Quando un politico, un personaggio pubblico, un giornalista – discorso che non si applica al momento agli scrittori perché in Italia si legge incredibilmente poco – pronunciano termini improvvisati, simpatici anche a sentirsi e tuttavia mai sentiti perché di fatto non esistono, stanno, e spesso a loro insaputa, innescando un processo che potrebbe culminare con l’inserimento nel dizionario della lingua italiana di neologismi.
Neologismi che però, per approdare sul “grande tomo”, devono essere ripetuti spesso da una grossa fetta della popolazione, come insegna l’Accademia della Crusca. In questo modo diventano di uso comune e – piaccia o non piaccia – arricchiscono la nostra lingua. Il noto dizionario di italiano Devoto Oli ha festeggiato i suoi 50 anni inserendo ben 1.500 neologismi tratti dall’attualità, dal linguaggio dei social network, dall’economia e dagli ambiti più disparati.
Ma quali parole hanno superato un esame tanto severo? Elencarle tutte sarebbe impossibile, ma chi fra voi si doterà del nuovo vocabolario incapperà senza ombra di dubbio in termini come Brexit (fusione di Britain e exit) ormai di uso comune e a voler sottolineare questa Europa che cambia. Così come troverà hashtag, scelta peraltro felice dal momento che tutti lo usano, l’hashtag, ma pochi sanno in concreto spiegarne il significato.
Fake news è l’altro immancabile debutto, proveniente dagli ambienti social e non solo e tuttavia sostituibile con notizia falsa o “bufala”. C’è anche schiscetta, termine che arriva dal dialetto milanese e indica il portavivande e il pranzo del lavoratore da consumare durante la pausa di metà giornata.
Su post-verità occorrerebbe un intero trattato, ma basti ricordare che arriva dall’inglese post-truth e sta a significare in linea di massima il modo in cui l’emotività è capace di deviare l’informazione pubblica, più dei fatti reali in sé. Un lemma che si è comunque aggiudicato la corona nel 2016 come il migliore dell’anno – dunque molto apprezzato – fra le pagine dell’Oxford Dictionaries.
Inserita anche la parola webete coniata dal direttore del TG LA7 Enrico Mentana, chiara fusione di web ed ebete per indicare quando qualcuno scrive qualcosa di estremamente stupido online. Un neologismo entrato quasi subito nel cuore di tanti anche per la sua simpatia.
E ciaone? C’è e arriva dalla politica. Innocentemente nato da un tweet sul mancato quorum alla consultazione dell’aprile del 2016, ha poi spopolato tra i giovani. E su questo punto è doveroso spiegare che non si tratta di un saluto ma di un commento velato di sarcasmo e disappunto.