Nella splendida e storica cornice del Palazzo Ducale di Lucca, dal 14 al 17 aprile 2016, si svolgerà la sesta edizione del Festival Italiano del Volontariato che avrà come tema “Abitare città invisibili”. In attesa di uno dei più importanti appuntamenti italiani dedicati al mondo del volontariato, abbiamo intervistato Edoardo Patriarca, deputato e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato (Cnv), per conoscere più da vicino l’evento che dal 2011 ad oggi ha coinvolto più di 100.000 persone diventando un vero punto di riferimento per i protagonisti del Terzo settore. E proprio durante l’edizione 2014 del Festival è stata lanciata dal premier Matteo Renzi la Riforma del Terzo settore, attualmente al vaglio del Senato.
Perché un Festival Italiano del Volontariato?
La storia del volontariato italiano è stata sempre punteggiata da momenti forti di riflessione culturale, di lettura del tempo e di capacità di interpretarlo. Le giornate di Lucca degli anni ottanta animate da Maria Eletta Martini, le iniziative di Caritas Italiana di Nervo e Pasini, le iniziative del Movi di Luciano Tavazza hanno costituito la base valoriale, il lessico di fondo delle organizzazioni di volontariato. Su quel movimento di popolo nacque la legge 266, e tutto quanto accadde dopo. Non penso che quella stagione si possa replicare: è cambiato il contesto e di strada se ne è fatta tanta. Rimane il bisogno di momenti di pausa, di riflessione, di un ritrovarsi insieme non presi dal fare e dall’urgenza di agire. Una convocazione, una piazza per guardare avanti. E la bellezza di Lucca non può che aiutarci.
Da cosa scaturisce la scelta del tema “Abitare città invisibili” di questa edizione 2016?
Nasce dalla convinzione che la storia degli uomini, delle donne, delle comunità si scriva con migliaia e migliaia di gesti e azioni, spesso minute, appunto invisibili, poco raccontate, che rendono quella città, quel territorio capace di costruire futuro. Azioni quotidiane che talvolta trovano un punto di caduta, una convergenza inaspettata, alleanze insperate, che fanno sì che quelle azioni minute diventino politica e acquisiscano una dimensione più grande, se non globale. I fiumi carsici ben esprimono questa mia riflessione. Rimangono sottotraccia per chilometri, nascosti, ma pieni di vita, tumultuosi e impetuosi, scavano la roccia. E poi giungono in superficie con forza, si impongono al paesaggio e sfociano in mare. Ecco, penso che il volontariato, la sua storia, assomigli molto ai fiumi carsici. Una molteplicità di azioni gratuite che poi trovano uno sbocco pubblico, si impongono, diventano azioni per il bene comune, politica a tutto tondo. Non nascondo la mia passione per Calvino, il suo libro ci ha ispirato, per me credente è un maestro di spiritualità laica, un ricercatore di senso, un appassionato di umanità.
Qual è l’elemento caratterizzante e distintivo di questa sesta edizione?
Il Cnv in questi anni ha scelto di trattare i temi e le sfide del nostro tempo con parole che appaiono desuete nel lessico attuale, parole marginali per la politica, tristi e di retroguardia. Noi siamo convinti che attorno alle parole “fragili” si giochi il futuro delle nostre comunità, del nostro fare democrazia. Ecco, le città invisibili stanno producendo attorno a questi percorsi innovazione sociale, progettualità creativa, partecipazione autentica, solidarietà attiva. Stanno tracciando le coordinate di un nuovo umanesimo accogliente e attento alle diversità. E il volontariato, le organizzazioni di Terzo settore, sono già protagoniste di questa nuova stagione. Noi proviamo a raccontarla.
In quale direzione si sta muovendo il mondo del volontariato, anche alla luce della Riforma del Terzo settore attualmente in discussione?
Una realtà in profondo cambiamento, un laboratorio di nuove esperienze, uno spazio di partecipazione attiva che mobilita più di 4 milioni di cittadini, molti di questi volontari individuali. Un bacino quest’ultimo, che andrebbe intercettato, con disponibilità all’accoglienza, senza troppe rigidità. Una sfida tuttora aperta è rappresentata dal maggior coinvolgimento dei giovani. L’istituzione del giorno del dono e l’attenzione mostrata dal mondo scolastico fanno ben sperare. Riguardo la Riforma del Terzo settore a me pare che il volontariato, oltre che difendere le proprie prerogative, debba riscoprire la funzione alta di soggetto generativo per tutto il Terzo settore e non pensare a una nicchia chiamata “quarto settore”.
Qual è secondo lei il fattore imprescindibile per il raggiungimento della felicità pubblica?
Credo sia la riscoperta della bellezza dei beni comuni, beni di tutti e per tutti, senza i quali il futuro appare difficile e troppo incerto. Si è conclusa la stagione dell’individualismo narcisista, della ricerca del proprio benessere centrato sui propri ed esclusivi desideri. Davvero si tratta di ricostruire un paradigma personalistico nel quale la dignità della persona, le speranze e la sua storia si specchiano e interagiscono con la storia della comunità in cui si è scelto di vivere. Una comunità strutturalmente aperta, vocata all’incontro e alle differenze, e a tutti gli ambiti vitali nei quali vive, compreso l’ambiente urbano, la bellezza delle sue strutture, e le preziose e inevitabili connessioni con l’ambiente naturale. Penso che questa stagione si aprirà solo se troverà nuove energie e risorse nella cosiddetta società civile e nella buona politica.