29 agosto 1991 – È la data della tragica uccisione di Libero Grassi ad opera della mafia siciliana. Non è un magistrato, non è un politico, non appartiene alle forze dell’ordine, non è un giornalista. È titolare de “La Sigma”, un’azienda che produce biancheria intima. Lui stesso si definisce “un mercante” e nient’altro. È molto bravo nel suo lavoro, la sua è un’impresa florida con i bilanci in regola e in attivo e forse è proprio questo ad attirare gli interessi della malavita organizzata, ingorda di soldi facili e con l’intenzione di tenere sotto scacco Palermo e le sue zone limitrofe.
Non tarda infatti ad arrivare la richiesta del “pizzo”. Libero Grassi non solo non ci sta e non paga nulla alla mafia, ma reagisce. Denuncia la situazione alle forze dell’ordine, scrive lettere e rilascia interviste, compare in televisione e, in una storica puntata di “Samarcanda” allora condotta dal giornalista Michele Santoro dice: «Io non sono pazzo a denunciare, io non pago perché non voglio dividere le mie scelte con i mafiosi, perché io ho fatto semplicemente il mio mestiere di mercante». Siamo nel 1991, in una Sicilia dominata dall’omertà di tanti e dal coraggio di pochi, e Libero Grassi è più solo che altro. Ma ha coraggio, è determinato. Nello stesso anno, prima dell’intervista rilasciata a Santoro, scrive una lettera al Giornale di Sicilia. Il destinatario è “il suo caro estorsore”. Vogliamo riportarvela: «Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui».
A queste provocazioni Cosa Nostra reagisce come è nel suo stile: ammazza Libero Grassi con la solita vigliaccheria. I boss Totò Riina e Bernardo Provenzano commissionano l’esecuzione a Salvatore Madonia, il quale attende l’imprenditore sotto casa, in via Alfieri, a Palermo dove gli spara alle spalle. Muore un uomo e muore anche un simbolo di legalità.