Nel mondo una donna o un bambino su tre vive a rischio esclusione. Un dato odioso e allarmante quello fotografato dalla terza edizione del WeWorld Index, lo strumento nato nel 2015 per misurare l’inclusione di bambine, bambini, adolescenti e donne nel mondo. Si tratta di un indice innovativo rispetto ad altri rapporti perché incrocia i dati di 170 Paesi sulla base di 34 indicatori e con l’ausilio di 21 esperti convinti che il progresso di un Paese deve essere misurato non solo attraverso indicatori economici, ma analizzando tutte le dimensioni del sociale: sanitaria, educativa, lavorativa, culturale, politica, informativa, di sicurezza, ambientale.
Ottimo l’approccio metodologico, dunque, ma pessimi i dati che evidenziano, per il periodo 2016/2017, come il 38% dei bambini e delle donne del mondo vive in Paesi in cui vi sono forme gravi o gravissime di esclusione. Al contrario si ferma ad appena il 5% il dato delle donne e della popolazione under 18 che vive in Paesi dove la loro inclusione è buona.
Il rapporto, presentato a Roma al senato dal presidente di WeWorld, Marco Chiesara e da Sandra Zampa, vice presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, denuncia il fatto che non si interviene subito, entro il 2030, con il ritmo attuale, donne e bambini esclusi in forma grave e gravissima aumenteranno di 286 milioni, rispetto al miliardo e 800 mila euro attuali (la popolazione dell’intera Europa occidentale, tanto per dare un metro di riferimento).
Non stupisce come in tema di inclusione siano i Paesi del Nord Europa a primeggiare, con in testa la Norvegia, mentre a chiudere tristemente la classifica c’è la Repubblica Centrafricana, che dimostra nuovamente come nei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana permangano forme gravissime di esclusione.
Quanto al nostro Paese, l’Italia è stabile al 21° posto in classifica, sufficiente a livello globale, ma si attesta, tra i Paesi fondatori dell’Unione Europea, come il meno inclusivo per donne e bambini/e.
Ma quali sono le cause di questa esclusione? Senza dubbio i conflitti interni ai singoli Paesi, il terrorismo presente in alcuni, i regimi autoritari o comunque non democratici, che automaticamente trascinano ai margini della società i soggetti più vulnerabili. I bambini e le bambine vengono privati della possibilità di studiare, in alcuni casi sono costretti a fuggire dai propri Paesi d’origine perdendo i legami sociali, gli affetti, la casa. E anche nei Paesi in cui non ci sono conflitti, la crescita economica non ha ancora prodotto effetti positivi di ridistribuzione del reddito.
Un’ultima analisi va fatta sui Paesi europei che, seppur in buona posizione rispetto ad altri luoghi del mondo, tendono a dividersi tra Nord e Sud, e ancora tra Est e Ovest, soprattutto in tema di parità di genere. Se ai primi posti della classifica troviamo Norvegia, Islanda, Svezia, Finlandia e Lussemburgo, dove l’inclusione di bambine e bambini va di pari passo con l’inclusione delle donne, nei paesi dell’Europa Occidentale ed ancor di più in quelli dell’Europa Orientale questo non accade. In diversi paesi (come Francia, Spagna, Italia, ma anche Germania) non migliora l’inclusione delle donne, mentre addirittura peggiora quella di bambine, bambini e adolescenti.