Dal 2018, attraverso il regolamento europeo 2283/2015 sui nuovi alimenti (o novel food), partirà il commercio di insetti commestibili anche in Italia. Molti a questo punto avranno già provato un moto di disgusto, tuttavia è doveroso spiegare che questo tipo di decisione rientra in un preciso piano di sviluppo sostenibile che una squadra di sociologi dell’università Iulm ha poi deciso di indagare rivolgendo domande dirette agli italiani.
Cominciamo col dire che mangiare insetti commestibili è una pratica sostenibile. Parliamo di animali a sangue freddo con una buona efficienza di conversione nutrizionale, vale a dire l’indice che determina la quantità di mangime necessario per produrre un incremento di peso di un chilogrammo nell’animale. Da questo punto di vista, se per un bovino è necessario raggiungere gli 8 chili, per gli insetti ne servono 2. Ma, cosa più importante, questi ultimi non competono con gli esseri umani nel processo della catena alimentare perché si nutrono di materie per noi non commestibili, come scarti alimentari o liquami prodotti da altre specie.
Chiaramente, se si è deciso di cominciare a considerare l’ipotesi di inserire gli insetti tra gli alimenti commestibili è perché il Centro per lo sviluppo sostenibile, relativamente ai termini di consumo di risorse per la produzione di carne per l’alimentazione umana, ha dimostrato con larga evidenza come l’allevamento di animali da carne sfori i criteri di sostenibilità, generando una produzione di gas serra pari al 18% delle emissioni globali prodotte dalle attività umane. In tal senso gli insetti potrebbero costituire un’alternativa praticabile. Come molti sapranno, nel resto del mondo sono molti i popoli che li mangiano e al momento sono quasi 2.000 quelli commestibili conosciuti e se teniamo conto dell’obiettivo che si sono date le Nazioni Unite, con il programma Fame Zero che vorrebbe salvare circa 800 milioni di individui dalla precaria alimentazione di cui sono vittime, questa potrebbe essere una delle soluzioni più ecologiche.
Ma, come accennavamo all’inizio, come hanno reagito gli italiani rispetto al nuovo regolamento europeo? Sorprendentemente, non male, secondo le indagini della Iulm. L’atteggiamento è positivo perché, di fatto, più del 47% degli intervistati è favorevole all’introduzione degli insetti ad uso alimentare e il 28% si dice disposto a provare. Il 5% ammette onestamente di essere disposto a mangiarli, a patto di non vederli. Quest’ultimo campione evidenzia in maniera efficace un tratto distintivo delle società occidentali: si tratta più di un fattore culturale che di altro. La realtà delle cose, però, è che noi di insetti ne mangiamo eccome, ma non lo sappiamo. Sono presenti in diversi coloranti così come sono contenuti in alimenti che consumiamo abitualmente. Si tratta di un consumo inconsapevole che per ogni persona si aggira più o meno intorno ai circa 500 grammi annui, così come fa sapere il gruppo di ricercatori.
Più nel dettaglio, e forse è una sorpresa, sono i giovani quelli più predisposti alla novità e in particolare gli uomini. Gli chef stellati ne hanno già sperimentato l’utilizzo nei loro piatti e al momento sono la formica, il grillo e l’ape a incontrare più favori dal punto di vista alimentare. Mosche, zanzare e scarafaggi, invece, generano repulsione.
La sostanza del discorso è questa: abbiamo, nel mondo, un evidente problema di cibo, aggravato negli anni da allevamenti intensivi, agricolture insostenibili, siccità e guerre. Gli alimenti scarseggiano e la popolazione aumenta. Secondo le più autorevoli fonti, non riusciremo a coprire il fabbisogno alimentare di tutta la popolazione mondiale, per cui in tanti rischieranno di perire. Nessuna idea, neanche quella di nutrirsi di insetti commestibili, per quanto a qualcuno possa risultare disgustosa, può forse essere esclusa aprioristicamente di fronte a un problema decisamente più grave.