Abbiamo concluso il precedente intervento sostenendo che “le diseguaglianze si possono contrastare, si possono mettere in atto politiche orientate a ridurre le distanze operando con gli strumenti della politica e dell’economia” (leggi l’articolo). Tuttavia questo argomento, per la sua complessiva e per la ricchezza di implicazioni, fa tremare i polsi a chi lo voglia affrontare con responsabilità. Nello stesso tempo si tratta di una questione ormai ineludibile.
L’attuale dibattito politico opera inaccettabili semplificazioni, a uso e consumo della propaganda piuttosto che dell’approfondimento. Così tutto si riduce a un sì o un no al reddito di cittadinanza, oppure alla rituale riaffermazione dell’impegno contro l’evasione e l’elusione fiscale. In realtà nessun intervento, da solo, è risolutivo; piuttosto è necessario suonare una tastiera dalle molte ottave.
Alcuni interventi riguardano le istituzioni economiche a livello internazionale; altri le relazioni tra lavoro e capitale; altri ancora la lotta alla corruzione e alle economie criminali, la gestione del debito pubblico e la tutela del risparmio, la concorrenza e il cambiamento tecnologico, la difesa del potere d’acquisto delle famiglie e l’organizzazione dei servizi pubblici, le politiche retributive e i modelli di governo delle imprese, la lotta ai paradisi fiscali e la drastica riduzione dei livelli di evasione fiscale, la tassazione dei grandi patrimoni e la struttura delle aliquote fiscali, l’organizzazione del sistema sanitario e di quello dell’istruzione.
La semplice enumerazione di alcuni “titoli” rende evidente la complessità del problema. Per tentare di avvicinarci a queste grandi sfide proponiamo di tornare a leggere la parte conclusiva del Manifesto “Contro la disuguaglianza: come e perché”, elaborato dalle Associazioni Nuova economia, Nuova società e Etica economia.
Di seguito, per brevità, proponiamo solo i paragrafi che riguardano le politiche retributive e di governance delle imprese, le politiche fiscali e quelle del welfare e dell’istruzione. Tuttavia raccomandiamo a chi fosse interessato all’argomento la lettura dell’intero documento (clicca qui), davvero ricco di indicazioni e spunti di riflessione non solo per gli specialisti, ma per tutti coloro che non intendono arrendersi all’ineludibilità della crescita delle diseguaglianze come presunto frutto di una società tecnologica e finanziaria.
Al contrario, è indispensabile accettare la sfida di ricostruire una politica dell’uguaglianza nella contemporaneità, senza temere di apparire fuori moda e, allo stesso tempo, senza cadere in semplificazioni banali. In fondo, cosa c’è di più “attuale” di rifiutare quanto appare naturale e scontato per dare concretezza a quanto riteniamo giusto?
Politiche retributive e di governance delle imprese
a) Introdurre regole indicative sui ventagli retributivi all’interno di imprese, organizzazioni e istituzioni. Per il settore pubblico, per le cooperative, ecc. tali regole dovrebbero essere obbligatorie e più restrittive rispetto al settore privato. Per le imprese private si potrebbe seguire la strada dell’incentivazione: ad esempio, sulla falsariga di alcune proposte sviluppate dal Congresso degli Stati Uniti, si potrebbe limitare entro un dato limite, la deducibilità, nell’imposta sulle imprese, delle retribuzioni dei manager oppure riservare l’accesso alle gare per appalti pubblici alle imprese che non superino determinati ventagli retributivi. Le imprese private sarebbero, pertanto, libere di pagare quanto vogliono i propri dipendenti, ma non a danno dell’erario.
b) Modificare le norme in materia di governance delle imprese, anche finanziarie, con lo scopo di superare l’ossessione per la massimizzazione del valore nel breve periodo e di dare maggior peso alla tutela degli interessi degli Stakeholders e non soltanto degli Shareholders.
Molto rilevanti in questo contesto sono le modalità di retribuzione dei managers per gli effetti di incentivo che hanno sulle loro decisioni. A tal fine sarebbe inoltre necessario: a) abolire la possibilità del riacquisto di azioni proprie che è lo strumento principale di manipolazione del prezzo delle azioni al fine di estrazione di valore; b) mutare i criteri di retribuzione dei manager spostandoli dalle stock options, alla capacità di innovazione (nuovi prodotti a prezzi unitari più bassi), stabilità dell’occupazione e aumento delle retribuzioni; c) i lavoratori, gli investitori e i consumatori dovrebbero avere i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione
Politiche fiscali
Alcune azioni di diversa natura potrebbero rendere le politiche fiscali nettamente più efficaci nel contrasto delle disuguaglianze.
a) Proporre la costituzione di una World Tax Authority con il compito di uniformare le normative al fine di evitare l’elusione fiscale delle multinazionali, la concorrenza fiscale dannosa e le fughe verso i paradisi fiscali che penalizzano gli Stati nazionali. Nel frattempo si dovrebbe: a) rafforzare il BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dell’OCSE, riducendo adeguatamente la soglia prevista per il bilancio consolidato mondiale (oggi 845 milioni di dollari), attribuendo i profitti ai diversi Stati in base alle quote loro spettanti, e rendendo pubbliche le dichiarazioni; b) operare per l’approvazione della proposta di direttiva europea sul CCTB per le società di capitale (Common Consolidated Tax Base), che supererebbe in Europa i limiti della BEPS; c) equiparare a tutti gli effetti, amministrativi e penali, l’elusione fiscale e l’evasione, poiché si tratta di comportamenti sostanzialmente identici (non a caso l’elusione viene comunemente definita “l’evasione dei ricchi”).
b) Combattere i paradisi fiscali. Oggi esistono nel mondo tra 60 e 90 giurisdizioni caratterizzate non solo da tassazione bassa o inesistente, ma da condizioni di segretezza e dalla possibilità di eludere la regolamentazione finanziaria (relativa alle società per azioni, alle banche, alla borsa, alle assicurazioni) e aggirare la normativa di altre giurisdizioni (per esempio in materia di riciclaggio, eredità, divorzio). Il sistema off-shore è di fatto controllato e promosso dalle principali banche del mondo. Le risorse collocate nei paradisi fiscali derivano per 1/3 da attività criminali in senso stretto, per alcuni punti percentuali da proventi della corruzione, e per la gran parte da elusione ed evasione fiscale. Le dimensioni del sistema fiscale sono enormi: la stime sono comprese tra i 7 e gli 8.000 miliardi di dollari (ma tale cifra non comprende l’elusione fiscale delle multinazionali, né i cespiti non finanziari: immobili, oro, preziosi, opere d’arte, ecc.) a 21.000-32.000 miliardi. I paradisi fiscali e il sistema off-shore hanno giocato un ruolo fondamentale nel modello di sviluppo degli ultimi 30 anni, iperliberista, deregolamentato, finalizzato alla massimizzazione del valore nel breve periodo. Questo sistema ha contribuito al finanziamento della globalizzazione, ma anche alla nutrita serie di crisi finanziarie degli ultimi decenni, ha provocato ed accentuato la crescita delle disuguaglianze, promosso e tutelato gli interessi dei ceti più abbienti di tutti i Paesi. Smantellare questo sistema dati gli equilibri politici prevalenti oggi nel mondo, è pressoché impossibile, ma mantenere alta l’attenzione, la critica e l’allarme può servire per lo meno a contenerne il ruolo e l’attività.
c) Contrastare l’evasione fiscale che crea ingiustizie e disparità di trattamento. Chi evade le imposte contribuisce meno del dovuto al finanziamento dei servizi pubblici pur utilizzandolo come tutti gli altri cittadini. Si tratta di un comportamento parassitario che non può essere accettato. Né va dimenticato che l’evasione fiscale è sistematicamente associata alla corruzione e alle attività criminali.
d) Ridisegnare la struttura delle aliquote delle imposte personali sui redditi, superando le strutture piatte, con poche aliquote o una sola aliquota, oggi prevalenti (che, a parità di gettito, penalizzano le classi medie e avvantaggiano i più ricchi) a favore di strutture con molti piccoli scaglioni ed aliquote, o di un prelievo secondo una funzione matematica continua (come avviene in Germania).
e) Introdurre una imposta personale progressiva sul patrimonio complessivo (mobiliare ed immobiliare) con una franchigia in grado di escludere i patrimoni di minore consistenza, e con aliquote basse, non superiori all’1%, riducendo contestualmente le imposte sui redditi.
f) Riformare le imposte di successione, prevendo l’esenzione dei piccoli patrimoni familiari (fino a un milione di euro) e aumentando le aliquote sugli altri, ma soprattutto fornendo consistenti incentivi alla distribuzione dei patrimoni trasmessi in eredità anche fuori della cerchia familiare. Nella base imponibile andrebbe incluso il valore di mercato delle partecipazioni in imprese non quotate.
g) Tassare i robot?: La questione è mal posta: non si tratta di tassare la tecnologia, ma di tener conto degli effetti che essa produce sulla distribuzione del reddito e sulla evoluzione delle economie e delle basi imponibili. La quota di valore aggiunto che va al lavoro si è ridotta negli ultimi 30 anni di oltre 10 punti percentuali; per mantenere il gettito e per non gravare troppo sui redditi da lavoro occorre spostare il prelievo su altre fonti di reddito. Ad esempio, i contributi sociali potrebbero essere sostituiti da un prelievo sull’intero valore aggiunto con effetti positivi per l’equità e per l’occupazione. In questo modo, il costo del lavoro si ridurrebbe drasticamente.
h) Introdurre green taxes (sulle emissioni inquinanti ed altro) che possono consentire una riduzione del prelievo contributivo sul lavoro, oltre che ridurre l’inquinamento che peggiora la qualità e la durata della vita, soprattutto dei più poveri.
Politiche del welfare e dell’istruzione
a) Andrebbe assicurato il sostegno alle famiglie mediante, da un lato, un sistema di assegni familiari tassabili, in modo da ridurre il beneficio al crescere dal reddito e, dall’altro lato, un serio investimento negli asili nido, strumento irrinunciabile ai fini delle pari opportunità oltre che della conciliazione fra cura e lavoro.
b) Va assicurato un facile accesso a cure sanitarie di qualità per tutti i cittadini, evitando di trasferire sui più deboli il costo degli aggiustamenti di bilancio, sia esso nella forma di compartecipazioni elevate alla spesa, di un incremento dei tempi di attesa e di un più complessivo peggioramento dell’assistenza. A tal fine, è cruciale lo sviluppo di una nuova cultura della valutazione in grado di contrastare le tendenze all’incremento apparentemente incontrollabile della spesa sanitaria, tipicamente chiamato in causa per giustificare i tagli. Le innovazioni tecnologiche, naturalmente, possono migliorare la qualità dell’assistenza. La definizione dell’innovatività è, però, oggi lasciata in misura preponderante alle imprese, e la definizione dei prezzi di acquisto è spesso esentata da processi concorrenziali. Occorre, dunque, promuovere la ricerca indipendente e la trasparenza democratica nella scelta delle priorità d’intervento. Occorre, altresì, investire tutte le risorse disponibili nel miglioramento dei servizi universalistici, anziché nei sussidi alle assicurazioni private. Le evidenze empiriche comparate sono, infatti, concordi nell’indicare la superiorità di un assetto universalistico prevalentemente pubblico nella capacità di garantire i migliori risultati saluti con spesa più contenuta. La salute, però, dipende anche dalle disuguaglianze di reddito, di istruzione e dalla precarietà del lavoro. Ridurre le disuguaglianze in questi ambiti, serve, dunque, a ridurre anche le disuguaglianze nella salute.
c) Va assicurato un reddito minimo dignitoso a tutti, sia attraverso le politiche ex ante di crescita inclusiva precedentemente richiamate, sia attraverso misure ex post, di redistribuzione. Centrale, in quest’ultima prospettiva, è uno schema di reddito minimo dignitoso, basato su forme eque di reciprocità. Troppo spesso, oggi, la tendenza, anche nei paesi che, a differenza dell’Italia, hanno un tale schema, è quello di richiedere comunque qualcosa in cambio, quasi come se le condizioni di povertà fossero sempre e comunque frutto di un’irresponsabilità individuale, da punire. Anche qualora disegnate al meglio, le politiche circoscritte ai poveri, si prestano tuttavia a diverse carenze (a buchi nella copertura, a “guerre fra i poveri” – fra i poveri che rientrano nel programma e quelli con risorse appena superiori alla soglia di povertà -, a divisioni fra “noi” e “loro”, a tensioni fra i rischi di dipendenza e richiesta di attivazioni che negano l’uguale cittadinanza). ll reddito minimo deve dunque avere una funzione residuale, di ultima istanza, per rimediare a quanto non assicurato dalla crescita inclusiva e dai trasferimenti (universali/quasi-universali) di sostegno al costo dei figli.
d) E’ necessario elevare e uniformare la qualità delle scuole e dell’Università. Attraverso i programmi e la qualità dei docenti il servizio reso dovrebbe essere elevato di qualità e risultare uniforme su tutto il territorio nazionale. Data la situazione di partenza si renderanno necessari investimenti differenziati. Può anche essere necessario prevedere programmi supplementari e mirati, soprattutto nella formazione precoce, per chi proviene da background più svantaggiati. La necessaria selettività deve riguardare i livelli di istruzione post laurea. L’educazione permanente lungo l’intero arco della vita dovrebbe diventare un obiettivo fondamentale dei Governi.