di Francesco Lo Piccolo.
La vicenda Dalema-Repubblica, le affermazioni “pur di cacciare Renzi sono pronto a votare anche Raggi”, affermazioni subito smentite dall’interessato ma confermate dal giornale, rivelano ancora una volta la brutta china del nostro giornalismo. L’ennesima dimostrazione che sempre più il giornalismo è pettegolezzo, sguardi dal buco della serratura, casi e retroscena per fare polemiche. Non mi ci riconosco in alcun modo e quasi ho vergogna a dire che sono un giornalista. Ben altro è stato il mio lavoro quando ho cominciato su una bellissima Lettera 22, quando il pc era di là da venire e quando i pezzi venivano dettati per telefono, punteggiature comprese.
E così oggi ci troviamo in balia del marketing, di prime pagine che sembrano vetrine di un negozio di abbigliamento, di “parole d’ordine”, di parole e immagini che invece di informare assolvono al solo compito di “formare” opinioni, tendenze e mode uguali per tutti, dove tutti sono individui senza testa, individui acefali, obbedienti in una perfetta società disciplinata e disciplinare, come diceva e con buona ragione Michel Foucault.
Ho preso dalla mia libreria un vecchio libro di Giorgio Bocca, il libro si intitola “E’ la stampa, bellezza!”, lo sfoglio, il pensiero corre a quella volta che lo conobbi, trentasei anni fa. Su un altro scaffale ecco alcuni saggi-reportage di Ryszard Kapuściński, un altro grande giornalista, penso a una sua frase: “Nelle dittature ci si serve della censura, nelle democrazie della manipolazione”. Bocca, Kapuściński…autori che consiglio, soprattutto oggi. Per capire da dove siamo partiti e dove siamo arrivati. Davvero un brutto punto di arrivo nel quale si inventano notizie e si manipolano i fatti. Qualunque fatto purché sia singolare e emotivamente coinvolgente, basta che sia ad effetto. Basta che scateni risse e divida tra chi dice sì e chi dice no, tra chi la pensa in un modo e chi in un altro. Mentre l’unica cosa che conta è fare audience e vendere giornali e far instupidire la gente davanti alla tv. E convincere. In barba ad ogni più elementare diritto ad avere informazioni e non veline, notizie confermate da fonti, notizie utili e responsabili.
Che notizia è mai quella di far dire a Tizio cose che non ha mai detto? “Che giornalismo è – annota sulla sua pagina Fb Ritanna Armeni – quello che fa montare servizi televisivi dove i due morti di Parigi uccisi da un presunto jihadista vengono collegati (pur non essendoci nessun collegamento) con le manifestazioni di piazza contro il Jobs acts?”. Che informazione è mai quella di scrivere nei titoli che a Orlando sono stati uccisi 50 gay? Come se non fossero persone. Come se non fossero ragazzi e ragazze.
No, non è questo il giornalismo, non è per niente questa l’informazione. Mi sembra più facile e più giusto chiamarla informazione di regime, operazione Minculpop 2. Informazione “macchina del fango” senza alcun rispetto per chi finisce nell’ingranaggio… Penso al caso Boffo e più indietro nel tempo penso a Tortora accusato nel 1983 da un pentito e poi assolto dopo 8 mesi di carcere passati in cella a soffrire mentre era innocente, mentre sui giornali si scriveva che c’erano prove certe. Penso ai titoli dei giornali tra aprile e maggio 2007 sul caso della scuola materna di Rignano culminato con l’arresto di maestre e bidella e per le quali il pm aveva chiesto 12 anni di carcere. Sui giornali si scriveva che erano diavoli, orchi…che bevevano il sangue dei bambini… Tutte assolte. Penso al caso Yara Gambirasio e a titoli tipo “arrestato l’assassino: ha 44 anni, è padre di 3 figli”, o alle foto di Bossetti in manette. Già colpevole sui giornali prima della sentenza. Penso all’arresto di Stefano Binda in carcere da gennaio di quest’anno perché accusato di aver ucciso trent’anni fa Lidia Macchi. In carcere in attesa di giudizio pur non essendoci rischio di inquinamento probatorio, pur non essendoci pericolo di reiterazione del reato. Anche lui come Bossetti già condannato sui giornali. Penso alle centinaia di pagine e di servizi televisivi pieni di intercettazioni telefoniche, non più strumento di indagine, ma arma eccezionale in mano a certi magistrati e a certi giornalisti per inquinare la lotta politica. Per interessi di parte.
Altro che conoscenza, verità, informazione.