«Nel Sud Sudan è in corso una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi tempi: sono quasi un milione gli sfollati nella regione di Equatoria, mentre continuano impunite le uccisioni di civili e le violenze su donne e bambine». E’ questo il grido d’allarme lanciato da Amnesty International in merito alla grave situazione che da tempo ormai attanaglia lo Stato africano. Anche noi di Felicità Pubblica avevamo acceso, nel nostro piccolo, i riflettori su questo dramma proponendo a voi lettori un’intervista al padre comboniano che opera in loco Daniele Moschetti (leggi l’articolo).
Ora l’associazione umanitaria torna sul tema per cercare di sensibilizzare ulteriormente governi e opinione pubblica sul Sud Sudan attraverso la pubblicazione di un rapporto dal titolo “If men are caught, they are killed, if women are caught, they are raped” (Se gli uomini sono catturati, vengono uccisi, se le donne vengono catture, vengono stuprate) che esprime tutta l’atrocità vissuta dalla popolazione del Paese.
Di seguito vi riportiamo quanto ricordato da Amnesty International in merito al problema del Paese.
Il Sud Sudan è il più giovane stato al mondo: dopo decenni di conflitti, negoziati e un referendum di secessione dal Sudan ha raggiunto l’indipendenza il 9 luglio del 2011. I festeggiamenti per la “liberazione” e l’indipendenza sono durati pochissimo. Nel 2013 è esploso un conflitto armato che ha avuto un impatto devastante su milioni di civili.
Nella guerra civile in corso sono impegnate le forze dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan fedeli al presidente Salva Kiir e quelle legate all’allora vicepresidente Riek Machar, accusate di aver organizzato un colpo di stato a fine 2013 nella capitale Juba.
Una nostra missione ha visitato il Sud Sudan a giugno, documentando come le forze governative e di opposizione abbiano commesso crimini di diritto internazionale, compresi crimini di guerra, contro la popolazione civile.
Risparmiata per quasi tre anni, anche Equatoria, nella parte meridionale del Sud Sudan, è diventata terreno di scontro e atrocità. Intorno alla metà del 2016 sia le forze governative sia quelle di opposizione si sono dirette verso Yei, un centro strategico di 300.000 abitanti 150 chilometri a sud-ovest della capitale Giuba, lungo un’importante arteria commerciale verso l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo.
Numerosi testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei hanno raccontato ai nostri ricercatori come le forze governative e le milizie loro alleate abbiano deliberatamente e brutalmente ucciso numerosi civili.
Con l’intensificazione dei combattimenti, il numero dei rapimenti e degli stupri di donne e bambine è cresciuto vertiginosamente.
Le donne rischiano di essere stuprate soprattutto quando, a causa della scarsità del cibo e dei continui saccheggi, vanno a cercare qualcosa da mangiare nei campi intorno ai villaggi.
L’accesso della popolazione civile al cibo è estremamente limitato. Sia il governo che i gruppi di opposizione hanno bloccato le forniture in determinate zone, si dedicano a saccheggiare i mercati e le abitazioni private e prendono di mira chi prova a passare lungo la linea del fronte anche con una minima quantità di cibo. Ognuna delle parti accusa i civili di passare cibo a quella avversa o di essere sfamata da questa.
A Yei, dove la maggior parte degli abitanti è fuggita nel corso dell’ultimo anno, i pochi civili rimasti sono praticamente sotto assedio. Non potendo più andare in cerca di cibo nei campi, soffrono per la grave penuria di prodotti alimentari.
Il 22 giugno le Nazioni Unite hanno ammonito che l’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan.
«È crudelmente tragico che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza», ha commentato in una nota ufficiale Joanne Mariner, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi.
«Tutte le parti in conflitto devono riprendere il controllo dei loro combattenti e cessare immediatamente gli attacchi contro i civili che sono protetti dalle leggi di guerra. I responsabili delle atrocità, in qualsiasi parte militino, devono essere sottoposti alla giustizia. Nel frattempo è fondamentale che i peacekeeper delle Nazioni Unite eseguano il loro mandato che è quello di proteggere i civili dalla carneficina in corso».
Ognuno di noi può contribuire alla causa del Sud Sudan e della sua popolazione diffondendo il più possibile le notizie che arrivano dal Paese, anche scaricando il report di Amnesty International. Noi, sempre nel nostro piccolo, lo stiamo già facendo.