentare la conoscenza della sindrome di Usher e delle disabilità sensoriali.
«Tutti i grandi viaggiatori hanno una spinta dentro. Forse proprio perché ho una disabilità sono spinto dal desiderio di vedere il mondo (che un giorno non potrei più vedere). Tra l’altro mi piace viaggiare in modo indipendente e disorganizzato», aggiunge. «C’è poi il desiderio di dimostrare che lo si può fare nonostante tutto. È una continua sfida».