Da vent’anni operano per dare un sostegno alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo in tutto il mondo. Sono i volontari di Salute e Sviluppo Onlus, un’organizzazione non governativa che ha l’obiettivo di migliorare le condizioni sanitarie dei popoli più in difficoltà e contribuire alla loro crescita e autonomia. Salute e Sviluppo promuove progetti in Africa, Asia ed America Latina, nell’ambito socio-sanitario e nel settore dello sviluppo umano con le delegazioni dell’Ordine Ospedaliero di S. Camillo e altre istituzioni. Costruisce ospedali, scuole e acquedotti e implementa progetti di sviluppo per la produzione alimentare e per la zootecnia. In Italia, Salute e Sviluppo informa e sensibilizza l’opinione pubblica e crea consapevolezza sulle tematiche legate all’educazione alla mondialità.
Per scoprire qualcosa in più su questa importante realtà abbiamo intervistato il presidente della Onlus, Efisio Locci.
Quando nasce Salute e Sviluppo Onlus?
Salute e Sviluppo nasce nel 1996. In quegli anni Haiti rappresentava il Paese più povero e abbandonato a sé stesso dell’America del Centro-Sud. La situazione sanitaria, in particolar modo, versava in condizioni drammatiche, non vi era infatti alcuna struttura ospedaliera nella quale potersi curare. Per questo motivo abbiamo deciso che proprio ad Haiti avremmo realizzato il nostro primo progetto, seguendo quegli stessi principi, che tutt’oggi ci guidano, di cura e di prevenzione dei più bisognosi e delle fasce più svantaggiate, quali in primo luogo, donne e bambini.
Quali sono le sue principali finalità?
La nostra mission può essere riassunta con questa frase: curare i malati e incrementare lo sviluppo. Le nostre principali finalità sono, infatti, quelle di migliorare le condizioni sanitarie delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo e di contribuire alla loro crescita e autonomia. Per questi motivi i nostri progetti in Africa, Asia e America del Sud si focalizzano principalmente su due ambiti, che sono per noi strettamente correlati tra loro, quello socio-sanitario e quello dello sviluppo umano. Per raggiungere il nostro obiettivo finale, ovvero lo sviluppo dell’autonomia e di una propria autosufficienza da parte del Paese in via di sviluppo, riteniamo essenziale focalizzarci non solo sulla cura e sulla prevenzione dei malati, ma anche sulla scolarizzazione, sulla formazione professionale, sullo sviluppo dell’economia locale. Agire, dunque, in maniera mirata, ma sempre a 360° gradi, per avere un reale e concreto impatto positivo su tutta la popolazione locale.
Quali le realtà del mondo in cui opera?
Specifico, anzitutto, che Salute e Sviluppo non si è mai preclusa di operare solo in determinate zone, ma ha sempre scelto di intervenire basandosi esclusivamente sui reali bisogni e le effettive problematiche che affliggono i Paesi in via di sviluppo. Da sempre, siamo particolarmente attivi in Africa, soprattutto, in Kenya, a sostegno delle popolazioni di Nairobi, Wajir, Karungu, sulle sponde del Lago Vittoria, e a Nkubu, nella provincia orientale alle pendici del Monte Kenya. Realizziamo progetti di sviluppo socio-sanitario in Somalia, in Bénin e Costa D’Avorio; di sviluppo socio-economico in Burkina Faso e di potabilizzazione dell’acqua in Togo. In Repubblica Centrafricana interveniamo invece con progetti socio-sanitari e di formazione. In America del Sud implementiamo progetti di sostegno alimentare per persone colpite da HIV/AIDS a Lima, in Perù; progetti di assistenza sanitaria, formazione e inserimento lavorativo per adolescenti vittime dello sfruttamento sessuale in Brasile e progetti di sviluppo umano in Colombia. Siamo presenti anche in Asia: in Thailandia, Cina, India, Filippine, Myanmar e Vietnam con progetti di carattere sanitario-formativo e di inserimento lavorativo. Realtà queste, tra loro molto differenti, ma accomunate dalla stessa deprivazione alimentare, materiale, sociale ed economica che accresce, purtroppo, le loro fragilità e instabilità. Quando, infatti, il diritto fondamentale di un uomo diventa poter mangiare una volta al giorno o quando i bambini in una classe arrivano ad essere anche ottanta o novanta, pur di imparare, ci accorgiamo subito dell’abisso che separa la nostra realtà dalla loro.
L’attività della Onlus si sviluppa parallelamente anche in Italia, in che modo?
In Italia, il nostro obiettivo principale è quello di sensibilizzare quante più persone possibili alla realtà del Terzo mondo. Creare consapevolezza ed empatia verso problematiche che, sebbene non appartenenti alla nostra realtà e alla nostra quotidianità, esistono ugualmente e di fronte alle quali non possiamo e non dobbiamo chiudere gli occhi. Per questo motivo Salute e Sviluppo è da sempre impegnata in campagne di educazione allo sviluppo e di sensibilizzazione sul territorio italiano, attraverso la rete dei volontari che operano nelle varie sedi regionali.
Quali sono i futuri progetti sui quali la Onlus sta lavorando?
I nostri progetti sono molto spesso pluriennali. Si tratta, infatti, sovente di iniziative di ampia portata che necessitano dunque di un tempo esteso per la loro realizzazione. In questo momento stiamo ultimando la costruzione e l’avvio di due unità ospedaliere: una in Kenya, a Nkubu, e l’altra in Repubblica Centrafricana, a Bossemptelè. In Burkina Faso sono in corso due progetti di sviluppo agroalimentare, la costruzione e l’avvio di tre scuole (Burkina Faso e India), un acquedotto per la potabilizzazione dell’acqua a vantaggio di cinquantamila persone (Kenya), un progetto di prevenzione e lotta ai tumori infantili in Vietnam. Sempre nel 2016 saremo impegnati in azioni più piccole di lotta alla fame e alla malaria e avvieremo i nostri primi progetti in tre nuovi Paesi: Filippine, Indonesia e Myanmar.
Quali sono le principali difficoltà che incontrate nello svolgimento della vostra attività?
Le difficoltà che riscontriamo sono principalmente di due tipi: culturale ed economica. La prima, la riscontriamo, nei Paesi in via di sviluppo, in alcune abitudini e in una mentalità molto lontana dalla nostra. Mancanza di informazione e di consapevolezza rispetto alle problematiche sono ostacoli, infatti, che affrontiamo quotidianamente in loco e che cerchiamo di risolvere, sempre nel rispetto delle loro specificità culturali, attraverso costanti attività di sensibilizzazione e di formazione. Le attività di sensibilizzazione e di informazione sono essenziali anche per abbattere un’altra difficoltà culturale, questa volta tipica dei Paesi occidentali, quella di non conoscere spesso le drammatiche situazioni dei Paesi in via di sviluppo e di avere poca empatia nei confronti di ciò che non si vive direttamente sotto i propri occhi. Di tutt’altra entità, le difficoltà economiche, che si riferiscono sia alla povertà di risorse materiali tipica dei Paesi in via di sviluppo, quanto alla evidente crisi economica che sta attraversando in particolar modo l’Italia e che si ripercuote nella cooperazione, sia per ciò che concerne la difficoltà nel reperire fondi, sia per la diminuzione stessa dei finanziamenti stanziati da parte di enti pubblici e privati.
Qual è l’episodio che ricorda con maggiore intensità?
Questo tipo di lavoro lascia tanti bei ricordi, tanti episodi che rimangono impressi negli occhi e nel cuore. Ricordo, in particolare, quando lo scorso luglio ero in Estremo Oriente, presso una nostra casa di accoglienza per le mamme, che venivano in città per curare i loro bambini malati di cancro. Nella grande sala c’era una coppia di giovani sposi che cercava di giocare con il loro bambino, dai pochi capelli, il viso pallido e il sorriso languido. Ricordo ancora gli sguardi stanchi dei giovani sposi, il loro sforzo di giocare con il bambino e il loro sorriso triste.
Di cosa hanno più bisogno oggi le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo?
Di rispetto. Credo fermamente che, prima di tutto, come ne ha bisogno ciascuno di noi, il rispetto sia un aspetto essenziale dei bisogni dei Paesi in via di sviluppo. Senza rispetto non si può costruire nulla. E poi l’accesso ai diritti di base fondamentali, quali il diritto alla sanità, all’istruzione, all’organizzazione per l’autosufficienza economica e sociale, in modo tale da non impedire il pieno sviluppo della persona umana.
In che modo chi volesse aiutare la Onlus può farlo?
Ognuno di noi può “aiutarci ad aiutare” i più bisognosi. Se infatti è vero che singolarmente siamo solo delle piccole gocce, insieme possiamo formare un oceano di solidarietà che può davvero fare la differenza. Le modalità per donare sono diverse: potete sostenere uno dei nostri progetti o regalarvi l’emozione di sostenere a distanza i bambini più bisognosi, o ancora potete contattarci per essere parte viva della nostra Onlus, diventando volontario presso una delle nostre sedi in Italia. Inoltre, gli enti e le aziende che volessero intraprendere un percorso di responsabilità sociale o che intendessero sensibilizzare il proprio personale alla tematica della solidarietà, hanno la possibilità di donare godendo dei benefici fiscali o avviando con noi differenti tipologie di partnership e di collaborazione. Per maggiori informazioni a riguardo vi invitiamo a consultare il nostro sito (www.salutesviluppo.org) nella sezione apposita “Come aiutarci”.
Qual è il sogno nel cassetto della vostra organizzazione?
Nel mondo ci sarà sempre un angolo per costruire qualcosa di buono e realizzare dei sogni. Da sempre cerchiamo, infatti, di realizzare i sogni delle popolazioni più bisognose, che purtroppo non hanno autonomamente adeguati mezzi e risorse e chiedono il nostro supporto per favorire il loro sviluppo. Il nostro sogno nel cassetto più grande è proprio far sì che, un giorno, queste stesse popolazioni non abbiano più bisogno di noi.
Qual è secondo lei il fattore più importante per il raggiungimento della felicità pubblica?
La felicità pubblica è una commistione di fattori: onestà, giustizia, empatia, collaborazione. E’, soprattutto, avere il coraggio di far del bene e di aprire il cuore, sempre, a tutti.