È veramente difficile farsi un’idea precisa, senza pregiudizi, su cosa stia avvenendo in Turchia. Le notizie sono ovviamente parziali e frammentarie ma, soprattutto, le chiavi di lettura di cui dispone l’opinione pubblica sembrano inadeguate. E così spesso abbiamo la sensazione che qualche importante elemento sfugga alla nostra comprensione. Tre cose, tuttavia, sembrano chiare.
1. Il presidente Erdogan è stato democraticamente eletto, ottenendo un largo consenso da parte del suo popolo. Messo questo punto fermo potremmo a lungo discutere sulla composizione del suo elettorato (più ampio nelle campagne arretrate che nelle metropoli occidentalizzate) o sulle sue tendenze “autoritarie” che lo portano a costruire una forma esasperata di presidenzialismo. Ma, in ogni caso, la Turchia al momento va considerata una grande democrazia di confine tra Occidente e Oriente.
2. I colpi di stato militari rappresentano sempre un vulnus, un arretramento rispetto a qualsiasi forma di democrazia, imperfetta che sia. La sostanza non cambia se i golpisti sono “laici” e “filo-occidentali”. L’Egitto insegna. Il caso Regeni deve farci riflettere in tal senso.
3. La “qualità” di una democrazia è messa alla prova nelle emergenze. È innegabile che a un tentato golpe si debba rispondere con energia e decisione. Altra cosa è cogliere l’occasione per un regolamento di conti; altra cosa è fare liste di proscrizione, incarcerare migliaia di persone, ritirare passaporti, epurare giornalisti, magistrati, rettori, insegnanti. Tutti golpisti? Difficile crederlo, anche perché prima del tentato golpe Erdogan non brillava certo nel rispetto della libertà di informazione e nella tutela delle minoranze, politiche ed etniche.Allora? Abbiamo pochi elementi per comprendere a fondo le dinamiche interne di quel grande Paese così come per ricostruire un quadro chiaro di cosa stia avvenendo nello scacchiere internazionale. Certamente le forze in campo – all’interno della Turchia, tra i Paesi dell’area e, più in generale, nella comunità internazionale – si stanno riposizionando. In attesa di avere idee più chiare conviene attenersi a pochi princìpi certi.
Come al solito ci aiuta Amnesty International, un’organizzazione che, per nostra fortuna, non fa sconti a nessuno e si impegna a guardare esclusivamente i fatti. Per questo vi proponiamo la lettura di due recenti comunicati dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani.
Ma l’imbarazzo resta profondo. Dobbiamo definitivamente rinunciare all’idea di una Turchia democratica, laica, europea? Si va facendo strada una Turchia islamista basata su un sistema plebiscitario, principalmente interessata a giocare un ruolo da protagonista nel mondo mussulmano? E in questo caso avrà ancora senso parlare di democrazia e diritti umani?
21 luglio 2016 – Turchia: lo stato di emergenza non deve far arretrare i diritti umani
A seguito di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale e del governo turco nella serata di mercoledì, il presidente Erdogan ha annunciato che il governo imporrà uno stato di emergenza per almeno tre mesi.
“Sulla scia della violenza relativa al tentato colpo di stato, l’adozione di misure che danno priorità alla sicurezza pubblica è comprensibile. Ma le misure di emergenza devono rispettare gli obblighi della Turchia secondo il diritto internazionale, non gettare via libertà e tutele sui diritti umani ottenute con difficoltà, e non devono diventare permanenti” – ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.
“In una situazione in cui quasi 10.000 persone sono attualmente in stato di detenzione, tra denunce di maltrattamenti in custodia, ministeri e media che vengono epurati, i maggiori poteri conferiti dallo stato di emergenza potrebbero aprire la strada a un ulteriore arretramento dei diritti umani”.
Presagio agghiacciante di ciò che avverrà, il vice primo ministro ha annunciato oggi che per tutta la durata dello stato di emergenza il governo sospenderà la Convenzione europea dei diritti umani. Lo stato di emergenza consente al presidente del Consiglio insieme al suo governo il potere di governare per decreto e ignorare il parlamento.
Amnesty International teme che il gesto potrebbe essere usato come pretesto per le autorità di estendere il periodo di custodia cautelare, che si attesta attualmente a quattro giorni. Nelle circostanze attuali una tale estensione potrebbe ulteriormente indebolire le protezioni contro i maltrattamenti, nonché il diritto a un processo equo.
Misure di emergenza potrebbero anche essere utilizzate per imporre restrizioni arbitrarie alla libertà di espressione e alla libertà di riunione pacifica e per negare il diritto degli impiegati statali di ricorrere in appello contro loro sospensioni e licenziamenti.
Secondo il diritto internazionale, le misure di emergenza devono essere necessarie e proporzionate in portata e durata e usate esclusivamente per contrastare massicce minacce alla sicurezza della nazione. Devono essere attentamente monitorate, temporanee e impiegate con giudizio cioè, solo, quando assolutamente necessario.
“È fondamentale che il governo turco non utilizzi lo stato di emergenza come pretesto per un giro di vite ancora più forte sul dissenso pacifico. Anche in tempi di emergenza, la Costituzione turca garantisce che i suoi obblighi in materia di diritto internazionale non devono essere violati” – ha aggiunto Andrew Gardner.
“Secondo il diritto internazionale, ci sono alcuni diritti, come il diritto a un processo equo e i divieti di tortura e discriminazione, che non possono essere sospesi o limitati in alcun modo. Il governo ha abusato delle leggi esistenti, lo stato di emergenza dà maggiori possibilità di continuare su questa strada pericolosa”.
20 luglio 2016 – Turchia, Amnesty International: ora a rischio è la libertà d’espressione
Amnesty International ha espresso il timore che il massiccio giro di vite ordinato dalle autorità turche dopo il fallito colpo di stato si estenda fino a censurare gli organi d’informazione e i giornalisti, soprattutto coloro che esprimono critiche rispetto alle politiche del governo.
“Stiamo assistendo a una repressione di proporzioni eccezionali. Mentre è comprensibile e legittimo che il governo voglia porre sotto inchiesta e punire i responsabili del sanguinoso tentativo di colpo di stato, è doveroso che le autorità rispettino lo stato di diritto e proteggano la libertà d’espressione” – ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.
“In una situazione in cui quasi 10.000 persone sono attualmente in stato di detenzione, tra denunce di maltrattamenti in custodia, ministeri e media che vengono epurati, i maggiori poteri conferiti dallo stato di emergenza potrebbero aprire la strada a un ulteriore arretramento dei diritti umani”.
Presagio agghiacciante di ciò che avverrà, il vice primo ministro ha annunciato oggi che per tutta la durata dello stato di emergenza il governo sospenderà la Convenzione europea dei diritti umani. Lo stato di emergenza consente al presidente del Consiglio insieme al suo governo il potere di governare per decreto e ignorare il parlamento.
Amnesty International teme che il gesto potrebbe essere usato come pretesto per le autorità di estendere il periodo di custodia cautelare, che si attesta attualmente a quattro giorni. Nelle circostanze attuali una tale estensione potrebbe ulteriormente indebolire le protezioni contro i maltrattamenti, nonché il diritto a un processo equo.
Misure di emergenza potrebbero anche essere utilizzate per imporre restrizioni arbitrarie alla libertà di espressione e alla libertà di riunione pacifica e per negare il diritto degli impiegati statali di ricorrere in appello contro loro sospensioni e licenziamenti.
Secondo il diritto internazionale, le misure di emergenza devono essere necessarie e proporzionate in portata e durata e usate esclusivamente per contrastare massicce minacce alla sicurezza della nazione. Devono essere attentamente monitorate, temporanee e impiegate con giudizio cioè, solo, quando assolutamente necessario.
“È fondamentale che il governo turco non utilizzi lo stato di emergenza come pretesto per un giro di vite ancora più forte sul dissenso pacifico. Anche in tempi di emergenza, la Costituzione turca garantisce che i suoi obblighi in materia di diritto internazionale non devono essere violati” – ha aggiunto Andrew Gardner.
“Secondo il diritto internazionale, ci sono alcuni diritti, come il diritto a un processo equo e i divieti di tortura e discriminazione, che non possono essere sospesi o limitati in alcun modo. Il governo ha abusato delle leggi esistenti, lo stato di emergenza dà maggiori possibilità di continuare su questa strada pericolosa”.
20 luglio 2016 – Turchia, Amnesty International: ora a rischio è la libertà d’espressione
Amnesty International ha espresso il timore che il massiccio giro di vite ordinato dalle autorità turche dopo il fallito colpo di stato si estenda fino a censurare gli organi d’informazione e i giornalisti, soprattutto coloro che esprimono critiche rispetto alle politiche del governo.
“Stiamo assistendo a una repressione di proporzioni eccezionali. Mentre è comprensibile e legittimo che il governo voglia porre sotto inchiesta e punire i responsabili del sanguinoso tentativo di colpo di stato, è doveroso che le autorità rispettino lo stato di diritto e proteggano la libertà d’espressione” – ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.
“La popolazione si sta ancora riprendendo dai tragici avvenimenti del fine-settimana ed è fondamentale che la libertà di stampa e la circolazione senza ostacoli delle informazioni siano protette, anziché soppresse” – ha sottolineato Gardner.
Amnesty International ha appreso che, nei giorni successivi al fallito colpo di stato, le autorità hanno arbitrariamente bloccato oltre 20 siti web d’informazione. Il 19 luglio il governo ha revocato la licenza a 25 organi di stampa. Inoltre, a 34 giornalisti è stato ritirato l’accredito-stampa ed è stato emesso un mandato d’arresto per una giornalista che aveva seguito gli sviluppi del tentato colpo di stato.
Amnesty International chiede alle autorità turche di rispettare i diritti umani e di non restringere arbitrariamente la libertà d’espressione.