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Dislessia: la ricerca fa un passo avanti

Continua la ricerca sulla dislessia: una recente sperimentazione ha prodotto ottimi risultati con relativa pubblicazione (in lingua inglese) sulla rivista scientifica Restorative, Neurology and Neuroscience.

Ricordiamo che quando parliamo di dislessia ci riferiamo a un disturbo di tipo multifattoriale, la cui causa può essere genetica, biologica o ambientale. Chi ne è affetto mostra evidenti difficoltà nella lettura, con importanti condizionamenti sociali; all’interno delle aree del cervello del soggetto dislessico esiste una zona ipoattiva, in pratica dal funzionamento alterato.

Ora, la sperimentazione condotta dai ricercatori di neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha messo in evidenza come attraverso una stimolazione cerebrale non invasiva sia possibile migliorare la capacità di lettura dei bambini dislessici. In concreto si tratta di una piccola scossa elettrica sulle aree del cervello ipoattive in grado di stimolare i neuroni più ricettivi.

Questo, secondo i ricercatori, porta a un miglioramento della lettura e interviene positivamente anche nei bambini affetti da discalculia (difficoltà a fare calcoli). All’atto pratico il riscontro è stato positivo: gli studiosi si sono serviti di una tecnica chiamata “stimolazione transcranica a corrente diretta”, non invasiva, in seguito alla quale i 19 tra bambini e adolescenti parte dell’esperimento hanno migliorato del 60% la velocità di lettura.

Per risultati più attendibili, gli scienziati hanno pensato di dividere i ragazzi in due gruppi: uno di questi è stato sottoposto al trattamento vero e proprio, l’altro a un procedimento placebo. Questi ultimi non hanno riportato miglioramenti.

Le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori sono che probabilmente in alcuni soggetti dislessici esistono aree della corteccia cerebrale con una bassa connettività neuronale, anche a riposo. Sull’argomento, ha spiegato Giacomo Stella, fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia (AID) e professore ordinario di Psicologia Clinica all’Università di Modena e Reggio Emilia: «E’ come se avessero un motore mal carburato che gira male al minimo e non risponde con la dovuta prontezza alle sollecitazioni quando c’è bisogno di accelerare, in questo caso alla richiesta di attività posta dalla lettura».

Stando dunque agli studi e ai conseguenti esperimenti la micro-stimolazione avrebbe un effetto positivo direttamente sul meccanismo non funzionante. I ricercatori italiani credono che la stimolazione celebrale non invasiva sia una tecnica valida e sicura che, affiancata a un percorso di logopedia, possa essere in grado di portare a risultati migliori e più veloci rispetto a quelli della terapia tradizionale.

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Redazione