Uno studio recente, pubblicato sulla rivista scientifica Genetics in Medicine, ha esaminato la popolazione affetta da sindrome di Down e ha confermato, come già si sospettava, che l’aspettativa di vita è migliorata. In Italia è maggiore che negli Stati Uniti, 62 anni contro i 58. Determinante è stato il progresso delle cure mediche somministrate e un generale miglioramento della qualità della vita.
I dati presi in esame dallo studio mostrano però come nel tempo sia cresciuta l’incidenza di questa patologia che, come sappiamo, è causata dall’alterazione del cromosoma 21. Proprio in virtù di un numero sempre maggiore di persone nate con la sindrome di Down è dunque necessario programmare e stabilire interventi in grado di assicurare una buona qualità della vita. Se nel 1950 questi erano 50.000, nel 2010 sono saliti a 206.000. Nel 2008 la sindrome di Down veniva definita una condizione quasi “rara” ma oggi, visto il generale aumento dell’aspettativa di vita, sono naturalmente di più le persone con questa sindrome.
A oggi, il rapporto d’incidenza sulla popolazione è di 6,7 su 10.000 individui.
Purtroppo, durante il corso degli anni ’50, come lo studio fa notare, solo il 27% dei Down superava i 20 anni di vita e, addirittura, un modesto 4% arrivava ai 40. Dati che cambiano in maniera brusca prendendo in esame l’anno 2010: il 57% della popolazione Down aveva già superato i 20 anni mentre il 28% ne aveva compiuti 40. I ricercatori fanno notare come sul miglioramento di questi dati molto abbia pesato la chirurgia cardiaca (sono molte le persone affette da Trisomia 21 ad avere problemi al cuore) che ha affinato le sue tecniche, così come anche le cure contro la leucemia e le malattie tiroidee.
Ulteriore aspetto determinante che ha inciso sull’aumento dell’aspettativa e della qualità della vita è la possibilità attuale di intervenire preventivamente allo scopo di ridurre o eliminare i difetti cardiaci, a causa dei quali, invece, in passato spesso si moriva.