Del documento conclusivo della Conferenza ONU sul clima di Parigi si continuerà a parlare a lungo. Le linee essenziali sono state riassunte da Felicità Pubblica nell’articolo del 14 dicembre e nel successivo articolo di Milena Pennese del 15 dicembre .
Oggi vogliamo proporvi alcuni commenti “a caldo” che possano riassumere il mix di soddisfazione e di preoccupazione che caratterizza il post Parigi. A partire dall’entusiasmo del Ministro Galletti: «Questo è un accordo storico, che disegnerà il futuro del Pianeta. E noi in quel futuro ci siamo a pieno titolo: abbiamo la più alta produzione di energia rinnovabile, in campo ambientale abbiamo raggiunto risultati eccezionali come la riduzione delle emissioni di Co2. All’accordo di Parigi abbiamo portato un valore aggiunto, facendo passare il concetto degli 1,5 gradi: questo è un accordo di tutti e per tutti, l’Italia ne deve andare fiera».
Più articolate e prudenti le considerazioni delle associazioni ambientaliste. Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia, ha dichiarato: «La conferenza sul clima di Parigi non ha solo prodotto un accordo, ma ha lanciato un segnale che sprona la comunità globale verso una collaborazione su larga scala per affrontare il problema climatico. Parigi ha raccolto e rilanciato i segnali che arrivano da tutto il mondo: oltre 1000 città si sono impegnate a utilizzare il 100% di energia rinnovabile, in Africa è nato un progetto ambizioso per sviluppare le risorse di energia rinnovabile entro il 2020, l’India ha lanciato l’International Solar Alliance, che comprende più di 100 paesi e mira ad affrontare allo stesso tempo l’accesso all’energia e il cambiamento climatico. Occorre sviluppare proprio questo tipo di iniziative, ognuno nel proprio Paese e in collaborazione tra i Paesi, per far decollare l’accordo di Parigi. Abbiamo bisogno anche di porci obiettivi ambiziosi e strategie per attuarli: da domani, insieme a tutta la società civile, chiederemo una vera strategia per il clima per l’Italia, in tutti i settori».
Dello stesso tenore le dichiarazioni di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia: «L’accordo di Parigi rappresenta un’importante pietra miliare. Abbiamo fatto progressi, ma il lavoro non è ancora ultimato. Una volta a casa dovremo lavorare per rafforzare le azioni a livello nazionale sollecitate da questo accordo. Abbiamo bisogno di garantire che nuove iniziative vengano messe in atto dai governi, dalle città, dalle aziende e dai cittadini, in collaborazione tra loro, perché il taglio delle emissioni sia ancora più radicale, per sostenere la transizione energetica nelle economie in via di sviluppo e per proteggere i più poveri e vulnerabili. Le nazioni devono quindi tornare il prossimo anno con un obiettivo: aumentare e rafforzare rapidamente gli impegni presi oggi. Stiamo vivendo un momento storico», continua Midulla. «Stiamo assistendo all’inizio di una transizione globale verso l’energia rinnovabile. Allo stesso tempo, però, stiamo già subendo gli impatti drammatici del cambiamento climatico in atto. Da Parigi arriva un forte segnale per tutti: l’era del combustibile fossile si sta chiudendo».
«Finalmente è stato raggiunto il nuovo accordo globale sul clima», ha affermato Mauro Albrizio, direttore ufficio europeo Legambiente. «Un accordo che pone le fondamenta per affrontare sul serio la crisi climatica che affligge il pianeta. Oggi a Parigi si è intrapresa una direzione di marcia irreversibile verso un futuro libero da fossili. Nell’accordo i governi si pongono come obiettivo di lungo termine di contenere il surriscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1.5 gradi, in modo da ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici già in corso sulle comunità vulnerabili dei paesi poveri. Obiettivo questo che – come ha ribadito il mondo scientifico in questi giorni a Parigi – implica zero emissioni al 2050».
«Questo accordo è frutto soprattutto della grande mobilitazione della società civile globale», ha proseguito Albrizio. «Tuttavia non va dimenticato che si tratta di una strada in salita. Il pragmatismo politico dei governi ha impedito di prendere qui a Parigi tutte quelle scelte ambiziose e forti che la crisi climatica impone. Rimangono gli impegni inadeguati annunciati alla vigilia di Parigi, che non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2°C. E ancor meno rispetto al limite di 1.5°C. Soprattutto se si tiene presente che i mutamenti climatici in corso hanno già determinato un aumento della temperatura media globale di 1°C. Secondo le prime valutazioni questi impegni, se rigorosamente attuati, sono sufficienti a ridurre di circa un grado il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2.7- 3°C».
Un punto di vista diverso è stato raccolto da Gaia Puliero per Nigrizia, la rivista dei padri comboniani. Uno sguardo dalle “periferie” del mondo dove si alternano giudizi diversi. I delegati africani a Parigi guardano con favore all’accordo e, in particolare, all’impegno francese di investire 6 miliardi in Africa per contenere l’aumento delle temperature. Molto più preoccupati i commenti della delegazione del Nicaragua. Infatti la riduzione delle emissioni previste volontariamente da 186 Paesi dovrebbe determinare una produzione di 55 gigatonnellate di CO2 nel 2030, contro le 40 necessarie per rimanere sotto la soglia dei 2 gradi. «Questi contributi ci allineano su una prospettiva di 3 gradi, per il Nicaragua significa un surriscaldamento di 4 o 5: non è possibile vivere a queste condizioni», ha dichiarato il capofila Paul Oquist Kelley. «Inoltre mancano impegni concreti per la compensazione economica di perdite e danni del Sud da parte degli stati membri sviluppati, e precise indicazioni sull’impiego dei 100 miliardi l’anno loro destinati».
«Senza cifre quest’accordo non ha valore» ha affermato Thoriq Ibrahim quale rappresentate dell’Equatore e di un gruppo di piccoli stati insulari minacciati dall’innalzamento delle acque. «Dobbiamo ridurre le emissioni dell’80% entro il 2050».
In conclusione, da molte parti si ritiene che, al momento, «abbiamo un testo, ma 196 letture e applicazioni» e, in questo modo, «i contributi impegneranno solo chi ci vorrà credere».