In occasione della Giornata mondiale contro la corruzione è doveroso riflettere non solo sui danni che essa determina in seno a una qualsiasi società, ma anche fornire qualche dato per capire come il fenomeno abbia raggiunto entità e proporzioni allarmanti.
Il rapporto del Fondo monetario internazionale, stilato nel maggio del 2015, mette in luce un fatto emblematico: facendo la somma di tutte le tangenti pagate nel mondo ogni anno, ci troviamo di fonte a una cifra compresa tra 1.500 e 2.000 miliardi di dollari. Il che corrisponde a circa il 2% del pil globale. In modo particolare sono proprio le tangenti a ostacolare la crescita che ci si augura per ogni Paese, minando alla base la fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini con uno Stato che, privo di entrate fiscali, diventa debole. La conseguenza logica è l’aumento dei costi degli investimenti, siano essi pubblici o privati.
La domanda spontanea è se le persone, nel mondo, abbiano la percezione corretta di quale fardello insostenibile rappresenti la corruzione. A questo quesito ha provato a rispondere Transparency International con uno strumento ideato per sondare cosa pensano i cittadini, è il barometro globale di percezione della corruzione (Gcb). L’ultima analisi ha preso in considerazione un campione di circa 60.000 persone in 42 Paesi tra Europa e Asia Centrale. Ebbene, 1 cittadino su 3 pensa che la corruzione sia il problema più grande del proprio Paese; se agli stessi cittadini si chiede qualcosa in merito alle misure di contrasto messe in atto dal proprio Governo, più di 1 su 2 le trova inadeguate e le boccia.
Se ci riferiamo alla sanità pubblica, scopriamo che 1 famiglia su 10, in Europa, ha pagato almeno una tangente per potersi curare. Sono dati, questi, che spiegano come la corruzione sia divenuta, nel tempo, parte integrante dei modi di vivere, determinando problematiche per tutti. Se eliminarla in un sol colpo sarebbe alquanto utopistico, è però indubbio che qualcosa si possa fare. Esistono degli strumenti operativi, ad esempio, molto utili. Uno di questi si chiama whistleblower e non è altro che una persona, un dipendente, che ha il compito di segnalare qualsiasi tipo di comportamento irregolare all’interno dell’organizzazione in cui lavora. Risulta piuttosto chiaro come il lavoro di questa figura sia funzionale solo se il whistleblower viene messo nelle condizioni di non subire ritorsioni, minacce e altri comportamenti simili.
Cercando di rispondere anche a questo tipo di problema, Transparency International Italia, propone di garantire l’anonimato di chi emette la segnalazione. Purtroppo le leggi intorno a questo tipo di figura professionale in Italia, sono ferme. All’inizio dello scorso anno la Camera aveva approvato la proposta di legge per ampliare la disciplina prevista dalle Legge Severino, introducendo sanzioni per chiunque faccia mobbing, licenzi o preveda trasferimenti per il dipendente che denunci un’irregolarità. Tuttavia da allora la legge è rimasta in Senato, ferma per mesi. Ne consegue che oltre a mancare un quadro normativo chiaro, in Italia, risultino assenti ogni stimolo, incentivo e garanzia per coloro che scelgono di vivere in maniera onesta.