E’ Mauro Palma il nuovo Garante per i diritti dei detenuti

E’ il professor Mauro Palma, romano, classe 1948, matematico e fondatore dell’associazione Antigone, il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Con la nomina di Palma, arrivata nei giorni scorsi, si porta così a compimento l’istituzione di una funzione di garanzia e osservazione prevista dalla Legge n. 10 del 2014 ma finora mai introdotta. Sul piano nazionale, Palma coordinerà il lavoro dei Garanti regionali, mentre sul piano internazionale sarà organismo di monitoraggio indipendente richiesto agli stati aderenti al Protocollo opzionale per la prevenzione della tortura (Opcat).

In occasione della nomina di Mauro Palma, riportiamo di seguito il commento del giornalista e nostro collaboratore Francesco Lo Piccolo, volontario in un’associazione che si occupa del reinserimento degli ex detenuti e direttore di “Voci di dentro”, rivista scritta dai detenuti che partecipano ai laboratori di scrittura che tiene in alcuni carceri abruzzesi, che dall’alto della sua esperienza sul campo accoglie con entusiasmo l’introduzione della figura del Garante dei detenuti.

di Francesco Lo Piccolo

Matematico, coordinatore scientifico di “Treccani Scuola”, rappresentante italiano del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, fondatore e presidente onorario di Antigone, autore di numerosi testi di diritto. Questo in breve il curriculum di Mauro Palma nominato Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Una nomina nel segno del cambiamento verso un diritto penale minimo, contro una incessante e abnorme produzioni di leggi che hanno sempre visto il carcere come uno strumento di politica del territorio. Strumento fallimentare, chiaramente incapace di assolvere al suo compito previsto dall’articolo 27 della Costituzione, piuttosto un luogo per rinchiudere (nascondere) tutte le contraddizioni sociali irrisolte: marginalità, immigrazione, disagio psichico, povertà. E i dati lo confermano: sette detenuti su dieci, una volta liberi, tornano in carcere. Giovani, spesso anche giovanissimi, tre su dieci per droga. Spesso anche parenti tra loro. Padri, figli, cugini: alle volte entra il padre, quando esce capita che entri il figlio. Una staffetta “di classe”. In luoghi senza tempo, dove tutto è fermo, dove la vista si accorcia, la salute viene meno, il sano sopravvive col malato, quello che ha ucciso col ladro di polli. Indifferenziati. In celle malsane, alcune abitate anche da topi, con casi di scabbia e Tbc, senza riscaldamento, senza acqua calda.

Davvero non è poco il lavoro che dovrà affrontare Mauro Palma. Le speranze sono tante, e io come volontario ci credo, anzi ci conto anche alla luce di quanto lo stesso Palma mi disse due anni fa a Pescara, quando lo intervistai a margine di un convegno sul carcere: «Il nostro sistema penitenziario», mi ha detto, «di fatto fa regredire le persone…il linguaggio si adegua e così ogni richiesta prevede una “domandina”… ci si rivolge “alla signoria vostra” e così via. Un soggetto che ha vissuto per anni in questa situazione di non responsabilità, che ha imparato a obbedire, ma non a cimentarsi con la costruzione della propria quotidianità, difficilmente sarà in grado di reinserirsi nel contesto sociale, al termine dell’esecuzione della pena. Non stupisce allora l’alta percentuale di soggetti che recidivano reati. Diversa è invece l’ipotesi di aiutare il detenuto a essere artefice della propria giornata, della costruzione del proprio percorso di ritorno al sociale; anche a misurarsi con l’organizzazione minuta della gestione del proprio denaro per le spese. Esperienze di questo tipo, di forte accentuazione sulla responsabilizzazione, si sono tradizionalmente sviluppate in Paesi del nord Europa, ma recentemente hanno coinvolto anche Paesi dell’area mediterranea, come la Spagna. Rappresentano la linea verso cui andare, anche se il percorso è lungo poiché richiede un cambiamento di tutti i soggetti coinvolti: i decisori politici, i responsabili amministrativi, gli operatori, i volontari, i detenuti e anche gli esterni che forse raramente si interessano del carcere. Senza una complessiva riflessione e riconsiderazione di quale valore e quale connotazione vogliamo assegnare alla pena, e alla pena detentiva in particolare, difficilmente il carcere potrà realmente mutare. Rischiando di restare afflittivo e inutile».

Un lavoro enorme: per cambiare il carcere bisogna soprattutto lavorare fuori perché il carcere stesso non sia più visto come il toccasana di tutti i mali, affinché non sia la risposta all’insicurezza sociale e la promessa di maggiore sicurezza individuale. Auguri di cuore professor Palma.

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Redazione